– … e non basta richiamare l’energia del Piano Elementale adeguato, ma bisogna anche modulare l’esatta quantità evocata, la forma e il principio di esaurimento…
– … nervoso…
Jorge sospirò, all’ennesima interruzione di quell’alunno screanzato. Il suo unico alunno, d’altronde. Un diciottenne alto e scontroso, i lunghi capelli castani legati in un ordinato codino, lo guardava con occhi gelidi dall’altra parte della stanza; eppure, una vaga espressione ironica aleggiava tranquilla sul volto.
– Noctulis, se vuoi una pausa basta dirlo… – disse il vecchio maestro, sorridendo. Fu rapidamente contraccambiato da uno dei cenni di assenso euforici tipici dell’adolescente, intercalato da un’esclamazione di giubilo. Noctulis si alzò, uscendo in pochi passi fuori dalla stanza delle lezioni, una sorta di laboratorio alchemico correlato di strani alambicchi e sostanze di ogni tipo. E Jorge, solo, si trovò a rimirare la sua immagine allo specchio.
“Sono ormai ridotto allo scheletro e conto i capelli bianchi a manciate,” si ritrovò a pensare sogghignando, “ma tra una ruga e l’altra ho un’abbronzatura invidiabile”.
La realtà era dura. Stava inesorabilmente invecchiando, e nessun sortilegio avrebbe potuto cambiarlo. Ripensò a quello che aveva fatto nella sua vita, al sangue che aveva macchiato le sue mani nei tempi in cui lavorava per i Quattro Signori del Fato, al modo in cui aveva torturato la sua anima per trovarsi un alibi prima, una punizione poi. Pensò che però aveva fatto anche qualcosa di buono dopo tentando di muovere le coscienze delle popolazioni soggiogate alla tirannia falconita, seppur con miseri successi. C’era lui, infine. Noctulis Xandauter, il giovane stregone che aveva prelevato appena dodicenne e per gli ultimi sei anni aveva allevato e istruito nelle arti magiche. Forse per paura di altri insuccessi nelle ribellioni, forse per paura di non lasciare al mondo un ricordo di sé, fatto sta che si era dedicato con tutta la sua persona solo a lui ed al suo addestramento. Noctulis era il figlio che non aveva mai avuto, e ora che i loro rapporti sembravano più tranquilli e distesi lo sentiva sin nel profondo dell’animo.
* * *
Le scale tra il secondo e il terzo piano della Torre del Mare erano inondate dalla bianca luce del pomeriggio inoltrato, e l’aria era calda e profumata di salsedine. I passi sulla pietra di Jorge e Noctulis riecheggiavano tra le arcate della scalinata, e il loro chiacchierare era interrotto solo dalle urla dei gabbiani.
– Questa tunica è da buttare, maestro. E poi mi servirebbe qualcosa di più leggero per l’estate!- si stava allegramente lamentando il ragazzo, mentre pizzicava il tessuto liso della sua veste grigia.
– Potrei darti una delle mie, se vuoi, sperando che ti stiano…- commentò distratto l’anziano, ansimando per la fatica dell’ascesa. Noctulis protestò vivacemente, seppur sorridendo.
– Non sarebbe più semplice uscire dalla Torre una santa volta ed arrivare in città a comprarla?
Il maestro sospirò, paziente, reggendosi alla balaustra. Per riguadagnare fiato si fermò a contemplare lo spettacolo del mare scintillante da una finestra.
– Sai come la penso, Noctulis. Primo, da qui al paese più vicino ci vogliono tre giorni di cammino, in una strada molto pericolosa. Tra i briganti e tutto il resto, intendo. Secondo, è bene risparmiare, l’oro non lo fabbrico. Terzo, potremmo avere problemi con le truppe dei Quattro.
“Potrebbero riconoscermi e farmi fuori, ad esempio”, pensò Jorge, ma senza esternarlo. Il ragazzo non sapeva niente del suo passato; era sempre stato poco curioso al riguardo, come per una sorta di rispetto per la ieratica figura del maestro, e lui certamente non sarebbe andato a rivangare quei trascorsi di cui si pentiva.
– Che problemi ci sono, maestro? Non basterebbe eliminarli? Ho una voglia matta di provare i miei sortilegi contro qualcuno!
Jorge si girò di scatto. Il ragazzo stava guardando in lontananza, il volto contratto in un’espressione di violenta estasi, i pugni stretti fino a farsi sbiancare le nocche, i muscoli tesi come se dovesse combattere all’istante. Erano i momenti che l’anziano temeva, quando quella strana voglia di sangue si destava in Noctulis; durava solo un momento, ma in quegli attimi era una furia cieca, con l’unica intenzione di uccidere e massacrare, come se nient’altro fosse importante. Da dove veniva questa oscura rabbia, questa sete di distruzione di cui non si rendeva conto? Intanto, però, Noctulis si era già calmato, e lo stava guardando con aria interrogativa.
– A cosa stai pensando, maestro?
Il vecchio incantatore abbassò gli occhi sulla balaustra, lisciandosi la sottile barba candida. Non voleva che Noctulis perdesse il senno a causa di questa maligna presenza nel suo cuore, ma tanto meno desiderava che il ragazzo, resosi conto di essere pericoloso, se ne andasse una volta presa coscienza dei suoi comportamenti. Doveva impedirgli di fuggire. Doveva legarlo a lui.
– Sono sei anni che ci conosciamo, ormai, Noctulis. Il tuo apprendistato è quasi completato, e tra poco non avrò più molto da insegnarti.
Il ragazzo annuì. Non capiva dove il maestro voleva andare a parare.
– Beh, un’antica tradizione della mia città natale voleva che ogni discepolo aggiungesse il cognome del suo insegnante al suo nome completo. Pensavo che magari potresti farlo anche tu.
Jorge rimase immobile, una volta terminata l’infame bugia che stava propinando al giovane. Non sapeva se gli avrebbe creduto, ma era un tentativo come un altro di vincolarlo. La reazione che poté osservare nel ragazzo fu uno sbigottimento totale, uno stupore indicibile, che per qualche istante sembrò paralizzarlo; poi una strana ombra nostalgica velò i suoi occhi, come un’ombra che passa rapida sopra il sole. Parlò a voce così bassa che Jorge dovette protendersi per udirlo.
– Il mio nome è l’unica cosa che mi resta del mio passato. I ricordi sono lontani e flebili. Mi sembrerebbe di… rinnegare quello che è stato, quello che mi ha portato qui, se vi rinunciassi, capisce?
Poi, con un gesto rapido, diede le spalle al maestro, e iniziò lentamente a risalire le scale. La voce dell’anziano lo accompagnò oltre l’angolo.
– Pensaci.
* * *
Aveva evitato ogni contatto con il maestro per l’intera giornata restante, fino a saltare la cena. Non lo voleva incontrare. Quello che gli aveva proposto lo faceva ribollire di rabbia da una parte e lo imbarazzava mortalmente dall’altra. Non lo aveva mai considerato nient’altro che un insegnante, ma ora pensò che sarebbe potuto divenire persino un amico, un mentore o… un padre. Lo confondeva molto, questa situazione. Il ricordo del genitore che ancora conservava era per lui fonte di grande orgoglio, un eroe così grande… eppure sentiva che questa era una presenza opprimente, ingombrante, un termine di paragone troppo grande per lui! E poi non era mai stato molto presente, sempre preso dalle sue battaglie e dai suoi alti ideali. Sua madre… Desiderava molto rivederla, dopo che si erano lasciati in malo modo sei anni prima, il giorno in cui aveva scelto la strada da intraprendere. Jorge era stato sempre con lui in quei sei anni, insegnandogli ogni segreto della sua arte e ricoprendolo di attenzioni e premure, proprio come ad un figlio. Eppure…
Eppure adesso, mentre vagava per i corridoio bui della Torre del Mare, si rese per la prima volta conto che non sapeva niente di lui. Lo conosceva solo superficialmente, e del suo passato non conosceva niente. Non sapeva cosa faceva quando lui non c’era, dove andava la notte quando si allontanava dalla torre, quali erano le sue mire, i suoi intenti, le sue ambizioni. Fu così che decise di chiederglielo in quel momento stesso, non poteva assolutamente attendere. Con ampie falcate salì le scale silenziose, diretto verso l’ultimo piano, in cui era presente la camera di Jorge, l’unico posto in cui non era mai entrato e in cui non gli era concesso l’ingresso. Con il cuore in gola giunse innanzi alla porta, e trasalì trovandola socchiusa. La sua mente era come appannata, eppure, sapeva cosa doveva fare. Spinse leggermente, quanto bastava per entrare; la porta cigolò sinistramente sui cardini, introducendolo in un antro buio e senza finestre. Fece pochi passi all’interno, a tentoni, e quando si rese conto di essere solo decise di farsi luce. Sottovoce, mormorò le parole necessarie per creare una piccola luce, che sfavillò nella sua mano illuminando debolmente intorno a lui. Quello che vide lo fece trasalire così tanto che cadde a terra, scosso da brividi di terrore. Appeso alla parete di pietra scura da catene arrugginite, stava uno scheletro pallido umano, dal cranio leggermente allungato, il bianco delle ossa scintillante alla luce tremante; le braccia erano aperte, la testa alta, e le gambe strette unite da un’unica catena alle caviglie. La voce di mastro Jorge prese vita dalla fitta tenebra all’improvviso, facendo nuovamente sobbalzare Noctulis; era tranquilla, leggermente malinconica, eppure si sentiva una nota di dolore straziante in essa.
– Se tu potessi girare quello scheletro vedresti i monconi delle ali… Riuscimmo a convocare quell’angelo solo con un complicatissimo rituale, lo catturammo e lo mettemmo ai ceppi. Io di persona la torturai per quattro giorni di fila, ininterrottamente, infilzandolo con aghi roventi, cospargendogli di calce le ferite, spremendo fuori dal suo corpo ogni goccia di prezioso icore celestiale. Non resse il dolore quando gli strappammo le ali…
Ora che la luce di Noctulis lo illuminava, il volto dell’anziano sembrava ancora più vecchio, segnato da rughe indelebili, da una trama di ombre imperscrutabile e misteriosa. Non sorrideva, e nei suoi occhi si leggeva un rammarico antico e radicato. Sostenne solo per qualche istante lo sguardo del discepolo, poi piantò gli occhi stancamente a terra, continuando il suo discorso.
– In questa stanza conservo le cose più ignobili che feci e studiai quando ero al servizio dei Quattro, e vederli è ogni volta una coltellata alla mia coscienza. Allora non sapevo cosa facevo… Ero uno dei più efferati torturatori e inquisitori dell’Impero, nessuno resisteva ai miei incanti e al dolore che provocavo. Poi, un giorno, mi resi conto che quello che facevo non era umano, e ripudiai la carriera da sacerdote arcanista. Proprio io, che sapevo strappare letteralmente l’anima alle persone, me ne ero ritrovata una che non mi dava scampo…
Jorge rise brevemente, in modo mesto e lugubre, scuotendo la testa gravata dal peso degli anni e delle colpe.
– Era giusto che tu lo sapessi. Non me la sono sentita di…
– Perché non me l’ha detto prima?- esclamò Noctulis, spaventato. Terrore puro gli animava le membra; e più sotto, dal profondo del cuore, una rabbia infernale, una ferita fresca, un tradimento non previsto dalla persona da cui meno se lo sarebbe aspettato, a cui aveva affidato il proprio futuro. Il maestro non trovò nuovamente il coraggio di affrontarlo; sembrava affranto e oppresso.
– Pensavo che saresti rimasto lo stesso… ma ho avuto paura di te…
Il ragazzo si afferrò la testa tra le mani, urlando. Non voleva credere alle proprie orecchie, a quello che stava succedendo, a quel mondo che gli stava crollando sotto i piedi. Sentì le lacrime salire agli occhi e cercò inutilmente di ricacciarle indietro. Uscì dalla stanza di corsa, buttandosi a capofitto giù per il buio delle scale, e fuori dalla torre; abbandonò alle sue spalle maestro Jorge, non per quello che era stato, ma per quello che era e per quello che aveva fatto a lui in quei sei anni. Gli aveva mentito su ogni cosa, gli aveva nascosto i recessi del suo animo, non l’aveva reso parte di sé. Sotto la pallida luce delle stelle, Noctulis fuggiva. Non sapeva verso dove, ma non voleva tornare lì. Mai più.
Povero tenero Noctulio… le tessere del puzzle si ricompongono, alfine…
Con un’esperienza come questa alle spalle, mi chiedo davvero come poi… ma di questo parleremo in seguito, nevvero?
PS: certo che i due sposini si somigliano, dopotutto…
Eh, brava, ma non manca molto alla conclusione del passato del mascherato… E vedrai, vedrai…
Sì, ma datti una mossa!!!