Dai lembi della tenda filtrava il grigiore indistinto che precede l’alba mentre Cristilde, immobile, ascoltava il silenzio dell’accampamento ancora addormentato. Aveva gli occhi spalancati già da un pezzo e non riusciva a riprendere sonno, tuttavia non si sentiva ancora pronta a lasciare il giaciglio, che nel fresco del primo mattino tratteneva ancora il calore dei loro corpi.
E soprattutto non voleva disturbare Ottavia.
“Lei ha più bisogno di riposo di me.”
L’Alfiere del Crepuscolo giaceva prona nell’esatta posizione in cui si era coricata la sera prima, esausta e frustrata: di nuovo l’Immacolato si era palesato e aveva fatto i suoi porchi comodi indisturbato, senza degnarsi di attenderla per affrontarla.
Non che la volta in cui si erano scontrati, sei lune prima presso la Maison Lacroix, fosse andata propriamente bene per Ottavia. Un pensiero che continuava a tormentarla almeno quanto il senso di impotenza nel fermare i piani del suo acerrimo nemico.
Cristilde sospirò. L’Immacolato doveva essere fermato, quello era un dato di fatto, e non più una mera questione di vendetta del Crepuscolo. Ma la domanda che angosciava il suo alfiere era un’altra.
Ce l’avrebbe fatta, Ottavia, a ucciderlo? Oppure il suo corpo avrebbe ceduto prima?
Distesa al suo fianco, la testa affondata nel groviglio di coperte che fungevano da cuscino, senza armatura né orpelli, sembrava più esile, quasi fragile, come un castello di vetro in cui cominciavano ad aprirsi tante piccole crepe. Cristilde se le sentiva scricchiolare nella testa, ogni volta che leniva un’altra ferita, applicava un altro medicamento, somministrava un altro tonico. Dieci anni di alcol e battaglie senza tregua richiedevano il loro pegno.
Per cosa, poi?
Per essere comunque perseguitati dai ricordi e dagli incubi?
– Che c’è?
La voce di Ottavia la fece sobbalzare. L’alfiere si era voltata di fianco: aveva gli occhi aperti e la stava fissando con aria assonnata e insieme indagatrice.
Cristilde scrollò la testa. – Scusa, non volevo svegliarti.
– Ormai l’hai fatto, quindi dimmi che hai. È da quando abbiamo lasciato Palazzo Alicante che sei più silenziosa del solito.
Cristilde considerò la possibilità di negare e di sviare il discorso con una battuta, magari tirando fuori qualche freddura degna di Grizzli, ma dubitava che Ottavia se la sarebbe bevuta.
– L’ho sognata di nuovo.
– Chi?
– Quella donna uccisa.
– Ancora? – Ottavia roteò gli occhi – Vuoi dirmi che t’importa di quel Flagello ammazzato dai druidi?
– No, non era lei – protestò Cristilde. Non nutriva particolare affetto nei confronti della strega Katharina, con la quale in realtà non aveva mai interagito direttamente e che aveva soltanto procurato grattacapi ai suoi Ragazzi in passato. Ciò non toglieva che non aveva provato né piacere né soddisfazione ad assistere alla sua morte, anzi, alla sua macellazione. Vedere sgozzare una donna inerme le aveva suscitato raccapriccio.
E richiamato alla mente vecchi ricordi.
– Era un’altra donna – provò a spiegarsi, a fatica, perché era difficile trasformare in parole le impressioni e le emozioni dei sogni – Trucidata dai soldati imperiali, con il sangue che le colava tra le vesti… – deglutì, incapace di proseguire.
– Non sarà stata la prima né l’ultima donna ammazzata dall’Impero durante la guerra – Ottavia liquidò la questione con il suo solito cinismo.
– Immagino di no – concesse Cristilde, riluttante. L’esecuzione messa in atto dai druidi dimostrava ancora una volta che l’Impero non era l’unico responsabile di tutta la morte e la violenza su Whanel. Si passò una mano sulla tempia. – È solo che, per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare il suo volto…
Ottavia scrollò le spalle. – Allora vuol dire che non era importante – tagliò corto.
Cristilde non ribattè. Era inutile cercare di spiegare a Ottavia che per lei ERA importante. In mezzo al sangue e alla morte, quella donna senza nome le aveva elargito il dono più prezioso: le aveva insegnato la pietà.
E allora perché, per quanto si sforzasse – e dire che aveva sempre avuto buona memoria! -, non riusciva a richiamarne alla mente il volto?
Ottavia si sollevò a sedere con un grugnito. La coperta le scivolò lungo il corpo e Cristilde indugiò a osservare la sua pelle costellata di lividi e cicatrici che tendevano a guarire sempre più lentamente, con più difficoltà, nonostante i suoi rimedi. L’incarnato chiaro dell’Alfiere aveva assunto una pallida tonalità di giallo che parlava di innumerevoli bicchieri – no, anzi, boccali! – di troppo.
– Passami quella brocca, dannazione!
Cristilde obbedì e Ottavia se la portò rapidamente alla bocca, chinandosi scossa dai conati. La cerusica attese che l’accesso passasse, poi si alzò e andò a prendere la borraccia. Bevve un paio di sorsi d’acqua, poi la porse all’Alfiere.
– Fanculo. È solo un po’ di nausea.- borbottò Ottavia, però la accettò e la attaccò alle labbra. Poi si asciugò con il dorso della mano e accennò una smorfia. – Non preoccuparti, non sono incinta.
Cristilde non rise a quel tentativo di battuta. – Lo so. Ma sono preoccupata comunque.
Ottavia scrollò le spalle. Anche lei lo era. Più di quanto volesse ammettere.
– Non è niente che i tuoi medicinali non possano risolvere. Avanti, dammi qualche tonico, qualche intruglio, qualcosa! Non posso mica presentarmi così al resto della masnada!
– I medicinali non basteranno per sempre.
Ottavia scagliò la brocca a terra con rabbia. Si infranse in mille pezzi che volarono per tutta la tenda.
– Che altro posso fare allora?- ringhiò – Ho persino quasi smesso di combattere con i Ragazzi per mantenere le forze. Devo arrivare a QUELLO scontro, lo capisci?
Cristilde capiva. Come capiva, dolorosamente, che c’erano dei limiti a quello che lei poteva fare per Ottavia. Andò comunque a prendere la sua scarsella da cerusico e tirò fuori un paio di boccette. Di quelle forti. Gliele mise tra le mani, guardandola negli occhi.
– Ci arriverai – le disse – E ucciderai quel bastardo. Per entrambe.
L’Alfiere annuì e buttò giù il contenuto delle boccette tutto d’un fiato, poi prese un profondo respiro e si alzò in piedi.
Cristilde si limitò a osservarla rivestirsi in silenzio. Ottavia sarebbe andata avanti, per quel giorno, poi un altro, e un altro ancora. E lei sarebbe rimasta al suo fianco, adesso come fino alla fine, come aveva promesso. Per fedeltà al suo Alfiere. Per amore. O per compassione.
Ottavia le avrebbe perdonato molte cose, ma non questa: che in fondo al cuore, grazie a quella donna sconosciuta, lei provasse pietà nei suoi confronti.