Konrad ne aveva molto, di fiuto. Quando poi si trattava di sangue, di battaglia, lo sapeva bene quando il momento era prossimo. Ed adesso lo avvertiva, quell’odore intenso e acre di carne marcia, di sudore, l’odore della guerra alle porte che lo attendeva. Quelli che lo braccavano da mesi, intenzionati a bloccarlo e a mettere fine ai suoi maledetti giorni gli erano alle costole. Probabilmente era suo fratello Eldric a guidarli; quel maledetto, legato ancora a lui dalla maledizione, intendeva forse porre fine alla propria vita pur di espiare colpe non sue? “Guardami, Eldric”, gli avrebbe voluto Konrad, “sono un vampiro, eppure cammino sotto la luce del sole! Io sono potente, ho voluto esserlo, ho rinunciato al calore della vita per questo! E tu, che diritto hai di fermarmi, maledetto scherzo della natura?”. No, non avrebbe mai avuto l’opportunità di dirglielo. Sapeva che quel branco di carnefici, che si nascondevano dietro un vessillo di mercenaria giustizia, l’avrebbe macellato prima. Con questi pensieri Konrad si aggirava per la caverna che lo ospitava, una tetra spelonca, misurandola con i lunghi passi animaleschi. Non che ne avesse bisogno, dato che, pur essendo un vampiro, poteva reggere la potenza del sole; ma il bambino che aveva raccolto quattro giorni addietro ne avrebbe sofferto. In lui la maledizione era diluita, non di meno esporlo in così tenera età alla luce sarebbe potuto essere pericoloso. Lo aveva svezzato con il latte di alcune vacche trovate nei dintorni, con una piccola bottiglia che aveva attrezzato con una membrana bucata a mo’ di poppatoio; lo aveva curato amorevolmente, per questo brevissimo tempo, vedendo in lui qualcosa di indefinito e affascinante. Si ritrovò inconsciamente a preoccuparsi per lui, del suo futuro, di come avrebbe fatto se lui fosse morto in seguito all’imminente battaglia. Eppure sapeva di non meritare questi pensieri; lui era Konrad, il vampiro diurno, uno che aveva sempre combattuto solo per se’ stesso e per il proprio personale rendiconto, che aveva sparso sangue senza ripensamenti e senza scrupoli, che si era addirittura alleato con le funeste potenze di Orione. Ora però in troppi bramavano la sua testa, e primo tra essi il Lupo Nero, il Cacciatore, Markov di Von Kratos. Aveva solo una vaga idea di cosa potesse desiderare da lui, e sapeva che si sarebbe servito di qualsiasi mezzo pur di mettere le mani sui suoi poteri. Si ritrovò a sorridere, silenziosamente, in direzione del piccolo. In una cesta riempita di stracci, coperto da una pelle di animale, il neonato riposava placido, con gli occhi scuri socchiusi. La luce del sole morente illuminava a malapena la sua pelle perlacea, penetrando dall’apertura dell’antro; non un solo vagito, ma uno strano silenzio, come se fosse assorto in precoci pensieri. La mano di Konrad, istintivamente, corse alla culla; le unghie nere afferrarono il bordo della coperta, sollevandola fino a coprire il bambino fin sotto il collo.
– Io vado, cucciolo. L’ombra che ci ha generato ora richiede il suo tributo. Ci rivedremo, un giorno o l’altro, spero.
Afferrò la spada con mano sicura, uscendo, e la strinse ben salda. Aveva intravisto un pianoro, lì vicino, in cui avrebbe potuto condurre il combattimento al meglio. Lasciò che fossero i sensi a guidarlo verso l’ultima battaglia, e scomparve nella tenebra.
* * *
La luna aveva iniziato già il suo percorso discendente nella volta celeste; la sua flebile luce, quella sera si confondeva con quella delle stelle, intente a rimirare i resti della pugna terminata al tramonto. Adesso i cadaveri di uomini coraggiosi e codardi, di giusti e di empi, in eguale misura giacevano riversi al suolo, i corpi spezzati dalla forza oscura dei colpi di Konrad il vampiro. Solo il frinire delle cicale era il loro unico canto funebre, e fiori di campo ed erbacce le decorazioni per le loro spoglie terrene.
– Vanità delle speranze umane…- sussurrò una delle due figure che percorrevano la sommità del colle che aveva ospitato la battaglia, in un sussurro gelido e aspro.
– Non essere così duro, Noctulio, dopotutto oggi abbiamo vinto…- commentò una voce femminile calda e decisa.
I due sembravano misurare con i loro passi lenti e misurati la vastità dell’area. L’uomo vestiva fluenti vesti di un tenue colore grigio, con un pesante mantello dello stesso colore con il cappuccio alzato sopra gli occhi, il viso nascosto; sotto gli abiti si intuiva appena la presenza di un corpo così tenue da sembrare scheletrico , nonostante l’uomo fosse alto e camminasse con andatura dritta e ferma. La sua mano, sottile come un osso, stringeva quella della donna al suo fianco, una femmina di bellezza ammaliatrice. Alta una spanna meno dell’uomo, mostrava alla luce degli astri un viso morbido e ben truccato, con magnetici occhi scuri che scrutavano il volto pensieroso dell’uomo. I capelli castani e ricci erano raccolti in una elegante coda, che ricadeva dolcemente sulle spalle nude; le forme generose e perfette erano a malapena trattenute da una elegante camicia rossa, con un’ampia scollatura, e da una gonna nera con le frangie. Sorrideva, allegra, incurante dello scenario intorno, come pregustando una gioia nascosta. L’uomo si voltò a guardarla, ricambiando il sorriso; il volto era scarno e pallido, con labbra sottili, per la maggior parte coperto da una bizzarra maschera lignea, decorata con un lungo naso adunco, che rivelava taglienti occhi azzurri.
– A che prezzo, Loupelee? Mi chiedo a che prezzo…
L’uomo alzò gli occhi al cielo, chiudendoli rapidamente. Lasciò che la notte lo invadesse, diventasse parte di lui, e respirò i suoi odori avidamente. Sentì l’odore di morte, di carne bruciata e macilenta; poi, fu pervaso dal profumo della donna accanto a lui, se ne lasciò invadere, sentì l’odore del bosco tutto intorno, dello scorrere della vita che riprendeva. Aprì nuovamente gli occhi, pensando a quello che aveva visto durante quella giornata insieme ai suoi compagni, adesso accampati sotto il colle. Avevano finalmente raggiunto Konrad, dopo un estenuante inseguimento che durava da quasi un anno, cercando di fermare gli eccessi sanguinolenti di quel folle; con loro era Eldric, una strana creatura, per metà uomo, per metà corvo, ridotta in quella condizione dalla stessa maledizione che aveva trasformato in vampiro il fratello Konrad. Egli, facendosi carico di molti gravosi dolori, li aveva condotti dal suo consanguineo nella speranza di fermarlo. La battaglia, quando era alfine giunta, non aveva risparmiato violenza e sangue; in molti erano periti, e il combattimento era stato pericoloso e sanguinoso. Ne erano usciti vivi, riducendo il vampiro allo stremo, solo per vedere quel bellimbusto del barone Markov giustiziare Konrad e Eldric seduta stante. Chissà perchè in questo modo, si chiese l’uomo.
– A che stai pensando, Noctulis?- gli chiese la donna con fare serio. Sapeva ben leggere nella mente del suo uomo, come un libro aperto, e sapeva che qualcosa lo stava turbando, adesso. Noctulis sogghignò tra sè e sè; anche se se ne era reso conto da poco, sapeva che non le poteva nascondere niente.
– Pensavo a Konrad… e ai suoi occhi, mentre combatteva.
Loupelee annuì, pensosa. Iniziò a torturarsi l’anello al dito, preoccupata.
– L’ho visto bene anch’io, sai… Non era il suo solito sguardo. Non era la solita bestia furiosa. Stava combattendo per qualcosa… e non era solo per se stesso. Era lontano con la mente, come rassegnato…
– Zitta un istante, Loupe…
Aveva avuto per un istante una strana impressione, ma ora era sicuro. L’aveva sentito, quello strano rumore, come un’impressione, e ora ne aveva avuto la conferma. Era molto lontano, ma i suoi sensi dopo anni si erano acuiti come quelli di un animale. Un vagito distante, dal folto del bosco.
– Seguimi, Loupe… chiaramente per favore…
Loupelee rise, con un timbro alto e argentino. Afferrò la testa dell’uomo con entrambe le mani, e lo baciò con foga e trasporto. Quando ripresero respiro, i loro occhi, che avevano sopportato durante quel giorno dolori indicibili e che si erano quasi colmati di lacrime, faticavano a lasciarsi. Fu la donna a rompere il silenzio.
– Dopo oggi? Non ti lascio più scappare, caro mio…
* * *
L’interno della spelonca era scuro e umido. Era quasi apparsa dal nulla, tra alcune frasche scure, e solo il rumore ormai insistente che proveniva dall’interno l’aveva rivelata nella scura parete di roccia. Il buio pressante era scosso solo da un pianto infantile, acuto, disperato, proveniente dal fondo della caverna. Loupelee e Noctulis, all’ingresso, scrutavano la tenebra preoccupati.
-Non ci posso credere…- sussurrò la donna. – Konrad stava qui?
Noctulis annuì, percependone l’odore di sangue. Quel pianto lo inquietava, ma sapeva che doveva andare a controllare.
– Pyrum invoco- litaniò l’uomo, creando una piccola fiammelle nel palmo della mano che rischiarò l’interno. Le ombre della grotta scomparvero immediatamente, come fuggendo terrorizzate; come i petali di un fiore oscuro si schiusero, rivelando al loro interno un intimo e nascosto segreto. Una piccola cesta di vimini, ricoperta di pelli d’animale, giaceva sul fondo dell’antro, e da essa si levava l’urlo disperato. Alcune bottiglie di vetro, vuote e sudicie, giacevano in un angolo. Imprecando in mille lingue, Loupelee si fiondò subito all’interno, scavalcando l’ostacolo all’ingresso, mentre lo stregone con lei avanzava alle sue spalle con flemma e circospezione. Qualcosa lo stava pungendo, sul fondo dell’anima, un misto di paura e speranza. La donna, nel frattempo, si era gettata sulla culla improvvisata, alzando un fagottino avvolto nelle coperte; un neonato di neanche una settimana, piccolissimo e fragile, che urlava con insospettabile vitalità richiedendo il suo pasto. Loupelee iniziò a cullarlo cantando una nenia, cercando invano di calmarlo; dal canto suo, Noctulis si mise a frugare tra le bottiglie vuote, assalito da un pressante dubbio. Una bottiglia piena comparve all’improvviso tra le altre; Noctulis ne assaggiò il contenuto, che si rivelò essere latte fresco, e questo sciolse i suoi sospetti. In silenzio, la porse alla compagna, che lo guardò sospettosa; poi, fidandosi dello sguardo fermo dell’uomo, accostò la bottiglia alle labbra del bambino, che iniziò a poppare avidamente.
– Non penserai mica che Konrad stesse allevando questo pargoletto, vero?- scandì lentamente Loupelee, intenta nell’allattamento. Intuitiva come al solito, pensò Noctulis, soddisfatto.
– Ne sono sicuro. Era questo che premeva Konrad, secondo me. Quello che lo distraeva dalla battaglia. Konrad era preoccupato per il piccolo che stava allevando. Chissà da dove viene…
Un’espressione basita si dipinse sul volto della donna, mentre ascoltava i ragionamenti dello stregone. Era inconcepibile che una creatura malefica come era Konrad si fosse interessato all’esistenza di un piccolo umano, a meno che non ci fosse qualcosa dietro e non stesse tramando qualcosa. E poi, del piccolo, cosa avrebbero fatto adesso?
– Vado ad avvertire gli altri del ritrovamento- sbottò Noctulis, all’improvviso, girandosi di scatto, togliendo la luce della fiamma per qualche istante ai due alle sue spalle. Loupelee fu stregata, per qualche istante, dalla profondità delle tenebre che abitavano negli occhi del bambino, dal suo sguardo stranamente… consapevole.
La sua mano si mosse prima di lei, e afferrò Noctulis per il mantello, trattenendolo. L’uomo si volse, stupito, verso la compagna, che adesso lo guardava fisso negli occhi. E Loupelee parlò, accesa da un fuoco nel profondo dell’anima, da qualcosa che aveva intravisto in quel neonato e che neanche lei comprendeva.
– Portiamolo a Scentiar con noi. Gli altri non capiranno che questo è solo un bimbo innocente, e chissà cosa gli faranno… Teniamolo noi per un poco, giusto per scoprire qualcosa su di lui…
Un insospettabile senso materno si era impossessato della donna, che parlava con foga e ardore ad un Noctulis concentrato sul suo discorso. Non aveva ben compreso quello che voleva, ma anche il suo animo impassibile era stato toccato da un pensiero. Lui e Loupelee erano ormai prossimi a convolare a nozze… e quello era un bambino. Loro. Quello che non avrebbero mai potuto avere. Noctulis sospirò, cercando di nascondere le sue emozioni.
– Così sia. Portiamolo con noi di nascosto dagli altri, ma- alzò un indice ammonitore- è solo una soluzione temporanea.
Loupelee lo guardò teneramente, cullando ancora il pargolo intento a nutrirsi. Adesso appariva placido, tranquillo, pacifico. Cosa mai avrebbe avuto da nascondere, un bambino così?
– Sì, è vero. Torniamo a Scentiar.
A parte il fatto che siamo due sposini meravigliosi, ma questo si sapeva, che tenero, anche Konrad…
…soluzione temporanea? Eh eh eh…