Un dolore e una gioia. Parte 2

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I paesaggi di Gelbha era stupendi anche all’imbrunire. Il tramonto era caldo e avvolgente ma Vidar sentiva freddo, che fosse un presagio?
Arrivarono nei pressi della dimora di Tyron e Selina.
Cara Vidar sei valsa un bel po’ di denaro vecchia mia. Poco consolatorio, quasi una presa in giro.
Nascoste nelle ombre di alberi e cespugli fecero il punto della situazione.
Era un casolare isolato, tra i campi, con giardino esterno e un grande pergolato pieno di glicine profumatissima, quasi inebriante. Il lilla e il verde ricoprivano quasi totalmente gli altri colori della tenuta.
Nessuno in vista a parte del gatti selvatici e qualche gallina che beccava tra i sassolini dell’aia davanti all’ingresso principale.
Solo una stanza era illuminata, il bagliore delle candele danzava come una danzatrice audace.
Alexa prese la parola, vedendo Vidar molto titubante.
”Andiamo dentro insieme, giusto?” Non voleva lasciarla sola proprio ora. ”No, entro solo io, ho bisogno di sapere che nel peggiore dei casi, tu possa scappare senza conseguenze”. ” Vidar? Cosa cazzo vuoi fare? Cosa vogliono dire queste parole? ”. ”Giuro che cercherò di non fare casini e di metterci poco”. Ormai era monotono e assente, presa da un’attrazione verso quella luce non troppo distante da lei. ”Attenderò quanto vuoi ma voglio una parola segreta, così se hai bisogno me la gridi, magari tuo padre ha una spada o una balestra o che altro! Tu non sai usare nemmeno un cucchiaio come arma…”. ”Alexa basta, non succederà nulla, fidati!”. ”La parola? Non ti lascio andare se no!”. La guerriera incrociò le braccia con sguardo severo. Vidar sbuffò e alzò gli occhi al cielo ”Aiuto?”. ”Troppo banale”. ” Sussurro?”. ”Naaah”. ”Ma che ne so…non mi viene niente…Alcool…” ”Andata, vai”. La spinse, dandole pacche sulle spalle, era agitata, non sapeva cosa aspettarsi, non poteva fare altro che attendere. Le aveva promesso di non interferire, per ora.
Vidar camminava piano, sul sentiero costeggiato dai cipressi e dai frassini. Ai lati campi di ulivi gonfi e pesanti. Arrivò alla porta, nemmeno un’ anima viva, silenzio.
Toccò la porta di legno massiccio con maniglia a battiporta di ottone. Spinse, la porta si aprì, facendo un rumore fine e stridulo.
”Tyron? Sei già a casa?”. La voce rauca e inquisitoria non era cambiata, sempre pronta alla lite e mai calma. Ticchettii e passi a volte strusciati di scarpe costose, di chi non le sa portare.
In un attimo si trovarono una di fronte all’altra.
”Vi…Vidar? Sei tu? Ma…non può essere…tu sei morta, un anno fa…noi…” Divenne bianca, ma non durò molto, si colorirono subito le guance. Selina vestita come una benestante donna di Gelbha, ingrassata e viziata da un anno di bagordi, truccata come una donna dai facili costumi era lì impietrita di fronte a sua figlia, viva.
Vidar dal canto suo non aveva avuto reazioni improvvise e scellerate. Anzi la fissava, immobile, come un giudice severo e impassibile.
”Brutta cretina! Che cosa hai combinato! Se quelli vengono a saperlo ci tolgono tutto!” Ora rossa fuoco in viso e visibilmente scossa, prese un bastone dall’atrio e con tutta la forza in corpo si scagliò contro la ragazza. La colpì varie volte, facendola cadere a terra, viso, mani e schiena, non si fermò neppure quando vide il sangue.
”Ti ammazzo buona a nulla, nemmeno morire…Nemmeno quello”. Vidar non reagiva, era a terra, inerme, sotto i colpi di quella flaccida donna dalla parrucca ormai scompigliata e i vestiti macchiati di rosso.
”Lo sapevo che il veleno non era abbastanza, l’erba cattiva non muore facilmente! Perché sei tornata cagna maledetta! Ora sentirai tuo padre! Oh butterà il tuo cadavere nel pozzo! Che i fottuti astri ti maledicano!”.
Lanciò il bastone in modo isterico, allontanandosi verso il grande salotto ”Mi hai fatto sporcare il vestito e la mia parrucca costosissima di Valdemar! Ora dovrò farmi un bagno lunghissimo, non dovevo licenziare la serva proprio qualche giorno fa, dannazione!”. Finì la frase in tempo per sentire il rumore di uno sputo.
Si voltò. Vidar era in piedi, insanguinata, con il palmo si tolse il sangue dagli occhi e dalla bocca. La fissava non più con gli occhi di chi vuole sapere e capire ma, di chi odia, nel profondo.
Indietreggiò, cercando qualcosa da usare come arma.
”Non sono morta, hai ragione. Dimmi perché l’avete fatto?”
”Fatto cosa? Eravamo poveri…Ce lo dovevi dopo tutto quello che abbiamo fatto per te!”
”Smettila! Chi vi ha pagato? A chi mi avete venduta?”
Vidar pronunciò una frase, scandendo le parole come proiettili alzando il pugno al cielo. Un taglio netto si formò sulla guancia di Selina che, urlando di dolore ondeggiò e finì contro il muro. Un flusso luminoso rossastro confluì in Vidar.
”Ora ti dirò cosa mi hai donato come madre…questo era umiliazione. Quando dovevo mangiare in ginocchio ai tuoi piedi i resti già miseri della vostra cena”.
Il pugno si alzò una seconda volta, un lungo solco si aprì lungo e orizzontale sull’addome della donna, reso visibile dal sangue che usciva a fiotti bagnando il vestito rosa e dorato. La mano, messa per cercare di fermare il dolore lancinante non serviva a molto.
Vidar assimilava quella linfa vitale, guariva fisicamente e si sentiva avvampare.
”Questo era violenza. Avere usato ogni tipo di oggetto per picchiarmi e seviziarmi. Quel bastardo grande e grosso prendeva la mia testa e la schiacciava contro alla porta mentre tu usavi la cinghia ogni sera. Colpa mia vero Selina?”
La donna urlava di dolore e piangeva, trascinandosi verso il corridoio.
Vidar la seguiva, camminando piano, gli occhi azzurri vitrei, ormai assuefatti dalla vendetta.
”Come ultimo ma non meno importante, donna, c’è compianto. Della mia non vita fino alla mia quasi morte. Compianto di essere una figlia senza esserlo mai stata davvero. Compianto di non aver avuto la possibilità di difendermi, di scappare, di…uccidervi.”
Con un ultimo e decisivo taglio arrivato dal nulla, Vidar colpì la madre al collo, che stramazzò al suolo inerme.
Ora, guarita da ogni ferita, si girò lenta in cerca di qualcosa: scritti, documenti, lettere…
Pochi minuti e con passi pesanti e concitati, entrò un uomo grande e possente, in mano un fucile da caccia e un sacco pieno di fagiani. Aveva sentito delle grida ma nulla presagiva quello scempio.
Appena vide Vidar, rimase scioccato, sbigottito ma tutto passò in secondo piano quando vide Selina a terra, ferita a morte da varie coltellate, la sua sagoma disegnata sul muro dal suo stesso sangue. Corse da lei, non degnando nessun’altra attenzione alla ragazza. Prese in mano il corpo senza vita della moglie e cominciò a scuoterlo senza nessun risultato benefico.
”Noooo. Cosa hai fatto, lurida puttana! La mia Selina! Dovevi essere morta, la tua anima doveva essere in una fottuta scatola e il tuo corpo serviva a loro! Troia maledetta!! Era tutto perfetto! Io ti ammazzo!!! ”.
Perse il fucile. lo alzò ad altezza del costato della strega malvagia ma, non fece in tempo a sparare. Una breve cantilena e il terreno sopra e sotto di lui si cominciò a muovere, facendo staccare in modo irrealistico pezzi si soffitto e di pavimentazione. Vorticarono per qualche secondo, poi unendosi, schiacciarono Tyron in mezzo. Esplose in mille pezzi.
Membra di quel grosso e invincibile uomo vennero sparse per il salotto, raggiusero anche cucina e atrio. Muri, lampadari, specchi, tappeti, tutto era ricoperto del proprietario come una firma forse troppo possessiva.
Vidar era cosparsa anch’essa. Si diresse barcollando verso la porta d’entrata, si aggrappò allo stipite e con il fiato rimasto gridò ”Alcool”.
Alexa, come un fulmine arrivò da lei, prendendola prima che perdesse stabilità e forza nelle gambe. ”O cielo, Vidar, sei ferita? Vidar parlami! Cosa è successo?”
”Ho fatto un casino ”. La prese sottobraccio e la portò tra gli alberi.
Si nascosero alcuni giorni successivi nei boschi circostanti, immerse nella natura. Osservando. Nessun testimone. Paura e terrore ma nessuna pista se non una trave messa male e una sfortuna di essere capitati sotto in due.
Che riposino in pace, marito e moglie così gentili e educati, salutavano sempre quando passavano al villaggio.
Vidar non ricordava molto di quello che era successo, come se la sua mente avesse cancellato una tale vendetta così sanguinosa.
In una settimana arrivarono al vallo dove c’erano uomini del Sussurro, lì Vidar si staccò da Alexa, con dispiacere. La guerriera aveva ricevuto una missiva di Ciri, consegnata da un emissario. Questione secondarie di Camarille.
Prosegui il viaggio da sola cercando di ricordare eventuali nomi di persone coinvolte. Non sapeva i mandanti, ma piano piano ricordava i dettagli.
Dentro sentiva che molti avrebbero giudicato il suo gesto vano, immaturo, stupido. Era sicuramente meglio il perdono, l’assoluzione, la pace. Ma lei non voleva essere ben voluta da tutti, non voleva essere in pace. Voleva la vendetta, meritata, desiderata.
Volete sapere la verità? Si stava fottutamente bene. A differenza di tanti lei era leggera, libera e soddisfatta. Non provava nessuna pena. Era pronta e reiniziare da lì. L’ enigma era fatto di pezzi. Piano piano tutti sarebbero tornati a galla.
Tre settimane di viaggio, dove non aveva più paura, si sentiva forte e coraggiosa. Merito di persone amiche e anche di se stessa.
Arrivò nei pressi del ritrovo delle Masnade finalmente.
Era pronta a rivedere tutti quelli a cui teneva. Era pronta a spaccare culi e a curarli… e a toccarli…non si dice Vidar!!

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