Cuore di nebbia

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“Ancora tu?!”

“… Avevi dubbi?”

“Lasciami dormire.”

“…”

“… Che tu sia dannata.”

Allan si svegliò nel pieno della notte. Non avrebbe ripreso più sonno con Lei lì, di fronte a lui, ad osservarlo con gli occhi spalancati neri come l’abisso. Infilò gli stivali, la camicia nera senza stare a preoccuparsi dei lacci ai polsi e al collo e la cintura con la spada. Uscì dalla tenda senza nemmeno allacciarla. Troppo sonno per capire come legarla. Schivò le bottiglie di John quasi per miracolo e uscì.

La notte chiara di luna, con la sua aria fredda ma non pungente che lacerò i polmoni di Allan al primo respiro. Non si voltò indietro a controllare. Sapeva già che Lei era lì. Come sempre, da qualche mese ormai. Si incamminò verso un bosco accanto, lontano dalle brande altrui, e si fermò alla prima radura libera. Piantò la torcia a terra lontano dalle sterpaglie ed estrasse l’arma. Chiuse gli occhi, quattro respiri profondi, e il primo colpo partì. Un secondo, ed un terzo. Pausa. Respiro.

Un ridolino.

“… È ancora qui.” penso Allan, nascondendo senza troppo impegno uno sbuffo.

“Per caso ti turba la mia presenza?” disse Lei, con l’espressione leggermente preoccupata e la voce fanciullesca. “Vuoi che me ne vada?”

“So già che non lo faresti comunque, o non saremmo qui a parlarne… DI NUOVO.” e un altro colpo più feroce del primo vibrò a mezz’aria.

“Ahahahah” la voce di Lei cambiò di netto, diventando più cupa e adulta. “Hai una buona memoria, non serve dunque che mi ripeta: sei mio. Mio. Non ti libererai mai di me” disse vorticando attorno a lui. La scia fumosa provieniente dal suo corpo lo avvolse lentamente, ma lui con un colpo di lama riuscì a romperne la trama, dandogli un momento di libertà. Seguí l’ennesima risata di scherno e lei si librò nell’aria, sopra la sua testa. Allan stava perdendo la pazienza: nemmeno il suo allenamento riuscì a spostare il pensiero altrove, ormai le aveva provate tutte.

“Povero, piccolo Allan. Non riesci a trovare la calma? Forse potres..”. Interrotta dalla cieca carica del cavaliere, la donna non parve particolarmente sorpresa. “Taci, maledetta. Mi stai dando sui nervi.” strinse la spada con ancor più forza. “Non fai altro che prenderti gioco di me, mi stai torturando ogni notte, ogni giorno. Chi diavolo sei? Cosa vuoi da me?!” La donna rimase ferma, immobile.”Chissà… Chi sono io?”. I suoi occhi neri fissi suoi suoi all’improvviso s’accensero di un leggero bagliore scarlatto e il suo corpo si schiantò a terra in una nuvola grigiastra. Si tirò su una figura dello stesso pallore, ma con abiti e lineamenti differenti.

“… Quindi è questo ciò che vuoi? Condannarmi a rivivere gli spettri del mio passato?” disse, alzando la lana e lacerando il volto di Nathaniel. La nebbia si scompose per qualche istante, per poi tornare integra in una nuova figura. “Questa poi… Schifosa.” e un altro colpo taglio di netto la sorella di Allan. “Ho accettato la loro morte da tempo, ormai. Se pensi di ferirmi così, ti sbagli!” e la colpí ancora più furiosamente.

Nel tempo in cui vide riformare la donna dalla nebbia, capì anche di aver parlato a sproposito. “Oh, dunque è questo il segreto del guerriero?” riprese Lei, con un ghigno che fece rabbrividire Allan nel profondo. La smorfia si tramutò presto in risata e il suo corpo fu preso d’assalto da una serie di spasmi, la carne mista a fumo comincio a contorcersi e ad attorcigliarsi, dando il tempo ad Allan di scorgere i volti delle persone a lui più care in un vortice di sofferenza e rabbia. Sentì l’odio e la collera crescergli dentro e, con un urlo di disperazione, aggredí quella mostruosità davanti a sé. La infilzò con la punta della spada ma, appena alzò lo sguardo, lasciò andare l’impugnatura, tremando come una foglia. Si guardò le mani, rosse di sangue, i suoi abiti imbrattati di viscere a brandelli, e attorno a sé riconobbe i corpi senza vita dei suoi compagni.

Tutto lo Spiantato lo stava osservando, le bocche spalancate e gli occhi vitrei rivolti verso di lui.

Si girò verso di lei, la spada ancora piantata nel ventre, e si inginocchiò senza forze, in balia del dolore per quella scena cui mai avrebbe voluto assistere. La donna sfilò la lama dal corpo, la posò sul collo di Allan con una delicatezza tale da sembrare quasi innocua.

“Mio. PER SEMPRE.”

Allan si portò le mani alla gola d’istinto, svegliandosi completamente sudato in mezzo alla radura. A qualche metro da sé, la torcia a terra illuminava debolmente attorno, ancora poco e si sarebbe spenta. Non c’era nessuno, come sempre. Le sue mani sporche solamenre di terra, i suoi abiti senza nulla appiccicato. Ed era solo. Raccolse le sue cose, ritirò l’arma e strinse la cinghia alla vita. Raggiunse il campo è cominciò a preparare il fuoco per la colazione.

Di certo, quella notte, non avrebbe più dormito. Non dopo aver visto morire per mano sua la donna da lui amata.

NELLA RADURA

Giunse lentamente, i passi attutiti dall’erba umida, laddove prima vi era l’uomo disteso. L’aria era fresca, ma uno strano odore gli riempí le narici, tanto da fargli strabuzzare gli occhi. Guardò a terra, attraverso la maschera corvina, e allungò la mano a terra per raccogliere una ciocca di capelli color cenere. La rigirò tra le dita finché non si dissolse nell’aria. Restò fermo ad osservare tutto il procedimento, sfregando i polpastrelli tra loro per saggiarne la consistenza per poi tornare sui suoi passi ed inoltrarsi nel buio del bosco, in silenzio.

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