Anno Settimo della novella Era,
giorno trentesimo primo della luna di Spica
Sto controllando gli approvvigionamenti della masnada insieme a Cyra e Hildebrando (sono ragionevolmente convinta che sia lui, anche se è difficile intuire chi dei tanti volti sia davvero quello che affiora sul momento fin quando non fiata), quando scorgo Xorba.
Sollevo la testa dal registro con l’elenco di ciò che ci serve per il viaggio fino a Villamasca e la guardo passare tra le tende, la gamba di legno che si muove leggermente più rigida dell’altra. Lei non sembra far caso a tale menomazione: dopo anni a conviverci, ci si abitua a tutto.
Quasi tutto.
D’istinto apro la bocca per chiamarla, ma prima che la voce raggiunga le labbra noto Sandya e Vidar che la sbirciano intensamente da dietro un van del Sussurro.
Chiudo la bocca e torno a concentrarmi sul registro con un misto di felicità, sollievo e rimpianto. Tanto, che avrei potuto dirle? Posso solo essere felice per lei se troverà qualcuno che la ami incondizionatamente come merita.
Mi accorgo che Cyra mi sta studiando, il volto ovale leggermente piegato di lato.
– Come ti senti? – mi chiede.
Da quanto tempo Ottavia non mi pone questa domanda?
– Bene – mento, riprendendo il compito da dove l’avevo lasciato.
Dopo anni, forse, ci si abitua anche a mentire.
Ho sempre pensato di non meritarmi più l’amore. Da quando Rob è morto, non sono mai riuscita a strapparmi via del tutto il senso di colpa. Rimane appiccicato addosso come la linfa di una pianta velenosa, per quanto cerchi di lavartelo via dalle mani è diventato parte della tua pelle, e filtrando attraverso di essa ti intossica pian piano. Ricordo quel mattino, quando ho costretto Rob a rimanere al campo, cercando di salvarlo da una spedizione suicida del nostro folle comandante… e condannandolo invece a morire nell’attacco a sorpresa perpetrato ai danni del nostro campo sguarnito.
Non c’è antidoto ai ricordi, se non venire a patti con la realtà: a volte le cose brutte accadono e non puoi fare nulla per evitarle.
Questo non vuol dire che si possa solo scappare dal passato: è nostra responsabilità impararne qualcosa.
Ora so che la guerra non può mai esser bella, né per i vinti né per i vincitori. Che l’odio e il desiderio di vendetta non portano a nulla se non ad altro odio e violenza. Che si dice che la vendetta non ha prezzo… Eppure ci costa tutto!
Forse sarebbe meglio pagare il prezzo del perdono.
Quando riuscirò davvero a perdonarmi, allora riuscirò a vivere appieno l’amore che ho rifuggito per anni, e che avevo ritrovato nella persona più inaspettata che potessi immaginare, così diversa da me eppure così simile. Il dolore, i silenzi e il senso di perdita ci hanno fatto avvicinare, ma allo stesso tempo ci dividono come un baratro, sottile ma invalicabile.
Ho provato a saltarlo innumerevoli volte. In alcuni momenti ho addirittura pensato di esserci riuscita.
Ma alla fine ho sempre trovato un muro che mi ha rispedito indietro. Perchè quando finiranno il dolore e i silenzi, come spero assolutamente che accada per il bene di entrambe, cosa rimarrà di questo rapporto fondato su di essi?
Non so rispondere. O forse non voglio. Non ancora.
Ma forse arriverà il momento di scegliere qualcuno che mi offra la sua luce, come faceva Rob, e non qualcuno che mi faccia pagare le sue ombre…