Il profumo delle prime frittelle di mele della stagione pervadeva tutta la cucina e filtrava dalla finestra socchiusa, causando un certo disordine fra i ragazzini che giocavano lungo la strada dove si affacciava la casa di Hari e Viktoriya Von Krathos. Eliot si pulì le mani sul grembiule, soddisfatta del risultato: quella sera le tre donne di casa (lei, Vivi e Malenki) avrebbero festeggiato tutta la notte le ulteriori svolte che avevano preso le loro vite, sfondandosi di dolci, liquori e chiacchiere. Anche Hari era invitato ma, poiché ormai anche una tonta come lei aveva capito che certi discorsi è bene farli solo fra ragazze, contava di farlo ubriacare prima possibile, in modo da poterlo spedire a letto a un’ora decente.
Assaggiò una frittella più per golosità che per saggiarne veramente la bontà e sorrise, socchiudendo gli occhi: dei, che buone! Come aveva fatto a considerare vita tutti quegli anni senza aver mai assaggiato qualcosa di dolce? Certo che la Natura era proprio arbitraria nell’amministrare i propri doni…
La Natura o… cos’altro? Il pensiero dei recenti avvenimenti prese il sopravvento e la riportò alle parole lette e ascoltate a Fantasmagoria. Fino a pochi giorni prima si era un po’ vergognata di non sapere un granché dell’Anthologon e di quanto c’era da sapere sulla creazione del mondo che ospitava i viventi: Monna Celina era sempre stata molto vaga in proposito, preferiva narrarle del Pentarca e della cabala (ah, la cabala!). Nelle Lande Selvagge l’Impero era solo una presenza distante, quasi leggendaria. Ashnog, Caliban, Talon e Ronan erano nomi che pochi ricordavano ancora e di cui ancor meno gente si interessava.
Adesso invece si sentiva davvero a disagio perché si era accorta che non provava niente di particolare davanti alla prospettiva che le cose potessero essere andate in modo molto diverso da come si era sempre tramandato.
Nel suo villaggio l’unica certezza che aveva era che ci si doveva aiutare da soli, spalla a spalla come comunità, ma senza sperare troppo nei capricci degli dei. Si raccontavano storie che li avvicinavano agli uomini, si invocava la protezione di Volk’ar prima di una caccia, si manteneva l’equilibrio per non far adirare Krasni-Volk, si usavano aneddoti sugli scherzi di Xoac ai centocinque figli stupidi del Pentarca per educare e divertire i bambini… ma non sempre i cacciatori tornavano interi. E allora era colpa del disinteresse di Volk’ar o colpa loro perché non erano all’altezza?
Quando la spedizione di cui faceva parte Hernando era tornata senza di lui, Eliot si era rifugiata fra le braccia da Monna Celina, piangendo finché non avevano iniziato a bruciarle i polmoni.
“Ma p’tite” le aveva detto l’anziana donna, “adesso il tuo amico caccia insieme a Volk’ar nell’immensità delle praterie del cielo…”
“NO!” le aveva risposto lei “Volk’ar non merita Hernando al suo fianco! Volk’ar l’ha lasciato da solo contro il verme delle sabbie! Volk’ar non ha fatto nulla! Che lo preghiamo a fare se non fa niente quando serve?”
Monna Celina aveva sospirato, l’aveva lasciata sfogare e poi le aveva parlato con voce calma e materna.
“Ascoltami bene, ma p’tite… L’unica cosa certa a questo mondo è che agli dei non importa nulla di noi, se viviamo o moriamo, né come lo facciamo. Hanno le loro vite, come è giusto, e noi dobbiamo cavarcela da soli. Ma gli dei in verità svolgono per noi un compito molto più importante, ma p’tite: ESISTONO e in questo modo ci sono di ispirazione e vincolo. Il loro esempio, vero o fasullo che sia, ci indica la via da seguire.
Volk’ar non protegge i cacciatori dalle zanne delle bestie, ma il suo coraggio e la sua tenacia sono il traguardo di chi rischia la vita per sfamare la famiglia. Xoac non abbasserà mai lo sguardo sugli uomini per conceder loro un pizzico di fortuna, ma ci insegna che solo chi rischia può cambiare il suo destino. I cinque figli temibili del Pentarca sono la misura di ciò che non deve essere risvegliato nei nostri cuori… e via dicendo.
Gli dei ci sono necessari, Eliot, ma non perché ci dobbiamo aspettare che facciano qualcosa per noi. Lo fanno già senza nemmeno alzare un dito.
Siamo noi che li preghiamo a rendere veramente speciali gli dei.”
Le parole di Monna Celina non avevano mai smesso di risuonarle in testa, ma nel momento in cui aveva messo piede nelle coste del Nord-Ovest si era resa conto che era meglio tenere per sé le sue considerazioni in proposito.
Adesso, di fronte a informazioni che potevano sconquassare l’ordine costituito, le loro vite e tutto il resto, si sentiva abbastanza indifferente. L’unica cosa che la indignava è essere consapevole che, se era vero ciò che avevano scoperto, le entità superiori che avevano impastato il mondo terreno erano nient’altro che patetiche versioni dei viventi, con gli stessi identici difetti e con l’aggravante che in teoria avrebbero dovuto essere molto, molto migliori delle loro creazioni. Era difficile considerare come esempi da seguire questi esseri superiori così poco perfetti.
Tuttavia, gli dei apocrifi di Caponord non erano cambiati ai suoi occhi, perché ne aveva sempre tenuto presente i limiti e aveva imparato ad amarli lo stesso (del resto, non era questo che si doveva fare anche con gli amici?). Questo almeno non era cambiato di una virgola.
Eliot cacciò in bocca un’altra frittella, sospirando. A parte Hari, con chi altri avrebbe mai potuto condividere i suoi pensieri in proposito? Che mondo malato è quello in cui non si può essere onesti fino in fondo… Nel suo villaggio era meglio non saper mai niente di niente, a Caponord era meglio sapere ma tacere ad ogni costo. In che modo la sua vita era migliorata?
– FRITTELLEEEEEEEE! Io io io le voglio! – squillò una voce argentina.
– Noi pronte, Eliot! Tu viene su in stanza di Vivi! – tuonò una voce autoritaria.
– Anche io voglio le frittelle – si lamentò una voce affamata.
Eliot si mise a ridere, prese alcune frittelle dal vassoio e le mise in un cartoccio con su scritto “Per Lucien – NON TOCCARE! Hari dico a TE!”. Poi si aggregò all’allegra combriccola, pronta a una nottata di folli bagordi.
Oh beh, chissenefregava degli dei. La sua vita era migliorata eccome.