– Vivi, sono pronta.
***
Trentacinque anni.
Che ti ho detto quando ci siamo conosciuti? A Khartas è tutto più grande! era stata l’ultima cosa che le aveva detto il suo miglior amico mentre, in lacrime, attraversava il portale che l’avrebbe portata via dall’isola. In quel momento, aveva deciso di pensare sempre in grande anche lei. Erano stati trentacinque anni lunghi e intensi. All’inizio, sia lei che Vivi e Jagosh avevano tenuto un basso profilo, grazie anche alla protezione del novello Zar. Poi, ormai certi che l’Impero non li stesse cercando, tutti e tre avevano potuto riprendere il filo delle loro nuove vite. Per Eliot questo aveva significato abbracciare completamente il suo ruolo di Profeta Errante, salutare la sua famiglia e mettersi in viaggio, arrivando fin nel più remoto angolo di Khartas, e poi segretamente di Erigas e di Valdemar. Aveva messo a frutto l’addestramento da cacciatrice e gli studi effettuati per gli Indagatori dei Culti Apocrifi (li avrebbe sempre chiamati così!), che le avevano permesso di spostarsi sempre con estrema discrezione, evitando incontri sgradevoli, e di assorbire informazioni preziose ovunque andasse. Aveva preso molto sul serio il compito che aveva accettato quella sera di trentacinque anni prima dalla Zarina, ma non era stato l’unico impegno in cui si era prodigata con tutta se stessa.
Sono quelli che restano che compiono il sacrificio più grande, aveva detto quella persona a Vivi trentacinque anni prima, quando non voleva lasciare Zar-Hyra… ed era stato esattamente così. Ma alla fine Vivi aveva accanto Jagosh e la sua bambina, mentre Vassilij… cos’era rimasto a Vassilij se non un oceano di ricordi e uno scranno vuoto da riempire? Per questo Eliot aveva deciso di sostenere con ogni mezzo la lotta silenziosa di quell’uomo troppo solo e di aiutarlo ad accettare e accogliere il peso intollerabile che era calato sulle sue spalle. Per anni gli aveva fatto silenziosamente da messaggera, informatrice, consigliera e perfino amica, sfruttando il suo peregrinare per dare una mano a coloro che odiavano l’Impero almeno quanto lei senza essere seguaci di alcun nume del Firmamento. E infine, quando l’odore della resa dei conti si era fatto più vicino e già il suo passo era diventato molto più lento e malfermo perfino nelle foreste che conosceva come il palmo della sua mano, aveva spronato il suo Zar a dimostrare che non era mai stato da meno di nessuno dei suoi predecessori, perché una piaga così grande no, non l’aveva mai affrontata nessuno prima di lui. Aveva dato il suo supporto tattico perché nessuno ormai conosceva il territorio khartasiano meglio di lei, aveva aiutato le piccole comunità a nascondersi dall’ira della Tetrarchia ferita e usato le risorse del Collegio del Rancore per aiutare i ribelli khartasiani nelle loro battaglie. Era stata una goccia nel mare, certo, che tuttavia aveva contribuito a creare la terribile onda che aveva spazzato via quel che rimaneva dell’Impero di Falcon.
Ma nemmeno questo era stato l’obiettivo che aveva sempre tenuto ben saldo nel cuore e nella mente.
Devi andare, devi raccontare la storia come è andata veramente! Se non vai tu, Vivi racconterà che Eltrhai era tanto buona e gni gni gni, invece tu racconterai la verità, ovvero quanto è stata stronza! le aveva detto il Capitano, pardon, il Commodoro per convincerla a partire trentacinque anni prima. Eliot aveva riso, ma aveva anche riflettuto: che sarebbe successo dopo? Esattamente quello che aveva immaginato: l’Impero si era assicurato che il ricordo di chi era a Zar-Hyra quel giorno fosse praticamente rimosso dalla storia, come minuscole vite di insetti senza alcuna importanza, al pari di qualunque morto di fame di cui nemmeno i parenti più stretti ricordano il nome. Qualcuno avrebbe dovuto porre rimedio a quest’ennesimo abuso verso i suoi compagni e questo qualcuno poteva essere solo lei.
Per trentacinque anni Eliot li aveva tenuti stretti dentro di sé, sforzandosi di fissare nella sua memoria ogni particolare, ogni respiro che aveva condiviso con loro. Non aveva mai smesso di sentirli e vederli accanto a sé durante gli interminabili viaggi solitari lungo le vie meno battute di Caponord, era sempre immersa nei loro commenti, nei loro rimbrotti, anche nelle loro battute di pessimo gusto. Si addormentava e si svegliava insieme a loro, ascoltava i loro consigli, parlavano insieme dei loro ricordi. Di porto in porto, di villaggio in villaggio, di locanda in locanda cercava di ricostruire le storie di chi aveva conosciuto meno, di trovare amici e parenti che potessero affidarle i pezzi che le mancavano, di avere il quadro più chiaro possibile.
Perché era questo che aveva cercato di fare con incrollabile determinazione per trentacinque anni, la cosa a a cui aveva tenuto di più: raccontare chi erano stati i suoi compagni, cosa avevano fatto e perché lo avevano fatto, prima solo a un pugno di ribelli, poi a tutta Caponord, dall’isola più remota alla città più scintillante, dalla bettola più infima alla foresta più profonda. Perché tutti dovevano sapere chi erano stati gli uomini e le donne della Ventura. Perché tutti dovevano sapere che non erano eroi, anzi, qualcuno fra loro non ci teneva proprio, ma che alla fine lo erano diventati lo stesso seguendo qualcuno o qualcosa in cui credevano, accettando il proprio destino, pensando che morire accanto a qualcuno che ami è una morte decisamente migliore di altre.
Per trentacinque anni lei li aveva custoditi, protetti e amati, a modo suo, tutti quanti.
Non devi niente a nessuno, le aveva detto quella persona, e lei ci aveva creduto con tutta se stessa in ogni istante della sua vita. E infatti non aveva passato trentacinque anni vivendo nel passato, aggrappandosi a dei fantasmi inconsistenti, tormentata da mille contraddizioni come aveva fatto per tanti anni prima di quel giorno fatidico. Quello sì che sarebbe stato un pessimo uso del dono che aveva ricevuto, della sua preziosissima seconda occasione! Ogni singolo giorno era appartenuto solo a lei. Le sue scelte erano state solo sue. Niente di ciò che aveva fatto era mai più stato un peso per lei.
Impegnarsi per l’equilibrio di Khartas l’aveva fatta sentire viva.
Contribuire alla caduta dell’Impero l’aveva fatta sentire viva.
Proteggere la memoria dei suo compagni l’aveva fatta sentire viva.
Viaggiare, combattere, ricordare.
Non aveva mai dovuto desiderare nient’altro.
Quando sarà il momento saprai cosa fare, le aveva detto sempre quella persona, e aveva avuto ragione sia di lì a pochi giri di clessidra che trentacinque anni dopo. Quando finalmente il nuovo Regno aveva visto la luce e la memoria dei suoi compagni non serpeggiava più soltanto fra i simpatizzanti della Ribellione, ma era esplosa dirompente in ogni luogo di Caponord, Vivi l’aveva presa da parte e Artemisia lo aveva confermato: stava morendo. Eliot aveva quasi esaurito il tempo a sua disposizione. La notizia non la turbò più di quel tanto, ma in quel preciso momento si rese conto di sapere cosa poteva fare per far fruttare il più possibile quel che le rimaneva da vivere.
Nel giro di breve tempo si era assicurata che ci fosse un degno successore per il suo ruolo, poi aveva chiesto l’aiuto di Vivi per modificare il rito utilizzato dai krovimanti per preservare nel sangue le memorie dei Profeti, in modo che non serbasse soltanto ciò che riguardava le storie di chi richiedeva un voto di vendetta, ma anche il ricordo, per lei ancora così vivido e netto, delle persone che avevano partecipato alla Ventura di quasi quattro decadi prima e che si erano ritrovate immerse in così tanti eventi straordinari. In questo modo, finché fosse esistito un Custode Errante a Khartas, sarebbe sempre esistito qualcuno a Caponord in grado di ricordare esattamente chi fossero.
Quello era stato l’ultimo dono per i suoi amici: fare in modo che non venissero mai dimenticati.
Ovunque sarai, io ti verrò a cercare, aveva detto Eliot a quella persona trentacinque anni prima, e non stava affatto scherzando. E adesso, quel momento si stava avvicinando. Come lo avrebbe atteso?
Se lo stava ancora chiedendo quando le giunse all’orecchio la notizia della spedizione reale verso Zar-Hyra… e allora non vi fu più alcun dubbio.
E allora mi troverai, aveva risposto lui.
***
Le ultime cose che percepì prima di scivolare via furono il tocco gelido del prezioso tesoro che stringeva fra le mani, le lacrime roventi di Vivi, la sua amata Vivi, e il pugnale di Hari che si accomodava nel suo addome, come se fosse stato quello il fodero che gli era sempre mancato.
Per un attimo non ci fu nient’altro.
Poi dita candide e leggere come un soffio d’inverno strinsero la sua mano e si accorse di essere sveglia. Si alzò lentamente ma senza fatica e si trovò davanti alla figura luminosa e serena della Madre dei Ghiacci, la Custode di ogni memoria, Colei a cui aveva silenzosamente rivolto la sua gratitudine per trentacinque anni.
– Bianca Sign…
Ma non riuscì a finire. A fianco di Shiva c’era quella persona. Era esattamente come lo ricordava, sereno come quel giorno di trentacinque anni prima in cui era andato incontro al destino che aveva sempre desiderato. Lui che era stato per lei balsamo e veleno. Lui che, solo perché esisteva, in qualche modo aveva tenuto insieme i pezzi raccolti da Vivi, Hari e tutti gli altri, l’aveva costretta ad affrontare il suo dolore e l’aveva spinta fuori dal baratro di lutto, sofferenza e rassegnazione da cui non sarebbe mai riuscita a uscire con le sue sole forze. Lui che era morbido in un oceano di picchi aguzzi. Lui che amava come un fratello e più di un fratello. Lui che quel giorno, trentacinque anni prima, le aveva restituito la libertà di scegliere la sua strada. Lui che per lei era sempre stato e sarebbe stato per sempre tutti i colori del mondo. Aleksej.
– Hai visto che sarei venuta a cercarti?
E successe in un abbraccio: ritrovò davvero la parte di sé che era rimasta con lui, a combattere fino all’ultimo, a morire insieme a lui e ai suoi amici, compagni, fratelli. La parte che aveva visto l’impossibile impresa che avevano compiuto, ma anche la fine di ciascuno di loro. La ritrovò e si sciolse in una gioia senza pari, sentendo che ormai apparteneva a entrambi, ma anche a tutti quelli che piano piano iniziava a distinguere intorno a loro.
Tutti, proprio tutti erano esattamente come se li ricordava. E lei? Come la vedevano? Era ancora vecchia e malata o di nuovo giovane e forte? E quanto poteva essere stupido quel pensiero? Era finalmente lì! E la sua memoria era talmente viva che era come se non fosse passato che qualche giro di clessidra da quando li aveva salutati per l’ultima volta! E aveva così tante storie da raccontare! Soprattutto a…
Hari… dov’era Hari?
– È lassù, vai a raggiungerlo!
Si mise a correre: si sentiva leggera come non era mai stata. Svoltò oltre l’angolo dove trentacinque anni prima aveva accettato di diventare Profeta Errante. Lo vide e lui si voltò. Si sorrisero all’unisono prima di correre l’uno nelle braccia dell’altra. E fu come se un fiume si riversasse intorno a loro: quante storie aveva impresso nella sua memoria! Lo aveva fatto per lui, lui che era vissuto di racconti per più di metà della sua vita… ogni viaggio intrapreso, ogni missione compiuta, ogni voto di vendetta suggellato aveva portato con sé così tante storie, e adesso poteva raccontargliele tutte!
Stava ancora scegliendo da dove cominciare quando la Bianca Signora la prese nuovamente per mano, scostandola delicatamente dal migliore amico che potesse mai esistere.
– Non sempre il valore si misura con la gloria, sai? – le spiegò con un sorriso. – Tu vieni da una piccola Caponord in mezzo al deserto, in cui è un’impresa eroica anche solo sopravvivere ogni giorno, mantenere in vita le tradizioni passate, sostenersi a vicenda per il bene di tutti… E chi è morto aiutando i propri compagni a mettersi in salvo avrà sempre un posto al mio banchetto.
Trattenne il respiro, perché aveva capito. Alzò lo sguardo mentre la Bianca Signora scostava il suo mantello e incontrò gli occhi scuri di un adolescente magro e sgraziato, occhi che le erano mancati come l’aria, mani che aveva sempre sperato di poter stringere di nuovo, e la voce, la sua voce che era tutto:
– Te lo avevo detto o no, che andare a Caponord sarebbe stata l’avventura più incredibile che ti potesse capitare?
A voi che avete condiviso il mio viaggio
Un viaggio solitario ma pieno di calore
Un viaggio doloroso ma pieno di speranza
Un viaggio silenzioso ma pieno di parole
A voi
Grazie di essermi stati vicini.
E.