Il vecchio bardo arrancava lungo il sentiero, imprecando tra sé.
Si era attardato troppo e adesso il sole calava all’orizzonte, incendiando le cime degli alberi e le colline delle Lande Selvagge. Ben presto sarebbe stato buio, e non era mai saggio trovarsi di notte, da soli, in quelle terre, lontano dalla protezione di un Vico.
Jonas il bardo lo sapeva bene e si diede doppiamente dell’idiota. Contava di raggiungere le borgate esterne di Velathri entro sera e invece il sentiero proseguiva imperterrito nella boscaglia e tra le basse colline invase dai rovi, senza dar segno di volerlo portare ad alcun luogo civile. L’ultima fattoria di pionieri che si era lasciato alle spalle era ormai troppo lontana per tornare indietro a chiedere ospitalità per la notte, e comunque la coppia che vi dimorava gli aveva fatto capire fin troppo chiaramente che non avevano alcun interesse a barattare una delle sue storie per un boccale di vino caldo e un tozzo di pane.
– Ignoranti bifolchi – borbottò tra sé Jonas. Un tempo veniva accolto con gioia in ogni casa e in ogni locanda, gli venivano tributati gli onori dovuti a un cantore errante e i bambini facevano a gare per sedersi in prima fila, davanti al fuoco, per ascoltare le sue storie. Ma allora era più giovane e vagava nelle Quietilande e nelle Piane Centrali. Allora non c’era stata la guerra, che aveva inaridito le terre e i cuori. Jonas aveva imparato che la gente era molto meno propensa ad ascoltare le storie, quando aveva il suo bel da fare per guadagnarsi il cibo o per mantenere la testa attaccata al collo. Inoltre, negli ultimi anni della guerra, il sospetto aveva avvelenato ogni cosa: chi assicurava che quel bardo non fosse in realtà una spia dell’Impero o dei Ribelli? Ormai nessuno si fidava più di nessuno e Jonas, senza più un soldo neppure per aggiustarsi lo strumento, una vecchia cetra che apparteneva alla sua famiglia da generazioni, si era diretto a ovest in cerca di fortuna. Grazie all’editto emanato con il diritto della Prima Luna avrebbe potuto ricavarsi un pezzo di terra tutto per sé, ma non era mai stato bravo a lavorare i campi e la sua anima vagabonda odiava rimanere troppo a lungo nello stesso posto. Così si era ridotto a vagare per la Scacchiera, tra un Vico e l’altro, guadagnandosi da vivere con le sue storie.
– Non vivrò tanto a lungo, se non trovo un riparo per la notte – si lamentò. Aveva preso l’abitudine di parlare da solo molti anni prima e non l’aveva mai più persa. Aiutava a scacciare la solitudine.
Il sole scomparve all’orizzonte e il coperchio della notte calò sopra le sue spalle, pesante come un sudario. Nonostante la temperatura si fosse notevolmente abbassata, tanto da costringerlo ad aggiustarsi intorno al collo il mantello da viaggio, Jonas si scoprì le mani ricoperte da un sudore freddo che aveva l’odore acre della paura.
Conosceva bene i pericoli che si annidavano nella Scacchiera: oltre a lupi e cinghiali dal pessimo carattere, quei luoghi ospitavano cricche di briganti della peggior risma, feroci troll e sciamani vendicativi che non esitavano a punire chiunque varcasse per sbaglio i loro confini o profanasse i loro luoghi sacri. Peccato che non li segnalassero, questi stupidi confini, e che cambiassero più o meno ogni luna, così poteva capitare di imbattersi all’improvviso in un cromlech senza volerlo, e finire tra le grinfie degli sciamani, la Spirale se li portasse via tutti quanti!
Una baracca. Una grotta. Un vecchio rudere abbandonato. Jonas si sarebbe accontentato di qualsiasi cosa, pur di non dover rimanere a dormire allo scoperto da solo.
Proseguì fin quando non fu buio pesto. Adesso faticava persino a scorgere il sentiero e aveva paura di perdersi.
Quando ormai sentiva montare la disperazione, udì il rumore di zoccoli. Provenivano dalle sue spalle. Esitò, incerto, guardando da un lato e poi dall’altro. Forse erano dei viaggiatori come lui, più probabile dei briganti, e allora era una buona idea gettarsi tra la boscaglia per non farsi trovare…
Troppo tardi. La luce di una lanterna si affacciò sul sentiero e scorse due cavalieri che si avvicinavano al galoppo. Ormai lo avevano scorto.
Mormorando una preghiera agli Angeli del Pandemonio, Jonas non potè far altro che rimanere immobile, attendendo di conoscere la propria sorte.
I due cavalieri tirarono le redini, arrestando i cavalli in modo da fiancheggiarlo e tagliargli ogni via di fuga. Uno di loro teneva alta la lanterna e, al chiarore tremolante, il bardo capì che si trattava di due donne in armatura, intravedeva il luccichio del metallo e del cuoio borchiato sotto ai mantelli da viaggio.
– L’ora è tarda per marciare in questi luoghi – disse la donna.
– E solo gli incauti si avventurano di notte da soli nella Scacchiera – aggiunse l’altra, passando la gamba a cavalcioni sul pomolo della sella e scrutandolo dall’alto – Chi sei?
Jonas non vide motivo di mentire. – Sono un umile bardo – rispose, allargando le mani a mostrare di non aver armi con sé, soltanto l’amata cetra – Contavo stasera di trovar riparo presso Velathri, e di barattare una bella storia con un letto caldo, ma purtroppo ho smarrito la via e la notte mi ha colto sul sentiero.
Le due donne tacquero. Jonas poteva percepire i loro occhi frugarlo, come perquisendolo. La donna che teneva la lanterna, con una matassa di capelli ricci arruffati, diede uno sguardo anche alla boscaglia circostante, come temendo un agguato. Dopo qualche attimo, si rilassò e annuì appena, in quello che doveva essere un gesto d’intesa.
– Allora sei fortunato che ti abbiamo trovato – affermò infine l’altra donna. Nonostante il mantello che ne copriva rozzamente le forme, Jonas poteva cogliere la sua altezza ragguardevole e le spalle ampie di chi è abituato al lavoro pesante e a menar le mani.
– Ti scorteremo in un luogo sicuro.
Il bardo considerò le alternative: se fossero appartenute a qualche cricca, le due sconosciute lo avrebbero già attaccato e derubato. Non aveva niente da perdere ad andare con loro.
– Vi ringrazio, mie signore.
La donna alta rise. – Non siamo signore, te lo assicuro. Adesso in marcia. È tutto il giorno che sono in sella e le mie chiappe cominciano a protestare. Non vedo l’ora di sdraiarmi davanti al fuoco con un bel boccale di birra.
Trattennero i cavalli, per adeguarsi al tuo passo, e ripresero ad avanzare lungo il sentiero. Jonas cominciò a sentirsi un po’ più fiducioso: con quella scorta armata, almeno gli animali si sarebbero tenuti lontani.
– Se posso chiedere… – si schiarì la voce – come mai vi trovate anche voi così lontane dalla protezione dei Vichi?
– Stavamo seguendo delle tracce – rispose sbrigativa la donna alta – Pensavo che questa volta fossi vicina, che l’avessi trovato, finalmente… invece si trattava di un altro vicolo cieco, dannazione!
– Dovresti smetterla di esserne così ossessionata – commentò la compagna, con il tono di chi si conosce da lungo tempo – E di correre rischi inutili. Il bardo ha ragione, muoversi da soli nella Scacchiera è una pazzia. Prima o poi finirai davvero per farti ammazzare.
L’altra sogghignò: – Chi è più pazza? La pazza, o la pazza che la segue?
Ricevette solo un sospiro rassegnato in risposta.
– E quanto a te, cantore – riprese la donna – Perché non ci racconti una bella storia per allietarci il cammino? È il tuo lavoro, no?
Il mio lavoro quando me ne sto seduto, al calduccio, con lo stomaco pieno, invece che ad arrancare in un sentiero in mezzo al niente dopo una giornata intera di cammino, pensò Jonas, ma si guardò bene dal pronunciarlo ad alta voce. Aveva imparato a non contraddire la gente armata. Così costrinse i suoi polmoni a un ultimo sforzo e cominciò: – Con piacere, mie… mie guerriere. Avete qualche richiesta in particolare?
– Raccontaci di qualche battaglia – la donna fece un gesto vago – Le storie d’amore mi annoiano a morte.
Jonas aveva già in serbo quella che era stato il suo cavallo di battaglia nelle ultime lune. – Ordunque, vi narrerò l’epica riconquista del Vico di Nebin!
Fu ricompensato dal lampo di interesse che vide accendersi negli occhi della donna.
– La conosco, ma sono curiosa di riascoltarla.
– Molto bene. Come saprete, da tempo il vecchio insediamento di Nebin era caduto nelle mani delle più vili cricche della zona. Più volte gli altri Vichi, su richiesta in particolare della Camarilla degli Esoteri e del suo capo, Mastro Mordecai, avevano assegnato il compito di riconquistarlo a varie compagnie di ventura, ma i briganti si erano asserragliati tra le sue borgate e le difendevano con le unghie e con i denti, fidando nella propria superiorità numerica e nella posizione di vantaggio. Ma quel giorno fu diverso. Quel giorno, per la prima volta nella loro storia, tre compagnie di ventura avevano un piano ben preciso e forgiarono tra loro un’alleanza. Così all’alba, quando i guerrieri dello Spiantato e del Crepuscolo attaccarono congiuntamente le porte principali della borgata, le trovarono aperte: gli scaltri membri del Sussurro erano già penetrati all’interno delle mura nel cuore della notte, fidando nelle tenebre e nei loro sotterfugi, addormentando, sgozzando e avvelenando le sentinelle. Ma ancora le cricche asserragliate all’interno delle mura erano più numerose e decise a mantenere la loro roccaforte. Si scatenò una battaglia cruenta, che durò tre giorni e tre notti, con lo Scudiero dei Ducati e la temeraria veterana dell’Ovestvallo a guidare le truppe.
– Temeraria… – ripetè la donna alta, facendo schioccare la lingua – Mi piace.
– Aggiungerei modesta – commentò la compagna – E da quel che sapevo, la battaglia era già terminata nel pomeriggio, è una rogna assaltare una roccaforte al buio…
– Ssst, non fare la guastafeste come al solito!
– E dopo tre giorni e tre notti, in cui i combattenti fecero danzare le loro lame e i guaritori ricucirono decine e decine di orribili ferite sotto la supervisione dei medici di campo, – riprese Jonas con tono solenne, ignorando le interruzioni – le cricche dovettero abbandonare la borgata e si diedero alla fuga nella foresta, decise a condurre un feroce agguato contro le retroguardie dello Spiantato e del Crepuscolo. Ma lì le aspettavano gli esploratori guidati dall’astuta Cyra la Gazza e gli svelti seguaci di Brando del Sussurro: da cacciatori, le cricche divennero prede e furono sgominate. E così, sul vecchio insediamento liberato fu fondato l’attuale Vico di Nebin e Mastro Mordecai se ne proclamò Altomastro, in nome dell’Insonne Dagon. Quanto ai valorosi che avevano condotto a tale gloriosa vittoria…
– Gloriosa un corno – borbottò la donna con la lanterna – Dillo a quanti sono morti o rimasti mutilati sul campo di battaglia…
– … cioè l’astuto Leone del Sussurro, l’austero Balthazar lo Spiantato e la feroce Ottavia del Crepuscolo, divennero gli Alfieri di quelle che si sono elevate a esser le principali Masnade della Scacchiera, nonché i fondatori del sodalizio che adesso le unisce. Perché l’unione fa la forza, e chissà che quest’alleanza non porti infine una pace duratura nelle selvagge caselle della Scacchiera.
Si interruppe, riprendendo fiato. Non era più giovane e parlare mentre camminava gli costava un discreto sforzo. La donna alta gli passò una borraccia e Jonas bevve grato qualche sorso per rinfrescarsi la gola. Il liquore gli scese caldo lungo la gola.
– In che senso, feroce? – domandò – Ottavia del Crepuscolo, intendo.
– Beh, come altro volete chiamarla? – il bardo si asciugò la bocca col dorso della mano e le restituì la borraccia – Dicono che possieda la forza di tre uomini, che non conosca paura né pietà, e che combatta armata di un terribile mazzafrusto, in grado di staccare con un sol colpo la testa di qualsiasi malcapitato sia così folle da contraddirla o trovarsi sul suo cammino.
La donna alta si rivolse alla compagna. – Secondo te, chi lo dice?
– Sicuramente non i tizi che sono finiti decapitati – rispose lapidaria l’altra – È difficile ricucire una testa, lo sai.
– A esser sinceri, non auguro a nessuno di incontrare una donna del genere sulla sua strada – commentò Jonas, rinvigorito dal liquore – Voglio dire, a me piace tenermi la testa ben attaccata al collo.
– Piace a tutti, cantore – annuì la donna – Ma non sempre è possibile. E non sempre possiamo ottenere ciò che vogliamo. La violenza ti piove addosso quando meno te lo aspetti, e sappiamo entrambi che un animale ferito ha di fronte soltanto due possibilità: o voltare le spalle e fuggire come un vile cerbiatto, o rispondere attaccando con pari violenza. A volte, l’unico modo per ottenere la pace è prepararsi alla guerra.
Camminando, il sentiero si era inerpicato lungo le pendici di una collinetta brulla, da cui si dominavano la piana e la foresta sottostante. Sulla sommità, facilmente difendibile, Jonas scorse ardere decine di fuochi.
– Siamo arrivati al campo – lo informò la donna.
Il bardo era sorpreso. Man mano che si avvicinavano, distingueva il brulichio degli uomini che si muovevano di vedetta, le sagome di tende tirate su in file ordinate, come in un accampamento militare.
– Chi sono? – osò infine chiedere.
– Siamo il Crepuscolo – ripose la donna con la lanterna. Avvicinò il lumino ormai inutile al volto e soffiò per spengerlo.
Le sentinelle li avevano scorti e un drappello mosse loro incontro, recando con sé uno stendardo che garriva alla lieve brezza notturna: un sole e un’ascia conficcata in un ceppo, su sfondo verde come le montagne e arancio come il cielo al tramonto. Jonas fu ancora più stupito, quando vide uomini e donne portare rispettosamente il pugno al petto, all’altezza del cuore, chinando il capo in cenno di rispetto di fronte alla donna alta.
– Com’è andata la caccia?
– Un altro buco nell’acqua – rispose lei, scrollando le spalle, poi indicò il bardo – Portate quest’uomo ai fuochi e rifocillatelo.
Smontò da cavallo e così facendo il mantello da viaggio si scostò, lasciando scorgere sotto di esso il grosso mazzafrusto assicurato con cinghie alla sella.
Jonas rimase a fissarlo attonito per un lungo istante. – M-ma allora voi s-siete… – balbettò.
Ottavia, Alfiere del Crepuscolo, si concesse un sogghigno divertito. – Mi è piaciuta la tua storia, cantore – disse – Perciò non ti staccherò la testa dal collo.