Tra Bianco e Nero

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Stoccata, affondo.
I giorni si erano susseguiti uno dopo l’altro da quella fatidica sera. Nella testa di tutti vi era confusione, attesa, dubbio. Che sarebbe stato di tutti adesso? Recarsi a palazzo Alicante, che cosa avrebbero trovato?
Parata, contrattacco.
Attorno solo tensione, le domande a cui nessuno sapeva rispondersi. La sensazione di disagio nel saper che la morte era intrappolata, assieme agli Altimastri. Quelle persone che avevano insegnato e nascosto così tanto fino all’ultimo, erano d’accordo con i Druidi, gli stessi che avevano mentito sulla regina cremisi.
Affondo, parata.
Il panico dei vichi, le arti scomparse, il nervosismo degli alfieri stessi. Si poteva trovare la tranquillità solo nei propri giacigli e, tal volta, neanche lì. Qualcuno era stato unito dalle avversità, qualcun altro dalle necessità, altri per amore.
Stoccata, stoccata.
In questo campo di battaglia tra dolore e morte qualcuno aveva trovato speranza, felicità… Verità.
Stoccata.
E io? Stoccata, parata. Io cosa avevo trovato? Affondo, parata. La verità? Affondo.
No. Vi ero arrivata così vicina da sfiorarla, quasi afferrarla… Per poi vedermela sfuggire dalle mani ancora una volta. Ancora una volta in quel pozzo. Ancora un altro salto nel nulla.
“A volte la menzogna può essere un conforto più dolce”
La voce dell’ombra di Charun riempì quello spazio vuoto nella mia mente. Fu un attimo, poi tutto tornò ad essere niente, oscuro, come il giorno in cui varcai per la prima volta le soglie della Scacchiera. Quella notte, in quel buio, brillò come sangue la luce dell’antico artefatto per la prima volta.
Affondo.
Il sapore del sangue mi riempì la bocca. L’odore della polvere, il suono dell’acciaio, un impatto sul suo viso.
Ero a terra? Non riuscivo a capirlo. Tutto appariva ovattato.
Sentivo le mani della sacerdotessa di Nhea sul volto, la voce di Allan come un eco lontano, irraggiungibile. Gli schiamazzi indefiniti di Skag. Aprii gli occhi e vidi come un ondulare di capelli neri, simili a gigantesche ali di corvo, poi solo il buio, per una volta. Niente sogni, niente incubi.
Un confortante niente.

Mi risvegliai nell’ospedale da campo con la testa che doleva neanche avessi passato la nottata a bere. I miei occhi faticavano ad adattarsi al tepore del sole che filtrava dalla tenda aperta.
“Poteva andare peggio” commento Antares “comunque devi prestarmi il meccanismo quello delle parole nascoste, voglio usare un numero a caso per la cifratura. Forse non servirà più a questo punto ma pensavo di scriverci il mio vero nome sul mio grimorio. Così, se un giorno dovesse servire.”
Fu in quel momento che mi resi conto di non essere sola. Era seduta nella branda a fianco e stava sfogliando un libro verde scuro, senza nome.
La guardai intontita e interrogativa, massaggiando il punto dolente sul mio volto. Avrei voluto chiederle di che cosa stesse parlando, ma lei continuò “Beh, la mia fede negli Astri è come… più solida adesso!” aggrottai la fronte “Con questo non voglio dire che non temo la morte, ma quasi!“
“Non capisco, vorresti fare del proselitismo? E poi che diamine è successo, perché mi fa male la faccia?”
“Incidenti di Allan-amento!” rispose tutta sorridente, mentre io avrei anche sputato un polmone se soltanto non fossero stati saldamente incollati al resto del mio corpo “E comunque in realtà no, reputo la fede una cosa piuttosto personale e non saprei come parlarne”
Sciocchezze. “Mi sembra che tu sappia usarle meglio di tante persone le parole…” abbassai lo sguardo, ripensando a tutte le volte che lei era stata lì, un sostegno forte, una presenza reale, coraggiosa che l’aveva spronata a fare sempre di meglio “Le tue parole mi hanno aiutato più di quanto abbiano mai fatto quelle di chiunque”
Antares sorrise, di quel sorriso gentile, un po’ furbetto di chi la sa lunga. Chiuse il libro e se lo poggiò in grembo. Solo allora notai che si trattava del suo grimorio, quel prezioso oggetto che aveva impreziosito di scritti, disegni e appunti risalenti a tutte le sue avventure.
“Intendo dire che non parlo mai delle mie cose personali, se non con le persone di cui mi fido di più, tipo te” mi disse calma e tranquilla “per me la fede è qualcosa di personale, di intimo, non mi piacerebbe essere lì a fare tipo la fanatica religiosa.”
“Però” davvero, non capivo “hai detto che la tua fede è più solida adesso, che significa?”
“Se ti ricordi, Balthazar ha detto una cosa tipo: siate quello che gli Astri sono per voi, per i vostri compagni. E dio semplicemente mi sono resa conto…”
“Che cosa?”
“Che io lo faccio già e ci sono rimasta un po’ male.”
Cos…“Eh?” la guardai sbigottita. Di punto in bianco non sentivo più dolore e mi girai verso di lei, quasi saltando giù dal letto, tanto che lei mi dovette fermare con entrambe le mani “Ma che dici! E’ una cosa bella in realtà! Che diamine vuol dire che ci sei rimasta male?!”
Ma che le prendeva? Rimanere male una cosa del genere? Non potevo crederci. Non aveva alcun senso, doveva gioire di aver finalmente compreso il suo posto e di sapere di star facendo tutto bene, almeno lei. Almeno Antares!
“Beh… sai io” fece dopo avermi aiutato a tornare seduta a letto, intristendosi improvvisamente “ho sempre questa cosa per cui sento di dover sempre fare qualcosa di più e meglio” mi intristii anche io “ho sempre fallito in qualche modo” anche io… “e rendermi conto di essere già sulla strada giusta è una specie di riassestamento della realtà. Non è che è brutto… è semplicemente inaspettato.”
Ah.
“Quindi… una cosa tipo: l’ho sempre fatto e non lo sapevo?”
“Sì, tipo.” annuì Antares con un sorriso triste “solo che non è un ‘sempre’.”
“Che intendi?”
Fece un lungo sospiro poi rispose “Mi riferisco a quando ho incontrato Corliss dopo tanto tempo, alla casella subito dopo Nebin. Avevo lasciato indietro praticamente l’equivalente dello Spiantato, solo che erano ‘quegli amici’. Li avrei potuti aiutare, ma non l’ho fatto, anzi… decisi di andarmene per conto mio. Ci ho lavorato tanti anni, almeno una decina, prima di entrare nella Scacchiera e per essere una persona sinceramente… altruista? Per me la filosofia di vita di Elios è lì come obbiettivo di vita da perseguire, non pensavo e non penso di poterci arrivare, ma sento che la cosa è più solida adesso. Non so se mi spiego.”
Si spiegava benissimo. Lei era una che sapeva quello che voleva, nonostante i propri conflitti interiori. Aveva scelto la strada che voleva percorrere e finalmente era giunta a una svolta decisiva, improvvisa, certo, ma almeno positiva. Un obbiettivo altruista e che qualunque fedele degli Astri avrebbe elogiato.
Mica come me, che camminavo sempre sul filo del rasoio tra lucidità e follia. Io, quella che aveva sempre detestato essere violenta e rabbiosa, ma tra la cicatrice e la necessità alla fine mi ritrovavo sempre a menare le mani.
Per Antares non era così. Per lei combattere e ammazzare la gente non era un problema. Si faceva problemi per cose stupide tipo l’abbinamento di ninnoli, l’incantesimo da usare per cacciare le lepri nel bosco, ma ammazzare no.
“Io invece non so cosa essere, mi sento sospesa tra fatalità e amore per la vita. Soffro come un animale quando devo uccidere qualcuno o quando qualcuno deve essere ucciso. Al contempo so che è necessario… E’ come essere in sospensione tra Nhea e Alazhar.”
“Tra la vita e la giustizia, quindi? Non è che devi per forza scegliere, eh.” come faceva a rispondere con così tanta semplicità come se la risposta fosse sempre stata lì, davanti a me e io semplicemente non fossi stata in grado di coglierla?
“Dici? Sono due cose estremamente opposte nel vivere la vita” solo io non riuscivo a vederla così facile, nella mia testa di moltiplicavano le domande, i sé, i ma e tutto quello che c’era nel contorno.
“Dipende sempre da te, Astra, da come vuoi vivere la tua vita. Se sei un cavaliere che segue un certo dogma, come Balthazar, è una cosa… altrimenti puoi sempre scendere a patti. La giustizia tecnicamente serve la vita. Ci sono momenti in cui qualcuno fa qualcosa di male e mette in pericolo qualcun altro… sono quelli i momenti in cui devi decidere che giustizia servire. Oppure ci sono momenti in cui la vita prevale, non ammazzi un uomo povero la prima volta che ruba per sfamare la famiglia.”
Alla fine la soluzione era sempre stata quella, l’equilibrio, non una scelta obbligata “tra caos e legge, scegliere un po’ di entrambi?”
“Esatto! Se non hai un dogma da seguire, la cosa che puoi fare è solo affidarti alla tua morale interna.”
La mia morale interna. Non perdere più nessuno della mia famiglia. Quella di Antares? Davvero particolare. Era molto brava a fare politica, merito del suo passato. Le piaceva l’intrigo, mentire, il sotterfugio, ma spesso era in conflitto con questi suoi modi di fare, perché aveva visto dove portava tutto questo. Sicuro che, per com’era cambiata, doveva chiedersi ogni volta che lo faceva se era giusto rigirare la situazione a suo vantaggio. Eppure lo faceva lo stesso, sapendo che lo scopo era tenere in vita e sani noi altri. Anche se voleva dire barattare via la sua morale. Tra quella e il benessere di altri e quelli a cui teneva, per lei la scelta era ‘purtroppo’ ovvia.
“Ho ancora due scene in testa… quando è morto Lucius e quando ti ho vista vicino al Cancello, prima dell’attacco. Credevo non saresti sopravvissuta” le dissi iniziando a stringere le mie stesse mani in una morsa.
“Mi dispiace…” rispose lei, improvvisamente triste “l’ho trovato io morto, è stata brutta.”
“Ho pianto come un’idiota, credevo non sarebbe mai più tornato. Lui è scemo e poco furbo come il fratello che mi ha abbandonata.”
“Hai pianto nello stesso modo quando rimanesti sola?”
Non risposi. Calò il silenzio per un lungo istante prima di trovare il coraggio di interromperlo di nuovo ” Tu per me sei davvero importante, Antares. Sei come una sorella, una figura di riferimento che riesce a capirmi e riportarmi alla ‘luce’ in qualche modo.” mi veniva da piangere “A Velathri pensavo che sarebbero stati Balthazar o Sigrun i miei punti di riferimento, ma… tu sei umana! Tu sei come me.”
Fu a quel punto che non riuscii più a trattenere le lacrime. Antares mi abbracciò, come faceva sempre. Mi strinse nel suo abbraccio confortante, familiare. Il calore dell’affetto fraterno, che da anni le sembrava di aver dimenticato.
“Guarda che anche tu sei come una sorella per me. Sei una persona su cui si può contare sempre, con cui si può avere opinioni diverse ed essere sicura che non è un problema. Che per una come me, cresciuta a Falcon tra esercito e corte è normalmente impossibile da immaginare. Se non ci fossi stata tu, non so a che punto sarei arrivata onestamente. Vederti affrontare il mondo, anche con i tuoi traumi, mi ha dato la forza di fare lo stesso senza chiudermi dentro una conchiglia di finta forza.” asciugò le mie lacrime con il bordo della sua manica e mi sorrise ” Se non ci fossi stata tu, che tiri fuori queste cose, non penso che sarei stata così sicura di me, o in pace con l’idea di morire. Anche definitivamente, per il bene di qualcun altro. Esattamente come faresti e hai fatto tu.”
Siamo probabilmente la famiglia che Balthazar voleva che fossimo: che ci completassimo e che crescessimo, anche se fossimo stati estremamente diversi tra noi.
Sarei morta altre mille volte se fosse servito a salvarli tutti. Con l’immacolato avevo detto senza esitazione i compagni che volevo sacrificarmi e diventare il fodero, se avesse permesso alla gente di non morire. Solo che lì ad Antares era partito il fervore religioso. Piuttosto che chinare un solo ginocchio all’impero avrebbe incitato lei la schiera a partire insieme alla carica.
Se non fosse stato per le sue parole e quelle di Allan, non avrei mai affrontato gli imperiali con quella ferocia.
Il desiderio di tenerli vivi era più forte di qualsiasi cosa. Più forte persino della paura stessa.
“Il marchingegno è nella mia scarsella… prendilo pure.” le sorrisi mentre lei si allontanava per procurarsi l’oggetto delle ardenti curiosità, quella strana rotella donataci da Cyra che riportava il nostro codice personale.
“Dobbiamo inaugurarlo, mandiamo una lettera cifrata a qualcuno! Tipo a Balthazar!”
Certo, perché no, infondo anche lui è di famiglia.
Il sole prese a calare e un altro giorno scendeva su quel viaggio pieno di tormenti e di rassicurazioni. Potevo essere triste per ciò che avevo perso quindici anni prima, ma certamente ero davvero grata per ciò che avevo trovato quindici anni dopo. Ottavia aveva ragione: la tristezza a volte è un buon prezzo da pagare se hai ancora qualcuno accanto da proteggere.
“Scrivigli ZUPPA!”

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