“Fra tutti i galeotti che ci sono proprio lui mi doveva capitare?” borbottò tra sè e sè mentre camminava rapidamente sulla terra battuta.
Per un attimo si era dimenticato, distratto, allenando il proprio corpo e la propria mente . Molto male. Come aveva potuto?
Nella sua testa solo il rimbombo, sempre più sordo, di quegli stivali. Tutta colpa di quell’armatura che ancora gli impacciava i movimenti, rendendolo pesante? No, era diverso. D’improvviso il suo mondo era distorto e le sue gambe si erano fatte pesanti. Troppo pesanti.
Un vacillamento, un colpo di tosse.
“Non ci vedo!” sentì gridare accanto a sè.
Vide alcuni ragazzi dello Spiantato, reggersi il volto. Realizzò: era successo di nuovo.
Per un attimo aveva osato illudersi e dimenticare anche questo, di quella volta, di quella nebbia, delle conseguenze.
“Cazzo, mi dispiace!”
Dovette fermare i suoi passi per sincerarsi delle loro condizioni. Niente di grave, fortunatamente, per ora.
Non si conoscono gli effetti a lungo termine sui corpi di chi è sopravvissuto a massicce dosi di Caligine. Nè su chi gli sta accanto.
Si scusò di nuovo e riprese a camminare, senza riuscire a togliersi quella domanda dalla testa.
“Qualcuno morirà a causa mia?”
“Potresti insegnami la scherma, per favore?”
Sospirò. Era andato via così, di botto, lasciandola lì con mille domande e mille perché. Se n’era andato per cercare quel poco di buono, senza nuovamente riflettere alle conseguenze delle sue stesse parole. Era stato forse troppo frettoloso nell’accettare? Non aveva effettivamente chiesto perché, a distanza di un anno che viaggiavano assieme, si fosse fatta avanti semplicemente ora a chiedere lezioni di spada. Era tardi per tornare sui suoi stessi passi? Avrebbe dovuto esprimersi diversamente? Astra, infondo, sembrava fosse andata da lui a chiedere aiuto.
E allora… cos’era quell’espressione sul suo volto mentre se ne stava andando? Perché lo aveva guardato come con rassegnazione? Paura? Era diversa dal solito.
A quelle domande non potè che aggiungerne un’altra: che diamine era successo nella casella precedente?
Decise di scrollarsi il pensiero per il momento, ci avrebbe pensato a sera, al desco con tutti gli altri quando sarebbero arrivati alla nuova casella, a Velathri. Avrebbero parlato con più calma, ora doveva trovare quello stupido.
Non era dove lo aveva lasciato l’ultima volta. Strano e non così strano, dopotutto. Un tizio ubriaco fradicio tende a rimanere nel posto dove perde i sensi, ma non stava trattando con un alcolista qualunque.
Era pur sempre John il problema.
Il fatto era che, nonostante tutte le sue paure, quel poco di buono non era neanche così lontano come si era aspettato. La sua finta cerca da cavaliere era durata meno del previsto.
Seguì le sue impronte fatte di stivali, cappello, ginocchia e… aveva percaso strisciato? Lo trovò infilato di testa in un fosso poco lontano dalla strada.
Nessuno dei passanti lo aveva tirato fuori. Si erano sincerati almeno che fosse ancora vivo?
Si erano talmente tanto abituati al suo perenne stato comatoso che ormai neanche facevano più caso se dormisse o meno?
“Merda, John!” corse dentro il fosso per sincerarsi che almeno respirasse ancora. Ebbene nessuno godette dell’espressione di Allan, tuffatosi nel fango e imbrattato la sua nuova armatura, quando il pirata grugnì russando in risposta.
“Non ho ancora capito come ho fatto ad addormentarmi vicino al mio barile e ritrovarmi improvvisamente a letto. Sporco di fango per giunta. Era il mio barile! L’ho visto riempirsi, avevo coltivato delle speranze… e PUFF! Svanito nel nulla! Credo di essere stato derubato…”
“Ah sì?” ciancicò distratto Allan. Stava mangiando un cosciotto di pollo mentre camminava a fianco del pirata.
John stava massaggiandosi la testa mentre sorseggiava della birra, a suo dire offerta da Cyra.
A sera avrebbero piantato le tende, mancava ancora un giorno di cammino a Velathri. Non era stato un viaggio piacevole, quello spilungone non la piantava di lagnarsi e cercare di ignorarlo non serviva a niente.
“Beh, il mio barile è sparito, ripeto. Per giunta ho dei segni sulla testa, credo di essere stato colpito con un qualcosa di contundente!”
Allan gettò via l’ossicino, stuzzicandosi poi i denti per togliere i rimasugli.
“Tsè, ti sarai colpito da solo nel sonno o sarai inciampato da qualche parte.”
“No, sono stato colpito ti dico!” protestò il pirata “Secondo me qualcuno mi ha colpito in testa per rubarmi l’alcol! Credo sia uno dello Spiantato!”
“John, ti devi fare i cazzi tuoi.”
John guardò Allan con supponenza, rimettendosi il cappello “se mi avessi tenuto d’occhio, nessuno mi avrebbe rubato il barile”
“Oh, per l’amor del cielo John. Fa che Balthazar ti senta allora!”
Ci fu un buon minuto di silenzio tra i due. Il pirata calciava dei sassi a terra mentre camminava mentre l’altro sospirava impaziente, immerso nei suoi pensieri. Forse sarebbe servito qualche attimo in più, una rotazione o due di pace, ma non era nei piani dell’uomo dai capelli ricci e neri.
“Mi devi un barile di alcol.”
“AHHH!!!”
“Però sono contento che Balthazar mi abbia assegnato te come Praefectus. Insieme ci divertiamo sempre!”
“E’ divertente finché a causa tua non mi becco un’altra cicatrice.”
Quella sera sollevarono i calici assieme al resto dello Spiantato, ridendoci su. Per un attimo dimenticarono i flagelli, i doveri e tutti i loro problemi. Alla faccia di quel barile che ormai era lontano, perso chissà dove nella Scacchiera.
Persino Sigrun quella sera ballò e rise prima di dileguarsi per intrufolarsi nel campo del Crepuscolo.
Estrella, che si era addormentata in una strana posizione su di una sedia, venne raccolta dalla pietà di Lucius che ebbe cuore di scaraventarla in branda come una pagnotta.
Ranjan tirò fuori la sua mistura speciale di tè e ne offrì delle tazze ai commensali, utili a suo dire per raccogliere le ultime forze e trasportarsi nelle brande.
Quando ormai erano rimasti in pochi e tutti uomini, Allan fece per ritirarsi nella sua tenda. Nel percorso si accorse della figura di Astra, seduta fuori, il suo profilo illuminato da una torcia.
Si rese conto di non averla vista per tutta la sera. Poteva essere il momento buono per parlare, pensò, fino a quando non scorse anche le figure di Antares e Sigrun leggermente in ombra, a braccia conserte. A giudicare dalle espressioni, sembrava non essere un buon momento.
Decise di rimandare ancora, andando a dormire con mille pensieri. Forse doveva fidarsi del fato? C’era ancora qualcosa in serbo per lui, la voce che aveva sentito a Nebin gli rimbombava nella testa.
Non è ancora il tuo momento.
Un giorno il suo momento sarebbe arrivato.