L’Occhio e il Drago – CAPITOLO VII

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Avevano detto loro di cercare ancora, e che la missione si trattava di una vera e propria passeggiata, qualsiasi esito avesse avuto. Controllare una delle minuscole oasi cinquanta miglia a sud di El-Ghanamesh, nel cuore della regione sabbiosa del Deserto, certo, non era un modo gradevole di impiegare le proprie giornate, ma quel drappello di uomini non se ne preoccupava granché. La loro pelle riarsa era più che in grado di reggere un’intera mattinata in groppa a un dromedario sotto i tremendi raggi solari: per il resto, anche se non appartenevano al popolo delle sabbie ma a quello delle rocce aguzze, il Deserto era anche la loro casa.
Che cosa nascondesse poi quell’oasi così piccola, non ne avevano idea: si trattava sicuramente delle solite fantasie, leggendari avvistamenti di minuscole tribù di devoti a Talib, pazzi eremiti a cui il sole aveva davvero dato alla testa, eppure dotati di grande potere e ricchezze, come tutti gli sciroccati che si incaponivano nel vivere in quei luoghi così impervi e ostili alla vita.
Il problema era che le fonti d’acqua in quella regione cambiavano spesso posto dove affiorare, riportando il Deserto ad una parvenza di vita. E agli Scorpioni Neri certi calcoli astrusi, certe bizzarrie naturali non interessavano. Volevano l’oro, il potere e i segreti che avrebbero potuto carpire alle loro vittime, se solo queste fossero davvero esistite.
Per questo non si preoccupavano di nulla, né mettevano particolare impegno in quella che ogni giorno di più si rivelava una missione fallimentare e insensata. Inoltre, sopravvivere in quella zona non era decisamente facile, nemmeno per loro. Stavano iniziando a demoralizzarsi, e a diventare imprudenti. Tanto, qui non c’è nessuno… non c’è anima viva in questa fetta dell’oceano di sabbia… Tanto vale finire quest’ottima pipa di Hay-Puym…

Nemmeno si accorsero, quindi, della figura ammantata di lana rossastra che, un’ora prima del crepuscolo, apparve come dal nulla in mezzo a loro: la lama dello sconosciuto attraversò senza difficoltà le scarne protezioni degli attoniti Sothom-Ger, intontiti dai fumi dell’oppio disciolto nei loro piccoli narghilé. Quasi non ebbero il tempo di sfoderare le loro scimitarre, né di urlare come cani scannati. La figura misteriosa danzò attorno a loro in perfetto silenzio, e sempre nel silenzio si portò via con sé, una per una, tutte le loro miserabili vite di predoni.

***

– Sei già di ritorno, giovane samurai…
– Sì, mia Signora… ho soddisfatto i vostri comandi?
– Come al solito, sei stato impeccabile, Kasumoto. Non un lamento. Niente spreco di sangue e energie. Movimenti perfetti. Nemmeno il più misericordioso fra i Sothom -Ger ha mai meritato una morte così dignitosa come quella che tu hai concesso loro.
– Voi credete, mia signora?
– Assolutamente, giovane samurai. Hai avuto anche la nobiltà d’animo di non colpirli mai alle spalle. I tuoi antenati possono davvero dirsi fieri di te.

Kasumoto non rispose. Lentamente, aveva iniziato a togliersi di dosso l’ampio caffetano rossiccio che portava sopra il dou della sua armatura. Aveva rinunciato al resto quando si era reso conto che nel Deserto Grigio non era saggio affidare la propria salvezza al ferro che si poteva portare addosso, quanto alla velocità e alla precisione. Da quando era nata sua figlia, aveva trascorso gran parte delle giornate ad affinare le sue tecniche giorno e notte, sotto lo sguardo attento del padre di Naima, che gli aveva concesso di allenarsi nell’ampia tenda dove lui esercitava la sua raffinatissima arte di cesellatore, in modo da esser al riparo dalla violenza dei raggi solari e dagli eventuali sguardi curiosi degli altri membri della tribù. I due uomini non si parlavano quasi mai ma tale era il rispetto che nutrivano l’uno nei confronti dell’altro che nessuno dei due si sentiva a disagio nel mettere a nudo i propri segreti esercitando le rispettive arti nel medesimo luogo.
Quando non si allenava, Kasumoto era al tempo stesso un compagno premuroso e un padre molto dolce: l’amore fra lui e Naima era, se possibile, cresciuto con il passare del tempo, e non riusciva a staccare gli occhi da lei ogni volta che la fanciulla gli passava vicino. Passava molto tempo in sua compagnia, e soprattutto amava occuparsi insieme a lei della loro piccola, che ormai stava per compiere un anno di età e, per quanto fosse minuta e timida, si era dimostrata una bimba intelligente, precoce e di buona indole.

Tuttavia, nonostante la pace infinita che colmava il suo cuore nel vedere Naima tener stretta fra le braccia il frutto del loro amore, sentiva che c’era un vuoto, dentro di lui. Un vuoto che si colmava temporaneamente solo quando Kaessandria lo mandava a liberarsi di eventuali minacce per il popolo dei Laes ‘n Dahlar, quando poteva sguainare la sua amata katana, quando sentiva il brivido dell’incerto accarezzargli la pelle, quando poteva soddisfare il suo desiderio di equilibrio.
Ma questo pensiero era una sensazione, nulla più. Gli attraversava la mente e poi spariva.
Eppure, iniziava a farsi fin troppo presente nella sua mente.

– C’è dell’altro, Kasumoto.
– Dite, mia Signora.
– È giunto il momento che tu vada.
– C-come avete detto?
– Hai capito bene: devi lasciarci per qualche tempo. È ora.

Il samurai era raggelato. Nonostante in tutti quei mesi avesse avuto modo di rendersi conto dell’immenso potere di cui disponeva la sua signora, ancora non aveva fatto l’abitudine alla capacità di Kaessandria di leggere nella mente di coloro che le erano spiritualmente vicini. Eppure, che sciocco, doveva immaginare che non avrebbe potuto nasconder nulla alla veggente, nemmeno pensieri che per lui stesso era difficile comprendere.
Eppure, ciò che lei gli aveva appena detto in un certo qual modo lo feriva e lo sollevava al tempo stesso. Era una sensazione tremenda, eppure era così.

– Mio giovane samurai – proseguì pazientemente Kaessandria – eppure te ne sei reso conto anche da solo: tu hai bisogno della vita di ventura. Non reggerai a lungo in questa gabbia dorata, se non esci a farti un bel volo rigeneratore… sei nato per combattere e portare avanti i valori della tua stirpe, non per fare l’uomo di casa in questa oasi isolata dal resto del mondo… e visto che questo luogo non ha da offrirti molti svaghi, è tempo che tu vada a vedere cosa accade al di fuori dal Deserto, non trovi? Inoltre, devi svolgere delle ricerche per me, se non ti è di disturbo…
– Nessun disturbo, mia Signora… – Kasumoto fremette, rendendosi conto che le sue parole tradivano un’immensa eccitazione. Eppure avrebbe dovuto provare dispiacere e nostalgia per le sue due gioie, che certamente non avrebbe potuto portare con sé… eppure… eppure era così contento di allontanarsi… ma perché… perché?
– Molto bene… starai fuori sei lune, e in questo tempo fa’ pure ciò che ritieni giusto. L’unica cosa che ti chiedo è di recarti ad Athar… con molta discrezione, devi scoprire tutto ciò che puoi su qualsiasi setta legata a Orione che abbia a che fare con riti che possano alterare il sangue e la mente di un uomo… hai capito bene? Qualsiasi cosa tu senta, dovrai essere in grado di riferirmela… ma non esporti troppo, anzi, non esporti affatto. Preferisco di gran lunga che tu torni a mani vuote al non tornare affatto.
– Sarà fatto come voi volete, mia Signora. Non vi deluderò.
– So che non lo farai. Partirai fra sette giorni… ma prima…
Kaessandria si voltò, chinandosi a prendere qualcosa da un misterioso baule, che si richiuse ermeticamente con un gran clangore di meccanismi che scattavano da soli dopo che si fu allontanata. Kasumoto aveva imparato a non stupirsi più di nulla di ciò che accadeva in quella tenda.
– Tieni – disse mentre porgeva un lungo fagotto al samurai – questa l’ha fatta Saeed ibn Khalid per te. Ti posso assicurare che non ne farà mai più una uguale.

Il samurai sgranò gli occhi: ciò che la sua signora gli stava porgendo era una splendida katana avvolta in un fodero della seta più preziosa e robusta che avesse mai visto. Titubante, la prese dalle mani di Kaessandria, sfoderandola lentamente con una certa solennità. Era davvero una katana in grado di rivaleggiare con le più belle spade che avesse mai avuto modo di maneggiare, di gran lunga migliore della sua, che pure era stata forgiata da un fabbro dell’Est depositario di molti antichi segreti della saggezza dei Dragoni di Giada: era leggerissima, ma dava l’impressione di essere estremamente resistente e potente.
Inoltre, era impossibile non considerarla una vera e propria opera d’arte: la lama era incrostata di rune, ideogrammi e caratteri appartenenti all’antica lingua desertica, incisi con grande precisione e maestria fino ad intrecciare un grande arabesco che avvolgeva tutta la lunghezza dell’acciaio. Anche l’elsa era finemente decorata e intrecciata di nastri rossi. Guardandola attentamente, Kasumoto si rese conto che ogni decorazione rimandava a un motivo particolare: un drago dell’Est, lungo e affusolato, che circondava un occhio spalancato, dalle ciglia leggermente allungate.
– Il mio compagno – proseguì la veggente – è in egual modo discepolo del silenzio e della sottile arte dell’osservazione. Nessun segreto che egli possa aver carpito osservandoti utilizzare la tua spada o esaminandola uscirà mai dalla sua bocca. Ha coniugato tutte le antichissime conoscenze dei maestri beduini con quel che è riuscito a comprendere della vostra tradizione di forgiatura… non chiedermi come abbia fatto… Dopotutto, esistono tanti modi di servire le vie della divinazione, e alcuni sono talmente antichi e misteriosi che nemmeno io saprei dirti come possano funzionare, e quelli legati alla pratica di un’arte sono fra questi… Comunque sia, il disegno che trovi riportato così fedelmente e magistralmente sulla lama è opera mia, e ti accorgerai ben presto di quanto quest’arma potrà essere in grado di servirti bene in futuro.
– Ma… mia Signora – il samurai era decisamente confuso e si inchinò profondamente dinanzi a Kaessandria, nonostante fosse stato assalito da sentimenti contrastanti – …questo è… voglio dire, non dovevate… e poi… solo i figli dell’Est possono
Kaessandria non attese che Kasumoto desse forma ai suoi pensieri, e lo interruppe con un cenno della mano.
– La tua katana si è molto consumata, anche se è ancora un’ottima compagna. Inoltre, potresti trovarti a fronteggiare pericoli ostici anche per un grande guerriero come te. Peraltro, anche se non puoi nascondere i tuoi tratti somatici, che tradiscono innegabilmente le tue origini, ti consiglio di prender con te anche un’arma meno appariscente di una katana…
Il samurai rimase a capo chino, combattuto fra la rabbia per l’idea che un estraneo avesse potuto realizzare una lama così perfetta semplicemente studiando la sua e osservando i suoi movimenti, la soddisfazione di aver ricevuto un oggetto così mirabile dalle mani della sua potente signora e l’imbarazzo di ricevere un siffatto regalo da colei che aveva giurato di servire.
Kaessadria sorrise, immaginando senza difficoltà i pensieri del suo pupillo. – Come ti ho detto, i segreti della tua stirpe sono al sicuro. Saeed non resterà ancora a lungo in queste lande mortali. Questa è stata la sua ultima grande opera. Mi ha chiesto lui il permesso di realizzarla. Adesso potrà lasciare questo mondo con la serenità che un vero artista merita, dopo aver realizzato qualcosa che non sperava mai di poter creare.
Il samurai alzò la testa, sorpreso. Kaessandria aveva parlato con estrema tranquillità dell’imminente morte del compagno, e quest’accettazione totale del Fato era qualcosa di straordinario, anche per un samurai. I suoi dubbi furono dissipati in un attimo. L’ammirazione e il rispetto per la sua signora crebbero, se possibile, ancora di più.
– Mia Signora – sussurrò – il vostro umile servitore non merita un’opera d’arte del genere…
Ma Kaessandria tagliò corto, congedandolo con un misterioso sorriso dipinto sul volto.
– Questo è il dono che ti faccio, Kasumoto. So che ne sarai all’altezza. E ora va’ da Saeed e regalagli un’ultima gioia: mostragli quanto la sua arte e la tua maestria possano andare d’accordo.

Kasumoto aveva ormai quasi varcato la soglia, obbediente ai comandi della sua signora, quando lei aggiunse:
– …e un’ultima cosa: il nome di quella katana è "Ryushin"… l’Occhio e il Drago.

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7 comments

  1. Io, lento? (un tantinello, forse…)

    E intanto Kasinumoto riprende la sua opera di danneggiamento-irreparabile-figlia-incazzosa-e-figlio-portasfiga…

  2. à già frank sei lento…(da che pilpito!:P) ma io mi chiedo come si fa a postare post cena quinquennale?? mamma mia che coma!

  3. in effetti è tanto che non si facevano vedere!! Complimentoni! 🙂 altro, altro….

    Comunque….

    Ma guarda che padre degenere…preferisce vagabondare e lasciare scie di sangue che stare con la sua figlioletta….
    ( magari avrebbe portato ancora più sfiga alla pora Mela…povera!!!)

  4. Noctulio: sei LENTO, e lo sarai sempre!!! Lo so!!!!

    Dahal: l’avevo scritto tre settimane fa, che credi? Io mi avvantaggio!!! Mica come te!!!
    E per la cronaca, oggi avevo il pranzo dei 55 anni di matrimonio dei miei zii dal Matto a Subbiano… ho rinsoprellato su tutto quel che ho macinato ieri sera a cena!!! E stasera, a letto con un té e una susina (per l’evacuazione…)!

    Mira: è tutta colpa di quella stronzona della nonna… i samurai sono troppo tonti per prendere decisioni da soli (capito Menchino amor mio dolce?) 😀

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