Incontri #1

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“Eccoti finalmente, sei in ritardo.”

Non aveva nemmeno provato a raggiungerlo di soppiatto: con suo fratello era semplicemente impossibile.

“C’è un vecchio detto che lega streghe e ritardo ma te lo risparmio, non mi sembra il momento”

Erano l’uno a fianco dell’altra: sullo sfondo la grande dimora degli Stolock, o meglio Yad-Stolock. Sembrava una scena vissuta milioni di volte in gioventù, ma la pira fumante innanzi a loro li riportava inesorabilmente all’estremo saluto a Yelena Yad-Stolock. La Discendenza si era riunita al gran completo ma se n’erano andati tutti ormai: il vento sferzava inclemente, tanto da congedare anche i più legati alla tradizione.

Vassilij le porse la giara che teneva fra le mani come fosse il suo bene più prezioso: “La risposta alle nostre domande: sembra che dopo tutto Yelena Yad-Stolock un cuore ce lo avesse eccome”.

Zoya resistette all’impulso di aprire e sbirciare, passandosi la giara tra le mani, per poi risolversi a restituirla al fratello. “Sicuramente sarà nuovo di pacca.”

Si incamminarono verso la cripta di Famiglia, o la stanza dei barattoli, come la chiamavano loro da bambini: era fredda e spoglia come nella migliore tradizione khartasiana.

Sulla soglia, Zoya ebbe qualche esitazione: l’uomo le porse la mano e la invitò ad entrare con lui. “Avanti, ormai non possono farci più niente…”, le disse. L’uomo sorrise appena, quel tanto che bastava per sembrare la cosa più bella dell’intero mondo, al pari di un caldo raggio di sole in una fredda mattinata invernale o del ritorno delle balene alla baia di Port Anchor.

“Non credo ci sia molto altro che possano farci…” gli rispose la donna, riuscendo finalmente a entrare.

Si districarono rapidamente in un paio di anticamere lugubri e spoglie, per poi riuscire a raggiungere la sala principale. Vassilij poggiò l’urna in una bacheca accanto a quella che conteneva il cuore del padre: si fermò a notare i due posti vuoti sotto i genitori. “Vedi, dopotutto hanno pensato anche a te”.

“È più probabile che abbiano lasciato un posto per Thòmas: mama diceva che era l’unico in grado di occuparsi della sua serra…”.

Rimasero in silenzio, pregando ognuno a suo modo, per una piccola eternità.

S’incamminarono verso l’esterno, dove ormai la pira aveva smesso di fumare, per poi fermarsi sotto la grande insegna del cancello principale: la scritta “Yad-Stolock” vi troneggiava possente, nonostante i secoli e le intemperie sulle spalle.

“Non l’avevi più chiamata così, almeno non dopo che te ne sei andata…”

“Non volevo darle questa soddisfazione e il confine tra essermene andata ed essere stata cacciata è ancora in corso di definizione. Ma lasciamo stare, cos’hai adesso?”

“Chissà se quando ci rivedremo… se ci ritroveremo sullo stesso fronte della Grande Battaglia…” Vassilij le prese la mano e la baciò delicatamente: arrivava sempre al punto, senza preamboli e senza pietà.

“È questo che ti turba?!? Comincio a pensare che non ci sarà alcun fronte, solo morte e distruzione. E poi forse la pace e un nuovo inizio, ma temo che non sarà più il nostro mondo in ogni caso, né tantomeno la nostra epoca.” Fece una lunga pausa, come per contare le parole che stava per pronunciare. “Numerose leggende hanno predetto una nuova Era, ma saranno le stesse donne o, peggio, gli stessi uomini a determinarne la natura: la nostra terra verserà lacrime amare per poi trovarsi ancora avvolta in un gelo che non conosce fine. Ma come al solito, fai parlare solo me, eh?”

Vassilij sorrise, smascherato. “Non è facile trovare il giusto posto in epoche come questa, ma la bufera giungerà non di meno e allora potremo fare sì che le nostre azioni conducano all’unico risultato possibile: la nostra terra tornerà allo splendore che le appartiene e il nostro sangue, gli Stolock, la guiderà nel futuro a venire, senza onta e senza catene. Tu sarai al mio fianco, o io al tuo, come sempre: quello per cui ho lavorato finora non può portarmi da nessun’altra parte, non deve. Quest’epoca si poggia su fondamenta incerte ed è tempo che un mondo nuovo sorga: coloro che non sono più in grado di garantire prosperità alle nostre terre devono lasciare spazio a chi può farlo. E oggi, per la prima volta, ho come l’impressione che non saremo soli a combattere: come se molte paia di occhi, curiosi e imprudenti, ci guardassero le spalle, come se molte braccia aspettassero il momento opportuno per sorreggerci se dovessimo cadere, per accompagnarci nell’ultimo cammino, per passarci lo Zamerat al Grande Banchetto, a un desco che si sono ampiamente meritati in questi anni… Non distogliere lo sguardo, non credi che andrà così?” Era solenne, come se quelle parole a lungo avessero albergato nella sua testa, maestose e granitiche come quella casa piena di ricordi che si stagliava dietro le loro spalle.

Lo fissò senza parlare, rivivendo ogni intenso momento della sua vita: in quegli occhi così profondi da non sembrare veri rivide i loro genitori, Radmila, la sua sinitchka, l’uomo che era diventato una bestia… Poi fu il tempo dell’uomo della sua vita, forse poco più di un ragazzo, che presto avrebbe finalmente incontrato di nuovo, delle persone che le erano state accanto anche quando lei lo rendeva davvero impossibile, di quelle che lungo la strada l’avevano abbandonata.

“Credo che avremo moltissime cose da raccontarci al Banchetto e, sì, non credo che saremo soli: ma credo anche che, in fondo, ci siano modi peggiori per trascorrere il resto dell’eternità”.

Era la risposta che si aspettava da lei e non l’aveva deluso: si abbracciarono a lungo, in quello che sarebbe stato il loro ultimo incontro perfetto.

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