L’uomo correva affannato nella pineta, gettando occhiate terrorizzate dietro le sue spalle. Solo il buio della notte gli si parava davanti agli occhi, a tratti spezzato dai pochi deboli raggi di luna che filtravano tra le fitte chiome degli alberi; la nebbia del suo stesso respiro era il filtro del suo sguardo, in quei momenti di gelida morte e disperazione. Non era sicuro di cosa aveva visto, ma aveva ben capito che doveva solo scappare. Lui e i suoi compagni, pirati di professione, erano accampati in una radura dopo una sera di caccia, intorno al fuoco per contrastare il rigore delle ultime notti della luna di Kainus Yano; bevevano, mangiavano e godevano dei proventi della loro attività. Il resto della ciurma li attendeva a riva, sulla nave, mentre loro procacciavano un po’ di cibo: insomma, routine. Poi il mondo, all’improvviso, era crollato su se stesso; tenebre, poi fuoco accecante, poi di nuovo un oblio privo di luce. L’odore nauseabondo della carne bruciata, piccoli mucchi di cenere fumante, strisce di un grigio fumoso nel nero della notte. Era ustionato, dolorante, ma vivo, ed aveva intravisto qualcosa nel fumo, e per questo fuggiva. Occhi troppo grandi per essere umani, sgranati, chiari tanto da sembrare bianchi, spalancati verso la morte innanzi a lui, lo scrutavano impietosi dal buio, brillando in esso. La sua mente era stata perentoria: scappa. Fuggi. Vattene da quel mostro. Vattene prima che…
Prima che un lampo di luce scarlatta fenda la notte, passando le tue carni da parte a parte. Prima che il tuo corpo cada a terra come un sacco, privo di forze, animato solo dall’orrore più cupo. Vedi la tua vita passare innanzi agli occhi, mentre strisci carponi tra i cespugli, spargendo il tuo sangue al suolo. Quella che ti insegue è una belva, è inutile, ti troverà, non ti darà scampo. Senti i suoi passi leggeri calpestare le foglie, avvicinandosi a te, mentre ormai i brividi ti squassano la schiena. E così scopri che è un uomo come te, quando appare tra gli arbusti, facendo pochi passi nella fredda luce lunare, un uomo esile, avvolto da vesti lacere e insanguinate di uno stinto color ferro, troppo larghe per il suo corpo scheletrico. Le sue mani sottili si intrecciano nell’aria, mentre una debole litania rauca si alza dalla sua gola. Il volto, sotto il cappuccio tirato sui capelli corti, è racchiuso in uno stretto bendaggio, lasciando libera solo la bocca e le guance; e nel buio di quel viso bendato si aprono quegli occhi da demone, glaciali, che hanno già sentenziato la tua condanna. È inutile che provi a fare resistenza…
– Se è l’oro che vuoi, i miei amici ne hanno molto… Ma ti prego, non mi uccidere…
Non biascicare. Non pregare. Si vede che non gliene importa niente dell’oro, delle ricchezze. Su quel volto serio e compunto si legge una nota di crudeltà inevitabile, di sete di sangue inappagabile, un disgusto profondo per quel che sei. Non sei altro che il prossimo, per lui. Il prossimo.
– Grazie per l’informazione.
La sua voce è un coltello che ti passa da parte a parte, tanto è distante e lugubre. Quella belva sa di essere un mostro, e non fa niente per dissimularlo. Puoi solo raccomandare la tua anima agli dei, e non credere che ti sarà sufficiente. Il demone ti sta puntando un dito contro, e vuol dire che la tua sentenza è pronunciata. Non è più un tuo problema, ormai.
* * *
Quattro sacrifici in una sera per la sua dea, per la sua "benefattrice", senza grossi rischi o pericoli, eppure Noctulis non riusciva a esserne in alcun modo soddisfatto. Era più di un anno che quella storia andava avanti, e tutto quel sangue iniziava a tediarlo. Era disgustato da quello che era diventato, una macchina per mietere vittime, per accumulare quante più anime possibili per garantirsi qualche giorno di vita in più. Non era un uomo, era una calamità naturale, un cataclisma. Fino a quel momento aveva cercato di tenere fuori da quella battaglia individui che non meritassero la morte; si era concentrato su briganti, disonesti di qualsiasi risma, aveva scovato vecchie sacche residue di combattenti ancora fedeli all’impero dei Quattro Signori del Fato, e poi aveva scovato orchi, hobgoblin, mostri che vivevano fuori dalla società. E dopo poco aveva capito che anche questo era assassinio, poiché con un solo gesto si faceva giudice, giuria e boia; non concedeva loro alcuna difesa, solo il privilegio di poter morire rapidamente se non tentavano di scappargli. Seguiva una giustizia irreale, inventata da lui, solo per giustificare ogni goccia di sangue che gli macchiava le mani, si nascondeva dietro falsi pensieri per giustificare il suo operato. Sapeva che se non avesse fatto così avrebbe perso quel briciolo di umanità che gli rimaneva, ma sapeva che prima o poi sarebbe successo comunque, lo avvertiva. Il suo stesso corpo era debole, deperiva rapidamente di giorno in giorno, acquistando forza solo nella prospettiva di guadagnare qualche giorno di permanenza in più su quelle terre, altrimenti lo sentiva solo vagamente, come se i suoi sensi, le sue percezioni fossero lontane, un mondo distante. E dentro di sé sentiva che il dolore, il rimorso, il senso di colpa, erano ogni giorno più flebili, si affievolivano ogni volta che li sentiva, sempre meno pressanti, sempre meno problematici. Provava stranamente ad alimentarli, poiché sentiva che se li avesse rinchiusi da qualche parte essi sarebbero deperiti, lasciando spazio solo al vuoto che lo stava corrodendo. Avrebbe iniziato a collezionare anime per far vivere un corpo che di un’anima era privo, e questo non se lo poteva permettere. Iniziava a pensare alla concessione che la Morte gli aveva fatto non come un dono, ma come una maledizione. Altro che benefattrice, quello che gli era stato dato era un contratto con tanto di capestro in cui era inesorabilmente stretto. Nonostante tutto voleva vivere e basta, anche se gli sfuggiva il perchè. Eppure ogni volta che si lasciava andare, che pensava che quella fatica era inutile, la cicatrice che aveva sul volto si faceva sentire violentemente. Di tutte le ferite di quella sera di più di un anno addietro, quando mastro Jorge lo aveva abbandonato, gli era rimasta evidente solo quella sul viso, quell’ustione a forma di mano che gli copriva gli occhi e la fronte, infertagli dalla sacerdotessa drow. Era stata la più grave, da far guarire, ma non si era mai rimarginata completamente, e con il suo dolore provvedeva a ricordargli che nel suo corpo la vita scorreva ancora, e che questo gli piaceva. L’aveva perciò coperta con le bene, a proteggerla, non solo per paura che si potesse infettare ma anche per dare riparo a quanto di umano gli era rimasto. Quella cicatrice rappresentava la parte più intima di lui, e non l’avrebbe condivisa con nessuno.
* * *
La nave era ormeggiata poco distante alla riva, con le vele alzate, ma con lo stendardo piratesco che sventolava nella luce lunare: un cranio pallido, con due sciabole incrociate dietro di esso, ghignava beffardo al mondo la sua sfida criminale. "Che bisogno ci sarà mai di rendersi così appariscenti," si chiese Noctulis, " poi non vi lamentate della fine che fate". La sua ultima vittima aveva detto il vero, a quanto sembrava, e per quanto lo stregone si sentisse già appagato per quella notte decise di non lasciarsi andare quell’opportunità. Qualche anima in più significava qualche giorno in più di vantaggio, che poteva spendere in altri modi. Una volta aveva pensato a come liberarsi della maledizione senza morire e senza bisogno di suicidarsi, ma il dolore che lo aveva colto al cuore lo aveva steso rantolante a terra: evidentemente qualcuno si era offeso per come stava rifiutando il suo "dono". Adesso però doveva lavorare, pensare a come gabbare quei dannati pirati nel miglior modo possibile con il minor dispendio di fatica e il massimo risultato. Fu a quel punto che il cielo gli diede un segnale: le nubi temporalesche che per tutta la sera avevano solo dato avvisaglie di burrasca velando a tratti la luna si esibirono in un coro di roboanti tuoni, illuminarono l’orizzonte con qualche lampo e poi iniziarono a far cadere una tenue pioggerellina fredda, che iniziò subito a intensificarsi. Noctulis si calcò bene il cappuccio in testa, facendo attenzione che le bende si bagnassero il meno possibile, e rise lugubremente tra sé e sé alzando gli occhi al cielo.
– Grazie mille- sussurrò mentre si dirigeva a piccoli passi verso la scialuppa in secca.
* * *
– Tempaccio lurido schifoso infame- mugugnava Olaf fra sé e sé. Il grosso marinaio aveva perso la sua sfida a dadi e si era così guadagnato il turno di guardia sul ponte in quella nottata tempestosa per attendere i compagni pirati andati a riva a fare provvigioni di acqua dolce e cibo, e la cosa lo indisponeva alquanto. Che il vecchio Nick li potesse mangiare, ma quanto ci mettevano? Non aveva certo intenzione di rimanere tutta la notte sotto l’acqua se quelli avevano deciso di rimanere a terra! Almeno potevano avvertire!
Quasi in risposta ai suoi improperi, il pirata intravide la sagoma della piccola scialuppa avvicinarsi tra i flutti verso la nave, con un solo individuo ai remi. Con tutta quella pioggia non riusciva a riconoscerlo, ma probabilmente era qualcuno che si era degnato di venire a comunicare la decisione che avevano preso, alla buon’ora; scese dalla sua posizione di vedetta inveendo contro tutti gli dei che conosceva, mentre la scialuppa si affiancava al vascello.
– Spero che abbiate una buona scusa!- urlò Olaf cercando di superare l’ululato del vento, mentre buttava giù la scaletta di corda. – Il capitano non sarà contento quando gli dirò quanto ci avete messo, branco di fannulloni! Almeno avrete fatto buona caccia, spero!
– Speri bene- gli rispose una voce rauca a lui sconosciuta dalla balaustra della nave. Si voltò di scatto, solo per vedere una figura nera che era balzata sul ponte qualche passo dietro di lui, poi vide due lampi bianchi simili a fendenti di spada. Non sentì dolore. Si accasciò a terra, silenziosamente, chiudendo gli occhi mentre il sangue che sgorgava dalla sua gola e dal suo petto si mescolava con la pioggia.
Noctulis contemplò per un attimo la mano carica di energia magica tanto da renderla tagliente e letale, sporca di sangue che veniva rapidamente lavato via dall’acqua cadente. Dentro di sé sperò invece che almeno una macchia nella sua anima rimanesse, per tutto quello che faceva. Non sopportava l’idea di venir divorato dal nulla. Era tempo di mettersi a lavorare, però.
A piccoli passi silenziosi esaminò tutto il ponte della nave, in largo e in lungo, salendo sino al cassero di poppa; tutto era ammantato in una tenue penombra grigiastra, nebbiosa, mentre il vento innalzava il suo grido stentoreo. L’imbarcazione era ferma all’ancora, con le vele ammainate, il timone bloccato da un remo e con nessuno più di guardia. "Banale", pensò Noctulis, dirigendosi verso il fianco da cui la gomena dell’ancora scendeva sino ad inabissarsi nell’oscurità del mare. Si affacciò dalla balaustra, contemplando come solo quella corda reggesse la nave in mezzo alla tempesta,facendola resistere all’impeto delle onde ed impedendogli di andare a zonzo per la vastità della superficie marina.
– Adesso si balla- commentò lo stregone, preparandosi all’azzardo. Richiamò l’energia magica nelle sue mani e la tramutò in un getto di liquido corrosivi, che investì la corda; subito essa iniziò a fumare, tirata in tensione, poi seguì un cigolio metallico e un muggito sordo, come se la nave si stesse lamentando conscia del suo futuro imminente, e infine la gomena si spezzò con uno schiocco secco. Lo scafo, sciolto dai suoi vincoli, celebrò la sua ritrovata libertà impennandosi per un istante, poi iniziò a dondolare da un lato all’altro, come se gongolasse: Noctulis si trovò costretto ad aggrapparsi alla balaustra per non cadere in mare, mentre già alcune onde prendevano a schiaffeggiare il ponte ballerino con la loro foga e inzuppavano le vesti al giovane stregone.
– E adesso devo solo aspettare- sussurrò. Si rese conto per un istante che ultimamente parlava molto, troppo tra sé e sé, come se avesse un interlocutore interno. Eppure non era tempo di elucubrazioni, in quanto venne violentemente strappato subito dai suoi pensieri dall’arrivo delle prime figure. Vide una botola aprirsi sul ponte, da cui uscirono fuori sciamando una decina di sagome provenienti da sottocoperta, e fece appena in tempo a buttarsi a nascondere tra alcuni barili traballanti prima che gli uomini si dirigessero nella sua direzione; una voce profonda e autoritaria urlò sopra il vento alcuni ordini decisi, e i pirati si misero a lavorare alacremente per riprendere il controllo della nave. Proprio come previsto.
Aveva una coppia di pirati subito sotto tiro, intenti a srotolare una nuova gomena per attaccarci una nuova ancora di sicurezza; un colpo solo e li avrebbe spediti tra i flutti burrascosi. Si concentrò per preparare un sortilegio, intrecciando le dita innanzi al suo volto e mugugnando una veloce litania, quando si trovò bruscamente ad inspirare una boccata d’acqua, si sentì le gambe superare la testa e si ritrovò disteso ed annaspante in mezzo al ponte, dove l’onda l’aveva lasciato sotto lo sguardo allibito dei due marinai. Uno di essi urlò con quanto fiato aveva in corpo, guardando irato l’intruso.
– CLANDESTINO A BORD….AAAAAAAAARGH!
Un dardo di luce scarlatta gli trapassò il costato, partendo dal dito teso dell’individuo a terra e buttandolo a terra senza più respiro. L’altro pirata non se lo fece ripetere, e ripetendo l’avviso sguainò dalla fusciacca che aveva in vita una sciabola dalla lama sottile e ricurva, con cui tentò di colpire l’incantatore. Noctulis maledisse la sua dannata sfortuna, e facendo appello a quanta forza aveva in corpo rotolò di lato schivando il fendente dell’avversario; la nave subito beccheggiò di nuovo paurosamente, e lo stregone si ritrovò a scivolare senza controllo sino al centro del ponte. Qui i marinai al lavoro si fermarono stupiti per un istante; l’uomo che urlava, un tizio dalla corporatura robusta e dal volto glabro e rude, coperto di cicatrici, con addosso abiti appariscenti ed esotici, sguainò la sua sciabola con un solo gesto e la puntò contro il nuovo arrivo.
– ADDOSSO, UOMINI!
I pirati si avvicinarono cautamente allo stregone, malfermi sul ponte traballante; Noctulis approfittò di questo momento di incertezza per balzare in piedi e, senza troppo pensare, afferrò una corda che pendeva dall’alto. Seguì con lo sguardo il percorso del sartiame e sparò un dardo di energia verso l’alto, poi si tenne stretto; i pirati lo videro scomparire all’improvviso nella notte, mentre una delle vele degli alberi, libera dalle corde, iniziava a sbattere violentemente nel vento ruotando vorticosamente su sé stessa. Noctulis adesso se ne stava appeso a mezz’aria, a oltre venti piedi d’altezza, trascinato in alto dal movimento brusco della vela; si ritenne soddisfatto di essere uscito dal folto della mischia, ma adesso doveva riuscire a mettersi in salvo da quella situazione potenzialmente mortale.
– Non dovrei morire, secondo i patti…- biascicò irato, mentre si dondolava con le gambe per raggiungere la scaletta di corda poco distante. Quando ci si gettò, con un balzo goffo, si aggrappò con quanto fiato aveva in corpo, sbattendo bruscamente contro l’albero; diede un’occhiata veloce verso il basso, e vide che lo avevano visto e iniziavano anche loro a salire sulla scaletta per raggiungerlo. Doveva salire, per salvarsi, ed iniziò ad arrampicarsi, mentre la pioggia gli sferzava il viso e impregnava le bende; era l’unica opportunità che aveva, seppur da pazzi. Con i muscoli contratti nello sforzo della salita, si voltò di scatto, e sfrutto i pochi metri di vantaggio che aveva per recitare un incantesimo; piccole sfere azzurre, crepitanti di elettricità, partirono dal palmo della mano sino a deflagrare in piccole esplosioni luminescenti quando colpirono i quattro marinai che risalivano la scaletta. Quando raggiunse la coffa, dove il sartiame si incrociava, contemplò rallegrandosi che i corpi dei pirati giacevano sul ponte in pose contorte, con larghe bruciature fumanti addosso. E gli altri, quelle anime smarrite, quelli che gli avrebbero garantito nuovi giorni sulle terre mortali, lo guardavano stupiti, a naso in su, increduli della morte che un solo individuo apparso nella tempesta stava portando. Noctulis provò una contorta soddisfazione nel contemplare il riflesso del demonio che era divenuto negli occhi di quegli individui, che subito provavano a raggiungerlo; era qualcosa di malato, oscuro ma forte, e lo rinvigoriva come un profumo inebriante. I pirati videro nel buio del cappuccio, sotto i bendaggi, accendersi un sorriso distorto e ghignante e occhi celesti, freddi e pericolosi come gli iceberg che avevano affrontato in alcune zone del mare, insidiosi come una tempesta di ghiaccio pronta a scatenarsi, e tremarono nel loro intimo, sospinti solo dalle urla irate del loro capitano, ormai lontane dal loro abisso di paura. Lo stregone afferrò una corda, dall’alto della coffa, e guardò il ponte battuto dalla pioggia sotto di lui; se fosse rimasto lassù in cima lo avrebbero raggiunto, prima o poi, quindi aveva una sola possibilità. Saltò nel vuoto, assicurato solamente alla fune, e planò verso il basso a gran velocità; la corda si tese improvvisamente, tenendolo a qualche metro d’altezza, da cui con un semplice salto avrebbe potuto raggiungere il suolo e riprendere il combattimento in una situazione favorevole. Un piano perfetto, elaborato in pochi attimi, ma che gli avrebbe permesso di guadagnare qualche giorno in più di vita; si sentiva temerario, provava il piacere di osare azioni altrimenti impensabili, come se fosse invincibile o… immortale. Un dolore improvviso, un morso di metallo feroce lo strappò dal suo delirio, quando un dardo di balestra lo colpì alla spalla che teneva la corda, conficcandosi in profondità; lasciò la presa, sopraffatto, e invece che arrestarsi grazie alla corda continuò la sua corsa nel vuoto. L’impatto con il ponte fu squassante, e il corpo di Noctulis rimbalzò sul legno fradicio prima di arrestarsi: cadde proprio sulla spalla ferita, così che il dardo si spezzò così come la clavicola, poi batté violentemente la testa ed il resto del corpo seguì l’impatto. Davanti agli occhi la notte si era accesa di stelle bianche, che si spegnevano rapidamente per risorgere nuovamente, e in quel confuso dolore vide sagome umane circondarlo minacciose. La voce del capitano gli giungeva alle orecchie come un’eco rauca di voci distorte.
– Non so cosa ti abbiamo fatto, uomo, ma sappi che la tua morte sarà esemplare.
Il capitano, un grosso uomo dalle vesti esotiche, completamente glabro e dalla pelle scura e indurita dalle cicatrici, aveva buttato a terra la balestra e aveva sfoderato la sciabola, che brillava come una luna nella pioggia, e sovrastandolo si preparava a mettere un termine alla sua vita. Così? In un modo così stupido, in un posto così squallido? La spinta che Noctulis si diede con le mani a terra sorprese lui stesso per primo, facendolo rimettere in piedi, seppur barcollante; la lama tuttavia lo raggiunse al costato, stridendo sull’osso sottostante e versando al suolo altro sangue. Un morto in piedi, distrutto nel fisico ma non nello spirito, ecco come si sentiva Noctulis, e avrebbe fatto di tutto per non finire i suoi giorni in quel modo; finito il senso di onnipotenza, lo guidava l’istinto di conservazione. I pirati, attenti, con le armi sguainate, cercavano il loro equilibrio sulla nave instabile e ondeggiante, sospinta nella bufera dalle onde; solo il loro capitano, fronteggiava ancora lo stregone con un ghigno attento e crudele.
-Pensi davvero di farcela, uomo? Pensi di riuscire a scappare da qui?
Noctulis ci pensò su. Si guardò intorno, studiò le possibili alternative, quali mezzi poteva sfruttare. Poi vide una striscia nera, nella pioggia, a pelo del mare, gigantesca e in avvicinamento. Capì al volo la situazione.
– Forse ce la faccio- biascicò tra sé e sé.
Tutti gli uomini si mossero insieme verso di lui, quando Noctulis puntò una mano verso il fianco della nave, litaniando strane parole a bassa voce, ma quest’ultimo fu più veloce. Un colpo di vento, superiore a quelli che già soffiavano, investì uno dei marinai, spingendolo oltre la balaustra e creando un varco nella loro formazione; lo stregone si buttò in quello spazio, fronteggiando l’ombra sempre più grande e vicina. Per fortuna, a causa della battaglia, nessuno dei pirati se ne era accorto, constatò con un fugace pensiero l’incantatore, poi si issò oltre il bordo a fatica, fronteggiando direttamente la massa d’acqua tempestosa; i suoi avversari cercarono di seguirlo, ma il loro equilibrio era instabile.
– Avanti, uomo, fallo!- urlò ridendo il capitano. – Buttati in mare, dove non conoscerai scampo! Il mare distrugge, il mare spezza, il mare uccide!
Un ultimo sguardo al salto che si accingeva a fare, poi uno sguardo rapido al capitano, seguito da un rapido sussurro.
– Anch’io lo faccio, e non ho bisogno di tutta questa pubblicità.
Saltò verso il mare, verso quella massa irata e turbolenta; in quell’istante, un lampo illuminò a giorno la tempesta, mostrando ai marinai la loro sorte. La spiaggia, la terra, l’ombra nera che si allargava era vicinissima, e la nave si stava andando ad arenare, sospinta senza controllo dalle onde. Noctulis toccò l’acqua scoprendo che era piuttosto bassa, in quel punto, anche se le onde rischiavano di sommergerlo in ogni attimo; impegnato nel nuoto verso riva, incurante della sua condizione, sentì a malapena il rumore della nave che si incagliava nelle vicinanze della costa, rovesciandosi su un fianco. Sentì le urla, i tonfi sordi di oggetti e persone che cadevano in mare, avvertì che anche loro stavano combattendo per la loro vita, come lui faceva per la sua. Il sale gli bruciava nelle ferite, e il tempo e la fatica che impiegò per trascinarsi a riva gli sembrarono infiniti. Stremato, strisciò via dalla spiaggia, dove ancora imperversava la furia delle onde, e si buttò sulla terra fangosa e umida della vicina pineta. Salvo. Salvo. Non riusciva a pensare ad altro. Salvo.
– Prendete quel figlio di puttana! Voglio la sua testa!- ruggì la voce del capitano sopra il vento, furente come il mare stesso.
Non era salvo, ancora. I pirati erano giunti a riva con più abilità, e con buona probabilità erano infuriati per quello che aveva fatto alla loro nave; solo il suo sangue poteva dar loro soddisfazione. Comprensibile, d’altronde anche lui fino a poco prima pensava la stessa cosa nei loro confronti. Era tempo di fuggire, però, non poteva combattere in quelle condizioni.
* * *
Quei giorni, forse dieci, forse venti, sembrarono scorrere come in un incubo. Stavolta era lui la belva, ferita e braccata da lupi assetati di sangue. I pirati lo seguirono a terra, nella foresta, senza dargli un solo attimo di scampo, con e senza la pioggia, nel vento e nel sereno. Riusciva a riposarsi a sprazzi, quando guadagnava un po’ di terreno, ma in poche ore veniva sempre ritrovato e la caccia riprendeva. Utilizzò ogni singola stilla di magia che aveva per difendersi, ogni incanto che conosceva per mettersi in salvo, spinse il suo copro al limite; non aveva avuto modo di mettere in sesto le sue ferite, che ogni giorno divenivano più dolenti. La spalla e il costato pulsavano, evidentemente rotte, tanto da rendergli difficile quasi respirare; la cicatrice sul volto, poi, aveva preso a sanguinare regolarmente, offuscandogli la vista in una nebbia rossastra. E attraverso quella nebbia rossastra fuggì lungo la costa, nascondendosi nei cespugli, nei roveti, sugli alberi, aggravando le sue condizioni; sapeva, sentiva che sarebbe morto solo se l’avessero preso, non certo per quelle ferite. Sparò getti di fuoco, creò lampi e fulmini, evocò getti di vento e fiotti d’acido, generò dardi di pura magia, assorbì la vita stessa dal corpo degli sfortunati che sperimentavano il tocco della sua mano; ne uccise uno, e poi un altro, e un altro ancora, e altri cinque. Nell’incubo che viveva, nella nebbia sanguigna, nel delirio della febbre vide le sue mani intessere un incantesimo che trapassò il torace del capitano mentre gli stava per sparare con la balestra. L’uomo si accasciò al suolo esangue, ridendo, e la sua linfa vitale si mischiò al fango; allo stesso modo, il coraggio dei suoi uomini si disperse in mezzo al terrore che li attanagliò e fuggirono, ormai disinteressati a quel mostro di cui fino a poco prima desideravano la scomparsa e da cui adesso volevano solo allontanarsi.
– Forse sono salvo, adesso…- ridacchiò. Sentiva a malapena le sue stesse parole. Non riusciva più a muovere le dita intorpidite, ogni energia lo aveva abbandonato all’improvviso, insieme allo svanire della tensione; non sarebbe riuscito a recitare neanche il più stupido dei sortilegi, e non aveva la forza neanche di controllarsi le ferite in questo momento. Riusciva a camminare, e doveva fare quello, e sperare in qualcosa. Di ritrovare le energie, di sentirsi meglio, non lo sapeva. Gli serviva un posto dove giacere.
La città apparve all’orizzonte dopo due giorni di estenuante cammino. Aveva ripreso a piovere, con un vento fortissimo, e l’urlo del mare era il ruggito dell’Angelo Nero. Il mese di Alhazhar esprimeva tutta la sua furia scatenandosi su uno stregone ferito, che oramai avanzava inconsapevole di tutto, per puro automatismo. Non riuscì a rallegrarsi di fronte all’apparizione della metropoli, che gli si parò davanti silenziosa e inconsistente come un fantasma; penetrò in quella visione onirica a notte inoltrata, quando le nubi della tempesta occultavano con il loro manto d’ossidiana ogni possibile bagliore celeste e terreno. Le strade lungo il molo, erano spazzate parimenti dalla pioggia e dalle onde, ma l’imponente città non sembrava neanche rendersi conto di quanto accadeva. Noctulis camminava in quelle vie larghe, appoggiandosi ai corrimano lungo il porto; le navi ormeggiate ballavano lentamente, mentre le vesti dello stregone venivano schiaffeggiate dal vento. La stoffa grigia era fradicia e macchiata di sangue: le bende erano ormai una maschera rossa e appiccicosa, con la cicatrice sottostante che sembrava trapassata da centinaia di spilli roventi. Non sapeva neanche cosa cercare, totalmente ignaro di quello che accadeva intorno a lui; arrancava, stanco, troppo stanco per fare alcunché. Tutto intorno a lui era una nebbia dolorosa. Un’onda passò oltre il parapetto, colpendolo in pieno; Noctulis barcollò, cercando di mantenere l’equilibrio, ma si sbilanciò totalmente; cadde di fianco, rotolò su sé stesso, poi batté il viso sul selciato umido. Di nuovo un colpo sulla cicatrice. Non sopportò oltre quel dolore, non ce la faceva più. Si abbandonò al dolore, al riposo, all’oblio. Viveva nella tenebra, e adesso bramava il suo abbraccio.
…e io l’ho letto in anteprima assoluta!!!! Quant’è nodo Noctuliuccio… quant’è nodo!!!!
e bastardo, certo, ma quello si sapeva già…
ahhh, finalmente sono riuscita a leggerlo tuttoooo
è una settimana che lo sto leggendo a spizzichi e bocconi, mannaggia!!! 🙁
Bravo Noctulio, così si fa!!! 😉
bello bellerrimo come sempre! ma… il seguito???? susu, scrivete, scrivete 😀
A proposito, non trovate che Frank sia un pochino perverso quando tratta di Noctulio?
Come perverso? Gli faccio succedere cose tanto dolci!
aha, siamo tutte convintissime di questo, sisi… 😛
Comunque Noctulis mi piace mooolto come personaggio, proprio per il fatto di non essere perfetto 🙂
Diciamocelo, è anche un po’ sfigato… almeno fino a quando… beh! 😀