Il lupo aveva già iniziato a strappare la grezza tela dei calzoni di uno degli uomini, pregustando un succulento polpaccio, quando un cespuglio si aprì lasciando passare tre figure su due zampe. Non era più aria, era ora di andarsene.
Noctulis, Uther e Franklin entrarono nella zona della battaglia guardinghi, gli occhi attenti a ogni minimo movimento. Dopo due settimane che camminavano in silenzio, alla ricerca di tracce di civiltà, avevano udito da lontano il clangore delle armi e le urla e si erano diretti in quella direzione. Uther stringeva i pugni rabbiosamente, scrutando le vittime a terra, imprecando tra i denti. Franklin gironzolava circospetto, commentando a voce alta la situazione a un attento Noctulis.
– Gherardo. Jareb. Narrod. Rabastio. Questi erano nostri compagni prima che le truppe imperiali ci tagliassero fuori. Un agguato, sembrerebbe. Gli uomini di Falcon hanno scovato il nostro gruppo di resistenza e l’hanno trucidato. Dodici soldati per sole quattro persone. Eppure, nessuno degli imperiali è rimasto vivo. Hanno venduto cara la pelle. I nostri compagni hanno lottato come leoni, altrochè.
Una lacrima furtiva scese sulla guancia del mezz’elfo, subito cancellata da un rapido colpo della mano guantata. Il ragazzo osservava i corpi riversi a terra, straziati da ferite terribili, i volti ancora contratti in smorfie di dolore. Se non fosse stato per le uniformi imperiali, quegli uomini sarebbero stati uguali in tutto e per tutto. Constatò con rammarico che stavolta avrebbe dovuto aver a che fare con la guerra in prima persona. Avrebbe portato morte su altri uomini. Per un ideale di libertà. Il suo. Uther si girò di scatto, urlando verso il compagno.
– Non sarebbero dovuti rimanere al nascondiglio? Cosa ci facevano qui!
Con voce flebile, Franklin rispose alzando appena le spalle.
– Gruppi di resistenza si vanno unendo a sud-est di qui, sotto la silenziosa protezione delle Contee di Meridione. Saranno voluti andare a unirsi a esse.
– Sono andati a farsi ammazzare, invece, dannazione!- ululò il possente uomo, colpendo con un pugno un tronco e facendolo tremare. Noctulis si guardò bene intorno in attesa; quell’urlo sarebbe stato sentito da chiunque, lì vicino. Riteneva che non ci fosse nessuno, in attesa, ma non si poteva mai sapere. Intanto era bene cercare di calmare Uther, facendogli mantenere il sangue freddo.
– Erano tuoi compagni d’arme. Uomini di guerra. Sapevano che rischiavano la vita, e hanno combattuto sino all’ultima stilla di sangue per quello in cui credevano- sussurrò verso il grosso combattente, con tono scevro di alcuna commiserazione o compassione. Cosa che mandò Uther su tutte le furie. Si girò, guardandolo a occhi stretti, la barba ispida che fremeva come viva, ringhiando come un cane idrofobo.
– Sei stupido o cosa? Non hai un cuore in quel petto? SONO MORTI! I MIEI AMICI SONO MORTI! Cosa dovrei fare, star qui a cincischiare?
Noctulis provò a non mutare espressione. Non voleva farlo arrabbiare ulteriormente, anzi voleva tranquillizzarlo. Eppure quella che gli uscì fu una faccia sdegnata, contratta.
– Vuoi fare qualcosa per loro? Non rendere vano il loro sacrificio. Rendi loro l’immortale fiore della memoria.
Gli occhi di Uther erano fuori dalle orbite, ormai, e borbottando qualcosa, incapace di articolare alcunché per la troppa furia, volto le spalle al giovane. Noctulis rimase fermo sul posto, consapevole che se solo avesse aggiunto una sola sillaba Uther l’avrebbe colpito. Forte. Non voleva essere scortese, ma qualcosa in lui era cambiato. Non era mai stato bravo con le persone; scontroso, strafottente, era sempre troppo concentrato su se stesso per dar peso agli altri. Eppure, le genti di Alemar, in qualche modo, l’avevano cambiato, rendendolo libero di pensare e di agire come meglio credeva, e questo paradossalmente l’aveva spinto a decentrare la sua attenzione solo dalla sua persona. Ora li aveva lasciati, probabilmente per sempre. Rasho e Kamilla. Due amici veri. E così si era nuovamente richiuso a riccio, quasi a difesa, il solito vecchio scorbutico, menefreghista, acido Noctulis.
Franklin, alle sue spalle, fece una risatina mesta mentre ricomponeva i corpi dei compagni.
– L’immortale fiore della memoria… Starà bene… sulla loro tomba…
Il ragazzo chiuse gli occhi, sinceramente addolorato, e tacque. È meglio stare zitti, a volte.
* * *
– La mia meta è a meno di un giorno di cammino da qui. Posso proseguire da solo.
– Allora ci salutiamo qui, Noctulis.
– Già.
Le fronde degli alberi avevano disegnato il loro miglior arabesco di ombre per commemorare la divisione del gruppo. Uther e Franklin sarebbero proseguiti verso ovest, in direzione delle Contee, passando sotto le Paludi Fosche, per unirsi ai ribelli che si stavano ammassando in quei luoghi. Noctulis, invece, sarebbe proseguito a sud, verso il mare, attraverso le famigerate Coste del Sangue.
– Guarda che stai per passare attraverso un posto pericoloso. Meglio se ti accompagniamo- borbottava Uther, cercando di non apparire troppo coinvolto, appoggiato con le spalle a un tronco; negli occhi stretti, eppure, si riconosceva l’apprensione per quel ragazzo segaligno e tagliente. Il mezz’elfo lo guardò, sospirando affettuoso, ma Noctulis prese parola velocemente.
– No, è pericoloso, l’hai detto. Meglio che vada da solo. Manterrei maggiori probabilità di sopravvivenza che con voi due a traino.
Uther caricò meglio lo zaino, e si incamminò nel folto della foresta, mugugnando qualcosa che assomigliava a un “incosciente stupido spocchioso”. Franklin si sporse di poco in avanti, invece, abbracciando leggermente Noctulis, il quale ricambiò il gesto un po’ timoroso. Non era abituato a tanta attenzione, e un po’ gli dispiaceva trattarli così. Poi, il gioviale compagno lo allontanò, tenendogli le mani sulle spalle. Ora lo guardava serio, stranamente accigliato.
– Non sei più un ragazzo. Sii sempre consapevole delle tue azioni, e non perdere troppo tempo a rimirare quello che hai lasciato. Pensa a quello che troverai.
Noctulis rimase intontito, mentre Franklin se ne andava. Sembrava che gli avesse letto nel pensiero, in quello che gli girava per la testa da giorni. Stava per fare qualcosa di cui si sarebbe potuto pentire, se ci avesse pensato troppo. Doveva andarci, e basta. Il passato era passato.
* * *
Quando la campana di allarme suonò, squillando tra i vuoti corridoi di pietra, il vecchio non fu troppo sorpreso. Da sempre non era gradito in quel posto, e ogni tanto si premuravano di ricordarlo. Gli elfi scuri, i drow, il ramo malato e corrotto della stirpe elfica, dalla pelle color ebano e dalle anime marce: i suoi dannati molestatori. Credevano che quel posto fosse loro, prima che lui lo occupasse come magione personale. Prima gli riusciva ben più semplice difenderlo; era più giovane, più deciso… Aveva anche più voglia di vivere. Ora lo faceva quasi per noia, perché non aveva altro da fare se non comportarsi da vecchio caprone cocciuto quale era. Quando si sporse dalla finestra per studiare la situazione, il sole lo accecò violentemente per qualche attimo. I verdi alberi della foresta declinavano dolcemente sulla spiaggia sabbiosa, mentre le rocce scure della scogliera che formava il promontorio su cui si trovava la dimora splendevano bagnate dai flutti del mare. E là, tra gli alberi, una voce risuonò forte e chiara.
– MASTRO JORGE! SEI UN DANNATO BASTARDO!
Brividi lungo la schiena. Era cambiata, quella voce, era più grave, più adulta, ma era sempre la stessa. Noctulis. Noctulis era lì nella foresta. La gioia del primo pensiero svanì subito dopo il secondo.
“La foresta e la spiaggia sono piene di trappole”.
Incurante dell’età, mastro Jorge si precipitò verso l’ingresso, la grigia veste lisa appena alzata per non ostacolare i movimenti. Era più vecchio nel corpo, adesso, ma la pelle rugosa non aveva perso la sua abbronzatura; i capelli, da sempre candidi come la barba, risultavano lunghi e incolti, e l’andatura si era fatta via via ancora più storta e trascinata a causa della gobba prominente. Nonostante questo, l’anziano mago scendeva gli scalini della Torre del Mare con falcate che avevano dell’incredibile, come se ogni istante fosse vitale. Scale, porta spalancata, spiaggia sotto il sole cocente… Ogni passo, e maestro e allievo erano più vicini…
Un fulmine scaturì dal nulla, mancandolo di striscio e spegnendosi in un lampo azzurro alle sue spalle. Mastro Jorge capì che era un sortilegio, e che era stato mancato di proposito. Davanti a lui, in piedi tra gli alberi, a oltre cento passi, un ragazzo alto e magro, dai capelli castani legati a coda e con vecchie vesti color cenere; sul viso affilato, un’espressione di sfida. Noctulis era lì, in piedi davanti a lui.
– Chi stende l’altro, detta le regole.
Nessun tremore nella voce adulta. Il solito tono deciso ed arrogante. Sì, era di nuovo lì, il suo vecchio allievo. L’anziano maestro chiuse gli occhi per un attimo di riflessione, poi si riscosse, raddrizzando la schiena. In un colpo, era ringiovanito di dieci, no, vent’anni.
– Ci sto.
Le mani di entrambi scattarono in avanti rapidamente, mentre arcane parole iniziavano a sfrecciare nell’aria. Un ampio gesto del braccio, e dalla punta delle dita di Mastro Jorge partirono numerose scintille; queste, cadute a terra, iniziarono ad ardere espandendosi, andando a formare una fiamma rovente a foggia di lupo, che balzò rapida in avanti. Dal canto suo, Noctulis alzò rapidamente il braccio verso l’alto, e subito un forte vento iniziò a soffiare da terra verso il cielo, alzando una coltre di sabbia attraverso la quale era impossibile vedere.
– Credi sul serio di sfuggirmi con questi trucchi elementari?- urlò sopra l’ululato del vento Mastro Jorge. Si concentrò sulla creatura da lui evocata, cercando di indirizzarla dove percepiva la presenza dell’allievo, manovra ardua in quella condizione.
– Non perdere tempo a cercarmi…
Noctulis gli era accanto,coperto di sabbia da capo a piedi, con un sorriso strafottente sul viso. Non aveva avuto certo paura della sabbia rovente, l’aveva affrontata e usata come copertura per coglierlo di sorpresa. Era migliorato, indubbiamente, come strategia e come utilizzo dell’arte arcana.
– Non montarti la testa- mugugnò il vecchio, e cantilenò un secondo incantesimo. Una sfera di vento turbinante gli si formò tra le mani, raccogliendo le forze già scatenate intorno a loro, pronta a spedire il giovane per aria, se l’avesse colpito. Sapeva che l’allievo era cosciente degli effetti del suo sortilegio, e avrebbe fatto di tutto per evitare di subire il colpo. Doveva attendere l’istante giusto per colpirlo, se voleva vincere.
Invece Noctulis gli si fece sotto a muso duro, a petto scoperto, sicuro di sé. Jorge fece in tempo solo a pensare “Questo è impazzito”, prima di portare le mani innanzi a sé in difesa, colpendo in pieno l’allievo. Il vento raccolto dal sortilegio si liberò in una sorta di tromba d’aria che investì in pieno il giovane, con violenza inaudita, portandolo rapidamente in alto. Il vecchio, invece, cercò di proteggersi il volto dalla sabbia, ma la forza del vento lo stava respingendo a sua volta e…
Si ritrovò con le spalle per terra all’improvviso. Si accorse a malapena di aver perso l’equilibrio, e se ne rese conto solo quando colpì il suolo. Pochi passi più in là, intanto, Noctulis planava dolcemente a terra contornato da un alone di magia dorata, le vesti lacere ma perlopiù incolume; atterrò proprio accanto al viso del maestro, contemplandolo soddisfatto. La luce del sole faceva luccicare la sabbia nei suoi capelli, dandogli per un istante un’aria quasi angelica. Jorge, affannato, cercò di chiedere al giovane come aveva fatto ad atterrarlo, ma l’altro, comprendendo la stanchezza e l’età del maestro, lo interruppe con un sorriso.
– Il primo colpo a vuoto- sentenziò allegro Noctulis. – Serviva a creare un buco poco profondo alle tue spalle, il buco in cui sei inciampato indietreggiando. Anche l’essermi fatto vedere direttamente ha impedito che tu avessi il tempo di guardare dietro di te, temendo un attacco a sorpresa. Il turbine di sabbia serviva a confonderti la vista, in modo che tu non vedessi la trappola durante la battaglia, e il resto l’hai visto. Sapevo che avresti usato un sortilegio da cui mi sarei potuto difendere, e ho anche azzeccato quale.
Jorge ridacchiò, stupito, guardando l’estatico allievo.
– Tutto calcolato nel minimo dettaglio. Sei molto sicuro di te.
Noctulis annuì, porgendo una mano al maestro e invitandolo a rialzarsi.
– Ho vinto e detto le regole, maestro. Ora lei mi seguirà a est. Andiamo a combattere.
Il vecchio attese un istante, necessario per capire. Noctulis era tornato dopo sei anni, e gli stava offrendo una possibilità per riscattarsi ai suoi occhi, per redimersi, combattendo quelli con cui Jorge era stato in combutta per tanti anni e poi aveva tradito. Gli stava offrendo l’occasione di mostrare che era un degno maestro, e qualcuno da cui poteva ancora imparare. Accettò il braccio, e si rialzò, scrollandosi le vesti dalla sabbia. I dolori del corpo non si facevano sentire, stranamente. Lo spirito era più forte della carne, e lui ora voleva combattere.
– E sia, Noctulis. Andiamo dove vuoi tu.
– Sapevo che l’avresti detto, maestro.
Con gesto insolitamente delicato, Noctulis afferrò il maestro sotto braccio, offrendosi a lui come bastone, e iniziò a parlare a ruota libera, esponendo un prolisso ed eccitato resoconto dei suoi viaggi. Jorge lo guardò teneramente, in silenzio, mentre l’allievo lo accompagnava in casa lentamente. Era contento che Noctulis fosse tornato.
Portentoso! Sconfiggere il maestro in poche mosse, come fosse una cosa da niente!
E’ più potente o più astuto? O forse entrambi?
E’ evidentemente più stronzo! 😀
concordo con la Lastra 😛