Ritorno da Khamun

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Quando, sul far del tramonto, la carovana si fermò alla stazione di posta subito all’interno del confine di Thersa per una notte di riposo dopo le lunghe giornate di Athar, Meike emise un sospiro di sollievo. Si sentiva stanca come non mai, fisicamente e mentalmente, ma le vecchie abitudini erano dure a morire. Prima di concedersi l’anelato riposo, fece il giro di tutti i componenti della spedizione Thersiana. Controllò le ferite, per assicurarsi che non si infettassero e scambiò con ognuno qualche parola, spesso finendo con una benedizione di Nhea, qualche parola di conforto, una mano sulla spalla o un rapido abbraccio. Il cugino Bastian la rimproverò nuovamente per aver sacrificato il suo braccio per guarire quello del neo-cavaliere ma Meike sorrise ripetendo le sue parole del pomeriggio,

“In quanto vostro confessore, ritengo la vostra vita una mia precisa responsabilità. E il braccio di un cavaliere che possa imbracciare spada e scudo contro i demoni è ben più importante del braccio di una sacerdotessa che se ne può far bastare uno.” Sorrise, Meike, al ricordo del battibecco con Bastian, conscia che anche ora, pur conoscendo le conseguenze del suo gesto, non avrebbe esitato un secondo a ripeterlo.

Portò una tisana che conciliasse il sonno a tutti coloro che erano stati vittima del potere delle due mummie, sperando che il loro riposo fosse meno travagliato, augurando ad ognuno una buona notte.

Infine, soddisfatto quello che, dopo tanti anni trascorsi nei templi e dopo il doppio periodo al fronte, considerava il suo dovere, si coricò nel giaciglio che le era stato lasciato, non lontano dalle altre Lady di corte. Sciolse i capelli e li districò alla meglio con le mani, pensando che forse sarebbe stato meglio tagliarli di nuovo, poi si tolse la casacca rossa e il bustino, lasciando gli abiti che portava sotto. Si infilò rabbrividendo sotto le coperte, tenendo stretto tra le mani il suo simbolo sacro. In tutta la sua vita, la preghiera era stata una presenza costante, e la fede fervida nell’angelo bianco l’aveva aiutata a superare gli ostacoli e finalmente a trovare la sua strada. La mano destra stretta al simbolo, il braccio sinistro gettato sugli occhi, Meike inspirò profondamente ed espirò lentamente, cercando di rilassare il corpo, così come le era stato insegnato al fronte. Ripercorse gli eventi, la sorpresa di essersi trovata di fronte alle mummie, il dolore per la quasi perdita del fido Kaze, la preoccupazione per la sorte del cugino Bastian durante la veglia di cavalierato, il volto affranto di Lady Urania dopo la possessione da parte dei due principi millenari, l’angoscia per le conseguenze del rito e per la sorte di tutti loro, e la gratitudine per la durezza della tempra imposta dalla loro terra di origine; il dolore improvviso dell’aver preso su di sé la ferita invalidante di Bastian, unito alla sensazione di sentirsi percorrere in un nuovo modo dal potere della Dea. Ripercorse anche l’emozione e l’onore di aver preso parte ad un rituale così antico e importante come quello della veglia di cavalierato, l’emozione nel ricordo del cavaliere di Athar, la gioia di vedere Kaze vivo e in salute, il sollievo di vedere la porta della sala del Leone Dorato aprirsi e rivelare per primo il volto del parente, sano, integro. Gettarsi su coloro a cui tiene per prima cosa controllando come stiano è un istinto che non l’abbandonerà mai, sin da quando Hugo soleva scontrarsi con coloro che lo schernivano e a lei toccava aiutare il fratello a fasciare i tagli e mettere cataplasmi puzzolenti sui lividi. L’orgoglio – non lo sterile sentimento che porta ad elevarsi sopra gli altri, ma la sensazione di calore per i successi altrui – per la nomina di Bastian, e infine… le parole del Duca rivolte a lei direttamente. Un compito, già, a lei che si considerava così inesperta. Aveva parlato a lungo, durante il viaggio, sia con Hilda, che non poteva fare a meno di considerare un’amica e una confidente, sia con Maximilian, suo parente. La sua scelta era già composta, rimaneva da scrivere solo la lettera…

Chiuse di nuovo gli occhi che non si era accorta di aver riaperto, Meike, le dita della mano manca a giochicchiar col cammeo del pettirosso regalo della madre. Congiunse dunque entrambe le mani sul petto, toccando l’effige dell’Angelo Bianco, e pregò. Pregò che Nhea le desse la forza ed il consiglio, le permettesse di avviarsi su quella via della conoscenza che pareva essere stata scelta per lei, senza perdere di vista gli obbiettivi veri che aveva innanzi, pregando di non perdersi né nell’oscurità né nella luce abbagliante come avevano fatto i due principi. Pregò perché la sua forza fosse sufficiente perché nessuno perdesse la vita se lei poteva impedirlo, pregò per Thersa e per l’Orifiamma. Si addormentò, infine, esausta, vittima di giornate di fuoco e di nottate troppo brevi o troppo travagliate, con ancora il nome della Dea sulle labbra.

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