Corro, più veloce che posso, ma lo sento.
E’ qui, i suoi passi rimbombano nelle mie orecchie.
Corro. Sto davvero correndo? Perché non mi muovo?
Cosa vuole da me? Perché vuole me?
Cammino. Non ho più fiato, ma l’aria gelida mi penetra nei polmoni come mille aghi di ghiaccio.
Se faccio silenzio, finalmente mi lascerà stare?
No, forse meglio chiudere gli occhi.
…
Perché non riesce a smettere…? Perché continuo a VEDERE?! BASTA!! Ho paura!
Mi guardo attorno, quasi paralizzato dal terrore… Ma lo sento, è vicino, tanto da scaldare l’aria attorno col suo fiato. Che bestia immonda è mai questa..?
I passi riecheggiano, sempre più forte, li sento nella testa, lì sento nel petto. Un ritmo unico, un solo tamburo col mio cuore, tutto vibra, tutto trema.
Non voglio ascoltare, ho paura mi prenda…
.. Forse, se tappo le orecchie, non mi trov…. Non può essere.. Basta. Fatelo smettere, BASTA! AIUTO!
Perché sono fermo? Chi mi tiene?
No, lasciami andare!! Non voglio, non voglio guardarti, tieni giù l’elmo!
Cos’hai in quel sacco..? No, scordatelo, non la voglio, non mi convincerai MAI!
No, lasciami andare, non picchiarmi, lasciami! Che tu sia dannato, Balthazar!
… il mattino seguente…
Balthazar si asciugò la fronte, le carte che aveva tra le mani erano alquanto numerose, e le ore di sonno scarseggiarono quella notte.
Non ancora totalmente lucido, intinse la sua penna nel calamaio, pronto a leggere e compilare gli innumerevoli rapporti dei suoi esploratori.
Allan irruppe velocemente all’interno della tenda comando, facendo sobbalzare l’Alfiere per la sorpresa.
Non fece in tempo ad urlare contro al guerriero che questo lo interruppe.
“Sono queste le chiavi dell’armeria?” disse, afferrando l’anello di ferro brunito del mazzo posto sul piccolo, ma comodo, tavolo che Balthazar portava con sé per la Scacchiera.
“Sì, ma ti pare il mod..” provò a ribattere, ma si interruppe vedendo Allan voltarsi di scatto con le chiavi in mano e dirigersi verso l’uscita della tenda, lasciando l’Alfiere a bocca aperta, complice la stanchezza.
Passò mezzo giro di clessidra abbondante, e, non vedendo più nessuno tornare, intinse nuovamente la punta della penna nell’inchiostro nero, per poi posarla delicatamente sulla pergamena srotolata sul tavolo.
Ebbe il tempo di scrivere la prima lettera della complessa frase che stava faticosamente prendendo forma nella sua mente, che nuovamente la tenda si aprì all’improvviso, seguito dal salto sullo sgabello che Balthazar fece dallo spavento. Questo era troppo.
Si alzò, posò la penna sulla pergamena per cominciare la sua solita, eterna filippica contro Allan, ma si bloccò sgranando gli occhi mentre osservava il pezzo di carta ricoperto di inchiostro: il calamaio vuoto stava ormai versando le ultime gocce rimaste al suo interno.
Guardò Allan, e vide che portava in braccio un’armatura di cuoio, abbastanza impolverata e sporca di chissà quali sostanze e liquidi.
Allan posò il mazzo di chiavi sul tavolo, non curante del disastro che si era scatenato sul tavolo, e guardò il suo Alfiere. Entrambi poterono notare il gonfiore delle loro occhiaie.
“Adesso, io prendo questa e andrò al campo di addestramento. Mi chiuderò nella lizza per tutta la giornata e non ne parleremo più, d’accordo? E non guardarmi così, Balthazar! Ho già la mie a cui pensare, non serve che mi torturi anche mentre dormo!”, e se ne andò, senza dare all’altro la possibilità di rispondere.
Balthazar restò in piedi, gli occhi ancora spalancati e la bocca mezza aperta, confuso dalla scena appena vissuta. Si sedette dopo una manciata di secondi, i gomiti sul tavolo e le mani a tenere la fronte. Guardò nuovamente il pasticcio sul tavolo, poi prese il calamaio, lo chiuse e posò accanto. Si alzò e andò verso la branda.
Quella giornata necessitava di qualche ora di sonno in più.