La luce del sole pomeridiano filtrava prepotentemente tra le fronde degli alberi, illuminando a sprazzi il fitto sottobosco; solo dove i raggi riuscivano a penetrare se ne avvertiva debolmente il calore, mentre un leggero vento da settentrione portava via gli ultimi frammenti dell’estate. Su un muro di pietra di una casa, un ultimo coraggioso grillo si beava del tepore del meriggio, innalzando il suo stridente canto che si espanse non udito nel villaggio e tra gli alberi delle Foreste del Sole. Il ragazzino si limitò ad allungare velocemente la mano prima che l’insetto scappasse, e lo ghermì per le zampe. Sul volto del bambino, paffuto e incorniciato da una disordinata zazzera scura, si allargò rapido il sorriso per la conquista e la cattura del giocattolo per i prossimi minuti.
– Se gli stacchi le ali, morirà. E fine dei giochi.
Il bambino si accorse della presenza per l’ombra che gli calò addosso, facendogli sentire un brivido di freddo. Rapido si alzò, tenendo l’insetto tra le mani a coppa, allontanandosi dalla figura e andandosi a rintanare sotto il porticato. I passi sul legno richiamarono l’attenzione dentro casa.
– Richard, cosa stai facendo?
Una giovane donna uscì spalancando la porta. Appena ventenne, all’apparenza, dalla carnagione pallida e dai capelli chiari, aveva un viso dolce e rassicurante, con grandi occhi celesti, labbra sottili e gote arrossate, con addosso una semplice veste color avorio su cui portava un grembiule da cucina. Ancora con il mestolo in mano, apostrofò il ragazzino accorso a ripararsi aggrappato alla gonna.
– Richard, spero bene che tu…
Non terminò la frase, vedendo che il bambino indicava verso l’angolo della casa con mano tremante. Appoggiato alla parete con fare sicuro, stava un ragazzo diciottenne alto e magro, con capelli castani legati a coda ed accattivanti occhi celesti. Le lunghe vesti grigie sembravano recare i segni di un lungo viaggio, come il colorito malsano; eppure, le stava rivolgendo un debole e triste sorriso.
– Vedo che qui è cambiato tutto, Lea.
La ragazza spalanco gli occhi, incredula. Era tornato di nuovo, e lei provava una gioia immensa.
– Noctulis!
Lo aveva riconosciuto subito, nonostante fossero passati ormai sei anni, e il bambino insicuro che aveva lasciato il villaggio fosse divenuto un uomo. Qualcosa di lui era uguale a un tempo, forse la luce negli occhi. Lui, dal canto suo, mostrava una felicità modesta e contenuta.
– Sei tornato dopo così tanto tempo, Noctulis! Come va? Dove sei stato?
L’uomo non smise di sorridere, ma si erse in piedi puntando il bastone a terra e barcollando per il peso dello zaino. La voce era seria e decisa.
– Sono tornato, per ora. Fatti bastare questo. E ora vado a casa.
-NO!
L’urlo le uscì naturale dalla gola. Non ci poté fare niente. Avvertiva che glielo doveva dire. Noctulis doveva saperlo da qualcuno, prima di trovarsi di fronte alla realtà delle cose. Alla nuda e cruda realtà.
– E’ inutile che tu vada a casa. Non troveresti nessuno.
* * *
La polvere lo sporco regnavano sovrani all’interno dell’unica stanza che una volta era stata la sua casa. Dalle imposte chiuse, ormai fradice, filtravano lame di luce che facevano danzare in aria il pulviscolo. I pochi mobili rimasti, i giacigli, le sedie, il tavolo, il camino, tutto era avvolto da una patina di passato, dal segno del passaggio inesorabile del tempo. Ogni singola asse del pavimento, ogni ombra nascosta, ogni recesso tra le pietre della parete indicava che da anni nessuno stava più lì. Noctulis stava immobile sulla soglia scardinata, ascoltando il triste lamento dei cardini cigolanti. Sentiva il silenzio e il vuoto. Mai prima d’ora aveva capito così bene cosa volesse significare “niente”. Lea si affacciò timidamente sulla soglia. Non osava toccarlo, per paura che si potesse frantumare. Non stava piangendo, né tremando; se ne stava in piedi assorto, in contemplazione, solo con i suoi pensieri, eppure la ragazza sapeva che se in quel momento al mondo c’era qualcuno di fragile, quello era Noctulis.
– E’ stato poco dopo la tua partenza- disse Lea in un sussurro. –Una brutta epidemia prese di mira il villaggio. La gente si copriva di pustole e moriva urlando. Ne morirono una decina, e l maggior parte dei popolani si ammalò, prima che arrivassero i Vespertini. Vennero da lontano, dicendo di avere la cura, ma l’avrebbero concessa solo a chi avesse pagato. Tutti pagarono, ma non tua madre. Fino all’ultimo disse che suo marito era morto combattendo i Quattro Signori del Fato, e lei non avrebbe macchiato la sua memoria inchinandosi a costoro che recavano le loro insegne e cedendo a quell’ignobile ricatto. Morì da sola, senza che nessuno la aiutasse.
La voce di Noctulis giunse come da un altro mondo, flebile e tremante.
– Fu molto coraggiosa.
Lea ormai aveva iniziato a parlare, e non si sentiva di nascondergli alcunché. Sarebbe arrivata sino in fondo.
– Io l’ho vista, Noctulis. Non era coraggio. Era disperata. Non aveva più niente da perdere, e si era aggrappata al ricordo di chi l’aveva amata per trovare conforto. L’unica ricchezza che aveva era la sua famiglia, e non c’era più nessuno di loro.
Tacque brevemente. Lea sentì le lacrima salirle agli occhi mentre raccontava.
– Se tu fossi rimasto, lei avrebbe venduto la sua anima pur di salvarti, e tutto quello che avevate pur di rimanere con te. Forse… forse non sarebbe morta..
Attese un minuto. Forse furono dieci. Forse fu un’ora o più. Quando Noctulis si mosse di nuovo, però, il sole stava ormai per calare all’orizzonte, e un freddo pungente si faceva avvertire. I suoi occhi brillarono nell’oscurità immobile, e quando si voltò la sua voce era di nuovo ferma e sicura.
– Ho un po’ di fame e da un mesetto non faccio un pranzo decente. Posso fermarmi da te, per stasera?
Lea sorrise, annuendo lentamente.
* * *
Le stelle erano quanto mai vivide, quella sera. Il cielo era gelido e terso, e la luna mostrava solo uno spicchio della sua faccia. Con una pesante coperta ognuno gettata sulle spalle, Noctulis e Lea se ne stavano a sedere sotto il porticato, in silenzio. A cena avevano parlato molto delle vecchie conoscenze del villaggio, di cosa stavano facendo e di cosa avevano fatto, in allegria. Erano stati vicini di casa per tanto tempo, Lea aveva solo due anni più di Noctulis, e avevano festeggiato il suo ritorno. Adesso però, Noctulis aveva il volto nascosto nell’ombra, mentre la debole luce del camino da dentro la casa illuminava attraverso uno spiraglio il volto di Lea. La ragazza guardò il giovane. Le aveva raccontato del suo apprendistato da stregone, di quello che sapeva fare, e del suo improvviso desiderio di tornare; aveva però l’impressione che la sua storia non tornasse. Sembrava che in quei sei anni egli fosse sempre stato solo, come se nessuno fosse stato con lui. E allora che gli aveva insegnato tutte quelle cose?
Fu Noctulis a rompere il silenzio per primo, strappandola dai suoi ragionamenti.
– Avevi sedici anni quando hai avuto Richard, vero?
Lea rimase un attimo sorpresa, poi si riscosse. Sentiva uno strano calore, nel parlare con lui, qualcosa di tenero e piacevole. Chiuse gli occhi, immergendosi nei ricordi.
-Quindici. Lui ne aveva sedici. Non sapevamo cosa stavamo facendo. Però ci volevamo bene sul serio.
Noctulis si voltò. Lea ne poté avvertire distintamente lo sguardo inquisitorio.
– E lui dov’è adesso?
La ragazza sospirò, facendo trasparire un dolore non ancora sopito.
– E’ morto durante l’epidemia. Fu uno tra i primi, sei anni fa, ed io avevo appena scoperto di essere incinta. Morì tenendomi per mano. Oltre il suo amore, mi lasciò anche la malattia, contagiandomi.
– E’ per questo che Richard è muto?
Lea trasalì per un istante. Noctulis si era dimostrato terribilmente intuitivo. Per molti Richard era solo un bambino di cinque anni troppo timido per parlare. Solo lei e pochi altri sapevano che non parlava perché non poteva. Annuì tristemente in direzione dello stregone, stringendosi ancora di più nella coperta.
– E’ così. Non so ancora se fu la malattia o la cura a renderlo tale, fatto sta che Richard è incapace di articolare alcuna parola, ed emette solo qualche verso gutturale. So che una madre non dovrebbe dirlo, ma quando lo fa rabbrividisco. Sembra la voce del diavolo.
Il silenzio ripiombò pesantemente tra i due. Noctulis osserva il suo respiro innalzarsi nella notte in ampie volute, mentre Lea si torturava le mani sotto la coperta. Sì, era vero quello che aveva detto. Il villaggio era cambiato molto. Loro erano cambiati molto. E niente poteva cambiare di nuovo.
Un rumore di vetri infranti dal centro del villaggio li fece sobbalzare, seguito subito da urla e rumori di rissa. Entrambi si gettarono sulla balaustra del porticato, guardando verso la locanda da cui proveniva il baccano. Qui la porta era spalancata, gettando la sua luce nella strada di terra battuta. Tre uomini si ergevano sulla soglia, due dei quali con le spade in pugno; una figura era a sedere in mezzo alla via, cercando di rialzarsi per fuggire, mentre una seconda era distesa sotto la finestra rotta al centro di una rosa di vetri in frantumi. Noctulis reagì prontamente.
– Lea, tu vai da Richard, chiuditi dentro, presto!
Lea capì che quello era un ordine, e non se lo fece ripetere. Il ragazzo aveva un espressione dura sul volto, diversa da quella debole dell’infanzia. In lui c’era una forza nuova. Si gettò all’interno, e Noctulis sentì la barra di legno scendere a serrare la porta. Adesso stava a lui. Con un balzo passò in strada, e con passi rapidi si diresse verso il luogo dell’accaduto. Vide subito la maggior parte delle finestre illuminate, ma nessuno si era mosso come lui; ebbe come l’impressione che tutti stessero guardando senza intervenire. Intanto, poté osservare le figure alla porta della locanda; due uomini erano grossi individui in armature metalliche, gli elmetti calati sulla testa, recanti il simbolo di un sole vermiglio tagliato in due da una linea, mentre il terzo era più basso, tarchiato, con tatuaggi intricati sulla testa rasata, gli occhi piccoli e un ghigno malevolo in volto, con fluenti vesti esotiche di colore violaceo. Era lui che stava parlando allo spaventato individuo a terra, con tono fintamente amichevole e carico di disprezzo.
– Ti ho chiesto solo di pagarmi la cena ad un povero come me, non c’era da farla tanto lunga, ma se proprio ti fa schifo vivere…
Alzò la mano al cielo, iniziando a salmodiare un’intricata cantilena che Noctulis riconobbe come un incantesimo di tortura. Non poteva permetterlo, ma non avrebbe fatto in tempo a recitare un sortilegio per annullare l’altro. Si voltò, e vide un vecchio secchio di legno accanto all’abbeveratoio dei cavalli; con un gesto rapido lo raccolse, lo riempì e lo gettò addosso all’incantatore, innaffiandolo da capo a piedi di gelida acqua puzzolente. Lo stupore fu tale che l’uomo perse la concentrazione necessaria a portare a compimento la magia, e imprecò a voce alta, mentre i due armati facevano un passo avanti.
-Chi ha osato? Chi è lo stolto che ha osato?
Noctulis avanzò, finendo nella luce della porta. Diede un calcetto all’uomo a terra, che senza voltarsi si diede alla fuga a gambe levata. “Bella gratitudine”, si limitò a pensare il ragazzo tra sé e sé. Poi, con aria spavalda, incrociò le mani innanzi al volto, come per stiracchiarsi, rapidamente si chinò in un mezzo inchino.
– Mi scusi, messere, mi sembrava che avesse dello sporco addosso… Ora che guardo meglio, però, quella è la sua faccia…
L’uomo era paonazzo in volto e grondante d’acqua. Prese aria due volte, come se gli stesse per venire un colpo, poi urlò a pugni stretti sputando la sua ira.
– Disgraziato! Dimmi chi sei, affinché tu possa conoscere l’ira dei Vespertini!
Solo in quel momento Noctulis si rese conto che alla fine non aveva fatto una cosa tanto furba. I Vespertini erano una truppa dei Quattro Signori del Fato, a quanto aveva capito; tutti quelli in combutta con i Quattro avevano la sgradevole tendenza a far pagare gli affronti subiti con la moneta più cara. Non avrebbe potuto dare tutto il suo vero nome, poiché l’avrebbero ritrovato. Non poteva rimanere lì al villaggio, perché avrebbe coinvolto anche Lea e Richard, e questo assolutamente non lo voleva. Era una sua vecchia amica, una delle poche persone al villaggio che non l’aveva mai giudicato a priori, e non voleva tirarla nel mezzo. Il nome gli venne alle labbra spontaneo.
– Noctulis Desmortes. Al suo servizio.
L’incantatore stava per ruggire un ordine d’attacco, quando si immobilizzò. Noctulis vide passare nei suoi occhi un sospetto, subito soppiantato da cupidigia e insana curiosità. Adesso era untuoso e viscido, ancora più pericoloso di prima. Altri due uomini arrivarono dall’interno, calcandosi gli elmetti e stringendo le spade. Adesso stavano tutti avanzando lentamente, costringendo il ragazzo ad indietreggiare e mettendolo sulla difensiva. Adesso il volto del ragazzo era contratto da una smorfia di paura e rabbia.
– Noctulis Desmortes, dici? Sei in rapporto con Jorge Desmortes, lo Psicarca Bianco?
Una puntura lo scosse da capo a piedi. Il suo cervello gli stava facendo fare i conti. “Mastro Jorge era con i Quattro. Mastro Jorge non è più con i Quattro. Quelli che non stanno con i Quattro devono morire. Detto questo, non credo che Mastro Jorge e i Quattro si mandino gli auguri per le feste”. La sua impulsività, quella sera, gli aveva già fatto fare due cose molto stupide. E adesso lo avrebbe dovuto tirare fuori dai guai. Con uno scatto rapido si buttò nuovamente nelle ombre della notte, cercando di trovare una via di fuga. Sentì alle sue spalle gridare l’ordine di catturarlo vivo a squarciagola nel silenzio del villaggio. Perlomeno non lo volevano uccidere, per ora, ma doveva trovare un modo per seminarli. Passò di corsa innanzi a casa di Lea, gettando un’occhiata alla finestra; ebbe la sensazione di incontrare lo sguardo dell’amica, e seppe che stava bene. Adesso, doveva pensare alla fuga e a salvarsi. Di nuovo.
* * *
Due giorni di fuga nelle Foreste del Sole. Aveva fatto oltre venti miglia, secondo un rapido calcolo, ma si sarebbe anche potuto sbagliare. Era stato fortunato; gli uomini indossavano pesanti armature, quindi lui poteva contare su una maggiore rapidità e velocità. D’altro canto, quei guerrieri erano degli invasati e dei fanatici che non sembravano sentire la fatica; appena guadagnava terreno per potersi riposare, dopo poco se li ritrovava alle calcagna e doveva rimettersi subito a fuggire. In quei due giorni aveva corso attraverso tutta la foresta, scalato alberi e colline, guadato fiumi, e loro erano sempre lì col fiato sul collo. Aveva dormito appena quattro ore scarse, a frammenti, due delle quali seduto tra due rocce lungo un crinale; era stanco, ferito, irato con se stesso per le ingenuità commesse e per essersi fatto tirare in mezzo in una faccenda che non lo riguardava. “Anche questa me la ricorderò, vecchio”, si ritrovò a pensare; eppure sapeva bene che non era colpa di Mastro Jorge, ma l’idea di poter incolpare qualcuno, in quel momento, l’aiutava a ritrovare le forze. Ora che forse, nell’ora più buia della notte, aveva visto una via d’uscita.
I Vespertini si erano divisi in due gruppi di due persone ognuno, fiaccole alla mano, per braccarlo meglio dopo che aveva quasi fatto perdere le sue tracce. Noctulis sapeva bene che non li avrebbe potuti affrontare; erano più grossi di lui, e se anche avesse avuto il tempo di formulare un incantesimo dubitava che sarebbe stato sufficiente ad abbatterli entrambi. All’improvviso, però alle spalle dei due era apparsa una luce che essi non avevano notato oltre gli alberi; probabilmente un fuoco da campo in lontananza, in qualche radura. Se Noctulis fosse riuscito a raggiungerlo, magari gli si sarebbe presentata l’occasione di far perdere le sue tracce. “E se fossero altre truppe dei Quattro? Se fosse una trappola?” gli diceva la parte prudente della sua mente; la parte incosciente, invece, gli disse di tentare, visto che non aveva ormai nulla da perdere e poteva permettersi solo di rischiare. Tutto stava trovare il modo di distrarli per aggirarli. Si avvicinò di soppiatto ai due uomini; il cigolio delle armature e il frusciare del sottobosco che spostavano gli permise di muoversi silenziosamente fino a raggiungere una distanza di circa trenta passi da loro. Concentro gli ultimi sprazzi di energia che gli rimanevano in un sortilegio; la magia corse rapida alle sue mani, e una vampa di fiamme scaturì dalle sue mani diretta verso l’alto, sino a colpire un ramo robusto alla base. Il ramo cedette con uno schiocco sordo, e avvolto dalle fiamme precipitò sui due colpendoli entrambi. Noctulis non fece in tempo a controllare l’esito, ma dalle urla intuì che aveva avuto buon fine. Si alzò di scatto, e con quanto fiato aveva in corpo corse oltre i due, schizzando a pochi passi da loro e fiondandosi verso la luce.
– Torna qui, maledetto!
I due si erano già liberati dal ramo. Noctulis sperava che il suo diversivo li tenesse più occupati, ma aveva raggiunto un discreto margine di vantaggio, e arrivò caracollando oltre gli alberi e finendo in quella che sembrava essere una vasta radura, colma di piccoli arbusti. In lontananza vide quelle che sembravano essere grosse carrozze, e udì canti e urla festose; innanzi a sé, invece, vide un uomo a sedere su un tronco d’albero, le spalle appoggiate su quella che sembrava essere una tenda di robusta stoffa arancione. Non gli seppe dare un’età dato l’aspetto bizzarro; aveva baffi e occhi scuri, folte sopracciglia, i capelli legati in un fazzoletto rosso, e vestiva una lunga giacca vinaccia su una camicia scarlatta e pantaloni di pelle sotto il ginocchio, con lunghi stivali lucidi. Noctulis aveva già pensato ad un approccio amichevole, ma la reazione dell’uomo lo colse alla sprovvista. Proruppe infatti in un largo sorriso splendente, che si tramutò in un’esclamazione gioiosa e sfrontata.
– Ooooh, amico viaggiatore! Siede con me! Ha fame? Io ha qui delle…
“Queste urla attireranno qui tutti gli eserciti dei Quattro”, pensò Noctulis. Cercò di fare cenno di tacere all’uomo mentre avanzava, ma questo, con uno strano accento, gli iniziò a narrare della bontà delle frattaglie che stava cucinando. Irato, Noctulis si guardò alle spalle; aveva poco tempo. Con uno scatto, afferrò lo spiedo dell’uomo togliendolo dal fuoco, balzò oltre il tronco e si gettò nella tenda vuota; attraverso la stoffa afferrò l’uomo per il colletto e gli puntò lo spiedo tra le scapole. Con tono basso e minaccioso cercò di mettere le cose in chiaro prima che fosse troppo tardi, ma l’altro stava già cercando di patteggiare.
– Ehi, amico, se tu è in problema io può aiutare ma…
– Fai silenzio, bellimbusto, se ci tieni alla pelle. Mi vuoi aiutare, vero?
– IO NO ASPETTAVA ALTRO!
– Bravissimo. Ora verranno a cercarmi. Tu non mi hai mai visto, va bene?
– Chi avrebbe dovuto vedere?
– Impari in fretta.
– Io cosa deve dire?
– Improvvisa.
Un rumore di frasche sul bordo della radura. I due Vespertini erano arrivati, alla fine. Adesso la sua vita era nelle mani di uno sconosciuto. Sentì i due ringhiare irati, e borbottare qualcosa tra loro. Il suo ospite partì subito con l’atteggiamento di accoglienza smodata.- Ooooh, amici viaggiatori! Siede con me! Ha fame? Io ha qui delle…
– Hai mica visto passare qui un uomo?- lo interruppe uno dei due con irruenza.
Noctulis pensò bene di punzecchiare la schiena dell’uomo con lo spiedo, giusto per ricordargli che era lì; quella situazione non gli piaceva per niente, soprattutto perché non era nelle sue mani.
– Io ha visto- disse l’uomo. Noctulis si fece sentire di nuovo e più forte, ma l’uomo inarcò la schiena urtandolo a malapena. I due fanatici ringhiarono di approvazione e giubilo.
– Dicci dov’è, muoviti!
La voce dell’uomo si fece profonda e spettale, come se stesse facendo una rivelazione in stato di trance.
– Io ha visto che voi cerca uomo. Egli è passato da foresta, e attende voi. Se voi trova voi ha gloria; se non trova, cattiva fuzuka cadrà su di voi!
I due sembravano spazientiti, e Noctulis ne udì bene gli improperi.
– Dicci dov’è, stupido, se non vuoi morire!
– Egli è in vostro futuro.
– Lasciamo perdere questo pazzo, non sa niente. Mai aspettarsi qualcosa da un Alemarita…
Lo stregone avvertì i due che se ne andavano, spostando i cespugli ai margini della radura. Allentò la presa sul colletto e lasciò cadere lo spiedo, esausto. Aveva le membra contratte per il terrore, ma il nodo si stava sciogliendo anche troppo velocemente. Gli girava la testa adesso. L’alemarita lo interpellò con voce bassa e allegra.
– Pensi che Rasho è stato bravo?
Noctulis rispose con il fiatone. Gli si stava annebbiando la vista. La fatica gli stava chiedendo il conto, e il suo corpo si stava ribellando cercando riposo.
– Magnifico…
– Ma tu come te chiama, giovane?
Le palpebre si stavano chiudendo pesantemente. Le braccia erano troppo pesanti. Era difficile anche pensare.
– Noctulis… Mi chiamo… Noctulis…
L’oblio lo inghiottì, e perse i sensi.
Eccomi qua…..grazie per la visita! ho letto e risposto!
Buona notte….io ora me ne vado a nanna che sto morendo dal sonno…ciaooooooo
Bravo Noctulio!!! me l’haio fatta penare, ma ecco ‘sta perla… finalmente…
E ricordati di fare copia e incolla su un file di testo, sennò ti raddoppia tutti gli spazi…
Guarda che io HO fatto copia incolla, ma mi sa che ho mantenuto l’opzione “Converti gli a capo in br” e mi ha espanso il tutto…
Tordo!!!!! Devi togliere l’a capo automatico, sennò peggiora!!!
Ritenta, sai più fortunato…
Però è un gran parto… non vedo l’ora di leggere il seguito, quindi non far passare un mese, grazie!
Scusa, Noctulio, non ho saputo resistere.
Bastava ripassarlo due secondi su un file di testo. Voilà il risultato…
Servire caldo con spolveratina di senape in grani.
Grazie davvero… Io c’ho provato eliminando le impostazioni automatiche e facendo il tutto da capo ieri sera, ma niente. Ho una sola spiegazione che ho più volte appurato. Splinder mi odia.
Ma quello si sapeva.
Dopotutto, ti odio anche io!