Un amore più grande

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Stava studiando a lume di candela quando udì il clamore fuori dalla tenda.

Sollevò la testa del libellum medicum: un’edizione fresca fresca di un luminare della Regia Accademia, giunta nella Scacchiera insieme ad altre merci sui carri di una carovana diretta a Ramana, che trattava di piante e altre sostanza additive, dal loro ruolo terapeutico fino al trattamento delle loro complicanze.

– Cristilde! – sentì chiamare.

La voce di Francisco. Seguita da una colorita imprecazione di Aldo.

Di nuovo!

Non perse tempo a lasciare il segno sulla pagina a cui era arrivata nella lettura. Afferrò la scarsella da cerusico e si precipitò all’esterno.

Le giornate si stavano allungando e, nonostante l’ora di cena fosse passata da un pezzo, l’ultimo dito di rosa del tramonto accarezzava l’orizzonte a occidente, mentre cominciavano ad accendersi i fuochi da campo. Al loro chiarore Cristilde scorse Francisco, Aldo e un’altra mezza dozzina di Ragazzi che trattenevano a terra una figura che a prima vista poteva sembrare un animale rabbioso.

Ottavia ringhiava e schiumava, dimenandosi nel furioso tentativo di liberarsi. Aveva il volto madido di sudore e gli occhi allucinati, che guizzavano da una parte all’altra. Qualunque cosa stessero vedendo, in quel delirio, doveva essere tremendo.

Cristilde accorse e Francisco le rivolse un’occhiata quasi disperata. – Sbrigati, cazzo, non riusciremo a tenerla ferma a lungo!

La cerusica estrasse una siringa già piena dalla scarsella e afferrò il braccio di Ottavia. La pelle era fredda e sudata al suo tocco, e il battito del polso era rapido come il respiro di un cavallo in corsa. Con l’altra mano conficcò la siringa nell’incavo del gomito e premette lo stantuffo, osservando il liquido biancastro fluire rapido nella vena.

L’effetto non tardò a manifestarsi. Gli strattoni convulsi si fecero più lenti e deboli, fino ad arrestarsi del tutto. Con un mugolio, Ottavia si accasciò su se stessa, il respiro affannoso.

– Potete lasciarla – informò Cristilde.

Francisco e gli altri Ragazzi non se lo fecero ripetere. Si tirarono indietro, scarmigliati, i volti e le braccia scoperte ricoperti di graffi sanguinamenti ed ematomi che già cominciavano a gonfiarsi. Ottavia, pur disarmata, aveva lottato con le unghie e con i denti prima di farsi atterrare, infliggendo più danni di un troll infuriato.

– Che cazzo! – brontolò Aldo, raccogliendo il suo cappellaccio che era finito al suolo, e scrollandolo dalla polvere – Ecco che succede a bere solo acqua! Sempre detto che fa male… è già la terza volta questa settimana…

– Aldo – qualcosa, nel tono di Cristilde, convinse il tamburino della masnada del Crepuscolo a chiudere la bocca, per una volta. Si calcò il cappello in testa e, borbottando tra sé, si allontanò tra le tende del campo.

– Aldo ha ragione.

Cristilde tornò ad abbassare lo sguardo. Ottavia cercò di sollevarsi su un ginocchio. Aveva la casacca sporca di terra e il volto rigato di polvere mista a bava e sudore. Se lo pulì con il dorso della mano, ancora scossa da un leggero tremito. Gli occhi azzurri erano offuscati, ma per lo meno sembrarono metterla a fuoco.

– Aldo ha ragione – ripetè – Una volta o l’altra finirò davvero per ammazzare qualcuno dei nostri.

– Meno male allora che ci siamo io e gli altri cerusici a cercare di evitarlo – Cristilde le tese la mano per aiutarla a rialzarsi, ma Ottavia la ignorò deliberatamente. Si sollevò a fatica, tamponandosi con una mano il punto in cui era penetrato l’ago della siringa. Un sottile filo di sangue le colava ancora lungo il gomito.

– Che cazzo mi hai iniettato stavolta? – E prima che la cerusica potesse rispondere – benzodiazepine e concentrato vitaminico, il meglio che posso fare finora, ma ci sto lavorando… – scosse la testa – No, non importa, non me ne frega un cazzo!

Cominciò a barcollare verso le tende, mentre il muto capannello di gente che si era raccolto intorno si apriva per lasciarla passare. Cristilde fece per seguirla e per porgerle la spalla come sostegno, visto che sembrava stare in piedi per miracolo, ma Ottavia la respinse. – Lasciami stare! Sono come un animale da abbattere!

La cerusica prese un respiro. – Nessuno pensa che tu sia un animale da abbattere. Sei il nostro Alfiere…

– Ma lo sono! – le si rivoltò contro, afferrandola per il bavero della camicia, poi subito la lasciò andare e fece un passo indietro, prendendosi la testa tra le mani. – Non so cosa mi prende, da quando mi sono gettata come una stupida in quel fottuto pozzo dietro ad Amanita, che non era Amanita, ma da allora…

– Lo so – annuì Cristilde. Sapeva che, anche in quel momento, Ottavia stava rivivendo quella scena nella sua mente: ritrovarsi tra le braccia la testa mozzata dell’amata, e poi per un attimo assaporare l’illusione di poterla riabbracciare. Per stringere infine tra le mani il nulla, se non dolore.

Ottavia gemette, strinse le palpebre, per scacciare qualunque visione la stesse tormentando, si premette il pugno contro la tempia. – La testa mi scoppia, mi sembra di impazzire. Così non ce la faccio. Non ce la faccio! Ho bisogno, bisogno…

Cristilde se lo aspettava, ma ebbe comunque la sensazione di aver perso la battaglia. E tutto quanto. Di nuovo.

– Alcol – ordinò, e dato che tutti intorno sembravano statue di sale sbottò: – Avanti, portate dell’alcol! Birra, vino, rum, del fottuto alcol! Volete che abbia un altro attacco?

Finalmente qualcuno le allungò una fiaschetta. Cristilde non si curò di controllare se si trattasse di Greg, Gastone o chiunque altro. La premette contro le labbra di Ottavia, che dopo il primo sorso gliela strappò di mano e la scagliò via, imprecando e sputando a terra.

– Bruci l’Impero, Cris, proprio tu vuoi farmi cedere?

– Non ti rendi conto che non puoi smettere di bere così d’improvviso, dopo tutti questi anni? – replicò la cerusica – Dovresti farlo un po’ alla volta, così rischi di ammazzarti sul serio per l’astinenza!

– Si fottano l’astinenza e le tue lezioni di vita, sono l’ultima cosa che mi serve adesso – biascicò Ottavia, per poi rivolgerle un’occhiata di traverso – Guarda che, se non ti piace quello che faccio, non sei obbligata a restarmi accanto.

– So anche questo…

Ottavia la interruppe con una risata amara. – Già, beata te che sai tutto – sibilò – Perché io non so più niente!

Detto questo, voltò le spalle a lei e agli altri presenti e si allontanò nel buio.

Di punto in bianco, a tradimento, Cristilde ricordò le parole che le aveva scagliato contro suo padre, una sera di molti anni prima.

Devi fare quello che non puoi non fare.

Buffo ripensarci proprio in quel momento, così lontano dalla sua terra natale. A quel tempo aveva creduto che fosse una stronzata: suo padre voleva solo convincerla a sposare lo stupido nobilotto locale che lui le aveva scelto.

E lei per tutta risposta era scappata di casa per entrare nell’Accademia militare.

Adesso, forse, riusciva a dare un vero senso a quelle parole.

Si accorse di aver stretto i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne. Li rilasciò lungo i fianchi, reprimendo l’impulso di seguire Ottavia per… far cosa? Consolarla? Tediarla con le sue lezioni di vita?

La conosceva abbastanza bene da capire quando aveva bisogno di stare da sola almeno per un po’.

Distolse lo sguardo dal punto in cui l’Alfiere era scomparso e si concentrò sugli altri membri del Crepuscolo, che per tutto il tempo non avevano osato aprir bocca. – Ci sono feriti?

Ce n’erano, ovviamente. Prima di essere disarmata, Ottavia era riuscita a mettere a segno un paio di bei colpi, e anche Francisco sanguinava copiosamente da un trancio poco sopra la tempia. Per fortuna Anastasia e Iena si erano già messi all’opera, aggiustando le ossa fratturate e ricucendo i tagli più gravi.

Cristilde provò un moto di orgoglio per quei ragazzi.

Katrina Raula le si accostò, affiancata da Lana. La matrona, che durante quelle lune si era unita alla masnada per imparare le arti belliche di Ottavia, per fortuna pareva illesa. Forse, ragionò Cristilde, non sarebbe sopravvissuta tanto a lungo nei bordelli di Scentiar, se non avesse imparato a cogliere il momento di togliersi di torno quando le cose si mettevano male.

– Vuoi… – cominciò Raula, strisciando i piedi – Vuoi che andiamo a vedere come sta?

Cristilde scrollò le spalle. – Lasciatela andare, quando sarà più calma tornerà nella sua tenda. Anzi, sarebbe bene che ci tornassimo tutti quanti. Domani dovremo riprendere la marcia per Rodomonte, se vogliamo arrivare insieme alle altre Masnade.

Mentre le due si allontanavano, sentì Lana commentare: – Succedono così spesso queste cose al vostro campo? Voglio dire, non è che nel Sussurro siano tutti sani di mente, anzi, basta guardare l’Alfiere, ma certo che voi…

Finalmente il capannello di gente cominciò a disperdersi, ma quando fece per andare a raccogliere la sua scarsella Cristilde notò che Vinicio, Greg, Ciri, Hetzi, Istrice, Iena, Xorba, Gig e Feris erano in piedi intorno a lei, le mani dietro alla schiena, e tutto l’aspetto di cani bastonati.

– Cristilde… – cominciò Greg, schiarendosi la gola – Credi che potrei riavere la mia fiaschetta? Cioè, ne ho altre, ma a quella sono affezionato…

– Cercherò di fartela restituire domani.

– E… – aggiunse Hetzi – Dov’è andata ora Ottavia?

– Immagino a sfogarsi con qualche povero albero, prima di tornare nella  tenda.

Vinicio tossicchiò. – Ma le avevamo strappato la promessa di non bere mai più, e sei proprio tu a mollare, cercando di infilarle l’alcol in gola… – pigolò lamentoso.

Sembrava un bambino deluso dal genitore che gli aveva promesso dei dolcetti e poi l’aveva mandato a letto senza cena. Sarebbe stato quasi comico, se Cristilde fosse stata dell’umore giusto.

Ma non lo era.

Per niente.

– Ma non capite che non c’è altra strada? Cosa diamine vi aspettavate? – sbottò – Per gli Astri, le avete permesso di infilarsi dentro un maledetto pozzo! Pensavate che non ci sarebbero state conseguenze? Forse, e dico forse, in condizioni normali Ottavia sarebbe stata anche in grado di rispettare il voto che le avete estorto, menandola senza ritegno in branco perché da soli vi avrebbe fatto a pezzi uno a uno. Ma dopo quello che ha passato in quel sotterraneo, dopo l’influsso che una voragine piena di magia grezza può aver avuto su di lei… e che cazzo avete da guardarmi tutti, come se io avessi una soluzione per i vostri errori, per i miei errori, e per tutto quanto?

Dovette fermarsi per riprendere fiato. I ragazzi la fissavano, gli occhi sgranati, e di colpo Cristilde sentì scemare via tutta la rabbia che teneva dentro. Che senso aveva prendersela con loro? E non aveva imparato che perdere il controllo non serviva a niente, se non a commettere errori ancor peggiori?

– Scusate, non ce l’ho con voi – si passò una mano tra i ricci – Non più di quanto ce l’ho con me stessa. Solo… ho passato anni a provare di tenerla lontana dall’alcol, e adesso mi trovo io stessa a doverglielo somministrare contro la sua e vostra volontà…

Era così frustrante da farla uscire di testa.

Iena sospirò. – Abbiamo provato a fermarla, davvero.

– Avete fatto del vostro meglio – annuì Cristilde – Che l’Impero sia caduto o meno, il mondo è sempre popolato da persone che fanno del proprio meglio, e spesso non basta, anzi…

Non c’era molto altro da dire. Vinicio e gli altri, dopo averle lanciato un’ultima occhiata affranta, si ritirarono alla spicciolata presso i propri alloggi. Cristilde augurò loro di riuscire a riposare, anche se ne dubitava: ormai quasi ogni notte erano funestati da incubi riguardo quella creatura che aveva incontrato lei stessa all’interno della Casa delle Ombre della borgata di Villamasca.

Un’esperienza che avrebbe preferito dimenticare.

Scuotendo la testa, andò a raccogliere la scarsella da cerusico. Nella fretta di somministrare i medicamenti a Ottavia, gran parte del contenuto si era rovesciato sul terreno. Cominciò a riporre gli strumenti e le ampolle al proprio posto, cercando di sfogare in quella meticolosità il senso di impotenza che le graffiava dentro. Da una parte ago e filo, assicurati ai lacci di cuoio siringhe e bisturi, e in fondo garze e…

La mano le tremò e per un breve istante il solito mancamento la colse, accompagnato dall’assurda sensazione che in fondo alla scarsella mancasse qualcosa…

– Tutto bene?

Cristilde trasalì e per poco non lasciò cadere l’ampolla che stringeva tra le dita.

– Perdonami – disse Xorba, uscendo dall’ombra per accostarsi al chiarore di un fuoco – Non volevo spaventarti.

– Ero solo sovrappensiero – ribattè la cerusica. La strana sensazione era sparita, rapida come era venuta, lasciandole solo un nodo tra lo stomaco e la gola e un rivolo di sudore freddo lungo la spina dorsale. Finì di riporre i medicamenti al loro posto e si sollevò. – Avevi bisogno di qualcosa?

– Sì – rispose Xorba.

Nient’altro.

Tante cose si potevano dire di quella mezz’elfa, ma non certo che fosse loquace.

Il silenzio si protrasse per qualche istante, interrotto dallo scoppiettio dei ciocchi nel fuoco da campo.

– Tornerai da lei stanotte? – domandò infine Xorba.

Cristilde inarcò il sopracciglio. Non c’era bisogno di chiedere a chi si riferisse. – Se mi stai chiedendo il permesso di andare nella tenda di Ottavia, non sta a me negartelo. Vorrei che qualcuno restasse al suo fianco, in questa notte, chi non è davvero importante…

– Scappiamo insieme.

Cristilde sbattè le palpebre.

– So che te l’ho già chiesto, alla cena – proseguì Xorba, accalorandosi – Te lo chiedo di nuovo.

La cerusica distolse lo sguardo. – Non posso.

– L’unica cosa che non puoi è salvare chi non vuol essere salvato. Soffri, lo vedo giorno dopo giorno. Sei sicura di non soffrire invano?

– No, non lo sono – ammise Cristilde – Non sono sicura di parecchie cose, ma di questa sì: sono scappata per tutta la vita. E i risultati… – scosse la testa – Ma poi, senza alcun senso logico, ho deciso di lasciare tutto e di seguire Ottavia in queste Lande Selvagge. E se tornassi indietro, lo rifarei un milione di volte, e ancora e ancora. Fino a che lei mi vorrà, il mio posto è accanto a lei. Ecco perché non posso scappare con te. Non fraintendermi, Xorba, sei una persona meravigliosa, e in un’altra situazione non potrei desiderare una compagnia migliore, ma… adesso semplicemente non posso. Lo capisci?

Devi fare quello che non puoi non fare.

Questa volta fu Xorba a distogliere lo sguardo, e Cristilde capì di averla delusa. Forse era stata troppo diretta, ma era meglio così. La mezz’elfa non avrebbe avuto problemi a trovarsi un’altra compagnia per quella sera, e si meritava qualcuno che fosse libero di amarla senza se e senza ma.

– Adesso devo andare – concluse.

Xorba annuì. – Capisco – mormorò – Passa una buona nottata.

– Grazie. Anche tu.

Rimase in piedi, a fissarla, mentre la cerusica si avviava verso la tenda dell’Alfiere. Forse pensava che l’aspettasse una notte di passione nel giaciglio di Ottavia… Cristilde invece sapeva che, come gran parte delle sere precedenti, si sarebbe sdraiata al suo fianco, rimanendo per ore ad ascoltare il suo russare sommesso indotto dall’alcol, oppure i suoi singhiozzi spezzati nel sonno.

Amare qualcuno significava più che condividere la branda: significava condividere le gioie quanto i dolori.

E quando i dolori superavano di gran lunga le gioie…

Ci voleva solo un amore più grande.

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