Eliot si ritrovò improvvisamente in una caverna scura e umida, ma la cosa non la spaventò. Per ben tre motivi.
Primo, perché con il suo silka non aveva niente da temere.
Secondo, perché quello era ovviamente un sogno (si era addormentata poco prima in una locanda, proprio dopo aver lasciato il Serraglio, e questo era poco ma sicuro).
Terzo, perché conosceva benissimo quel luogo, che non rientrava di certo fra le cose potevano spaventarla.
Nel suo sogno Eliot si trovava in una grotta sotterranea alle pendici dei Monti del Fuoco. Molti anni prima il suo villaggio mobile si era trattenuto nelle vicinanze per circa sei lune e poi aveva dovuto allontanarsi di corsa perché una colonia di viverne aveva scelto proprio quella caverna come suo nido e non c’era verso di ragionare con creature così poco accomodanti. Eppure Eliot la ricordava molto bene come uno degli scenari più affascinanti che avesse mai visto nella sua vita.
Si trattava di una cavità immensa, incastonata in una bizzarra roccia rossastra di origine vulcanica. Un fiume sotterraneo di acqua tiepida proveniente da chissà dove si gettava in una polla trasparente al centro della grotta, illuminata da misteriose pietre scintillanti e dal bagliore tremulo sprigionato dai licheni variopinti che emergevano qua e là. Nel suo sogno quel luogo magico era anche più mozzafiato di come lo ricordava, quindi rimase affascinata a rimirarlo, sorridendo fra sé per istanti lunghi ore.
– Beh? Che cos’è quella espressione da ebete? Non ti ho forse SEMPRE detto che bisogna sempre avere un’aria intelligente? Hai scordato tutto ciò che ti ho insegnato?
La voce colse Eliot di sorpresa, ma la sua appartenenza era inequivocabile.
– No mamie, come potrei? Mi perseguiteresti per tutta la mia vita se lo facessi!
– E ben oltre la tua morte, ricordatelo sempre!
La figura rugosa e di bassa statura di Monna Celina era comparsa alle spalle di Eliot e ora guardava la sua pupilla con occhietti acuti e severi.
Eliot si mosse verso di lei con un moto di tenerezza, ma nel farlo alzò le mani come per difendersi.
– Hai ragione mamie, hai sempre ragione… scusami, sono stata poco accorta!
– Puoi dirlo forte! – incalzo l’anziana sempre più adirata, – sei stata talmente sbadata che alla fine sei pure morta! Ma che maniere… non ti ho certo insegnato IO a morire con così tanta facilità! Tutti gli anni nella Piana Polverosa non sono serviti a metterti un po’ di sale in zucca? Eppure sei sopravvissuta a decine di bambini più deboli di te! E sei anche riuscita ad arrivare a Caponord tutta intera e a sistemare quelle povere sciagurate che l’esilio non se l’erano certo scelto! E adesso mi vai a morire così, in un incubo in casa d’altri, mentre uno stolto dai glutei massicci miagola dalla paura dentro una tana di coniglio? Vergognati, Eliot, vergognati!
Eliot chinò la testa, sinceramente contrita. – Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto, mamie… starò più attenta la prossima volta…
– NON CI DOVRÀ ESSERE UNA PROSSIMA VOLTA! – ululò Monna Celina, ma poi il suo viso si distese.
– Beh, tutto sommato ammetto che non era una situazione facile… comunque… sei meno irrequieta adesso, ma petite? Mi sembra che la Madrepatria sia all’altezza delle nostre fantasie… che ne pensi?
– Di certo è diversa da come la immaginavamo insieme… – disse lentamente Eliot – Sono qui da troppo poco tempo ancora, ma mi sembra che sia valsa la pena andare via, anche se pàpa non l’ha presa molto bene quando mi sono offerta volontaria per l’Esilio Pietoso…
– Barnim è sempre stato un grosso orso sentimentale… ci ha riempiti continuamente di chiacchiere sul rude valore dei Figli del Lupo e scommetto che quando sei partita ha pianto tutta la notte con la testa dentro un secchio! Lo conosco, faceva sempre così quando moriva uno dei piccoli! Vederti andar via per lui deve esser stato molto più doloroso di uno schiaffo del Pentarca.
Eliot rise, revocando la grossa e imponente figura del suo pàpa adottivo, il capo del loro villaggio, che l’aveva allevata come una figlia insieme a tanti altri orfani… chissà come stava, adesso. Era certa che non l’avrebbe rivisto mai più.
– Ehi, ma che è quella faccia lunga? Allora è vero che la Madrepatria ti ha fatto male alla salute!
Nonostante fossero passati almeno quindici anni dall’ultima volta che aveva sentito quella voce, Eliot non esitò un attimo a riconoscerla.
– Hernando! Che sorpresa! E… sei tutto intero!
Un ragazzo allampanato nel pieno dell’adolescenza, con occhi troppo grandi e un naso un troppo abbondante emerse dal lago, andandosi ad affiancare a Monna Celina. Era rimasto esattamente come l’ultima volta in cui si erano visti, prima che di lui rimanesse soltanto mezza gamba. I denti dei vermi della Piana non perdonavano gli incauti cacciatori, nemmeno se erano in gruppo e ben armati.
– Vedo che hai ancora il mio serpente… – gongolò Hernando indicando uno dei bracciali di Eliot.
– Sì, hai visto? E lo sai cosa? Non c’entra niente con il mistico cimento fra Xoac e Volkar per la presa della Grande Cerva di Pietra della Banchisa di Ghiaccio… questo è il simbolo di una casata di Erigas!
– Ma è ovvio, è come dicevo io! L’hanno scelto senz’altro in onore al serpente marino che ha cavalcato Xoac per andare più veloce di Volkar! Certo, non capisco come mai visto che alla fine non vinse nessuno dei due perché…
– …perché il Pentarca si mangiò il serpente, la Grande Cerva e mezza Banchisa perché i suoi figli lo avevano fatto arrabbiare per la faccenda del Crinale Viola, lo so, lo so…
Eliot scosse la testa, ridendo. Hernando era un pozzo inesauribile di storie avventurose che di solito facevano presa sui bambini più piccoli… a parte lei, che non aveva mai creduto a una sola parola. Eppure erano stati inseparabili e adesso Eliot avrebbe bevuto qualsiasi stupidaggine pur di poter stare ore ed ore ad ascoltare ancora le assurdità del suo più caro amico. Uno spesso velo di nostalgia e lacrime oscurò i suoi occhi.
– Senti la nostra mancanza? – chiese Monna Celina.
– Sempre – mormorò Eliot.
I due spiriti si scambiarono uno sguardo di approvazione.
– Per questo vi porto con me in ogni momento… e non solo voi…
Due figure indistinte salirono come fumo scintillante da dietro la cascata. Di sicuro si trattava di un uomo e una donna, ma i loro tratti erano molto vaghi, tanto da rendere impossibile il loro riconoscimento. Le due figure fluttuarono gioiose rincorrendosi sul pelo dell’acqua, poi iniziarono ad aleggiare tintinnando intorno al braccio destro di Eliot.
– Nel Grande Tutto un giorno vedrai come erano fatti anche loro, ma petite… peccato tu non li abbia mai conosciuti… – sospirò Monna Celina.
– Sì, sì, ma per il momento vedi di non morire, eh? Non è affatto in divertente essere morti, anche se ci si fa l’abitudine abbastanza velocemente… – la ammonì Hernando.
– No no, state tranquilli, – promise Eliot – fortunatamente qui a Caponord i miracoli non sono così rari… e poi ho fatto tanto per arrivare qui dove sono adesso e non ho intenzione di stancarmi tanto presto di tutto quello che c’è da vedere e da fare!
A queste parole i colori cangianti della grotta si fecero più intensi e le ombre più profonde. Monna Celina appoggiò una mano sulla testa della sua pupilla e Eliot si fece titubante.
– Stai per svegliarti, ma petite.
– È stato davvero… davvero solo un sogno, mamie? Non vi ho incontrati davvero?
– Ci hai mai sognati prima?
– No… non che io ricordi…
– E allora – concluse l’anziana sorridendo – questa è la tua risposta.
Monna Celina abbracciò la figlioccia e subito dopo Hernando fece altrettanto, sollevandola quasi da terra in una stretta piena di affetto.
– Sono ancora morbido, Eliot? – le sussurrò a un orecchio.
– Non esisterà mai nessuno più morbido di te! – rise lei, soffocando un po’.
– Ma tu guarda! – interloquì l’anziana – avrei detto che a Khartas non mancasse gente morbida come il nostro Hernando…
Eliot guardò entrambi, smarrita. I due risero.
– Niente, eh? – scosse la testa Monna Celina – da quest’orecchio proprio non ci senti…
– Non ho capito… – mugolò sconsolata Eliot.
– Non hai mai capito, – sorrise Hernando – ma eravamo piccoli…
– Ora invece sei grandicella… – rincarò Monna Celina.
Eliot rimase un po’ inebetita a chiedersi di cosa stessero parlando, ma le pareti iniziarono a vibrare e si udì un lamento soffocato che sembrava provenire da lontanissimo.
– Deve essere Vivi… o forse è Hari… ultimamente di notte si agitano molto… devo svegliarmi, anche se non so come aiutarli.
– Hai trovato dei buoni amici, sei fortunata – sentenziò la figura ormai diafana di Monna Celina.
La grotta adesso era diventata molto più luminosa, quasi accecante. Nel chiarore iniziarono a formarsi le sagome delle persone che aveva conosciuto a Caponord che correvano e correvano inseguendosi senza toccarsi… Malenki e il suo colbacco, Lucien e il suo pennacchio, Julian e i suoi baffi, tutti i suoi compagni Indagatori e le loro adorabili bizzarrie, e per ultimi Hari e Vivi… sì, era proprio l’ora che si svegliasse.
– Prenditi cura di loro, eh? – la voce di Hernando era sempre più indistinta – Sono delle brave persone.
– Lo farò… – annuì Eliot, sfiorando con la punta delle dita quel che rimaneva dei suoi genitori, della sua mentore e del suo migliore amico.
– …e cerca di essere felice. – Le due voci si congedarono all’unisono e la luce invase ogni cosa.
-Ahhhhhggg…
– Vivi svegliati!
-AAAH! Eh? Oh, Eliot, meno male… mi sa che stavo facendo un brutto sogno, ma ora non…
– Non ci pensare, è passato adesso…
– Vivi! Stai bene? Stavo dormendo malissimo e sono tutto sudato e ho sentito gridare e poi eri tu che gridavi e io…
– Calmatevi, voi due… ora siete svegli e va tutto bene, e per quello che non va bene troveremo una soluzione dopo che avremo tutti riposato…
Eliot strinse forte le mani dei due fratelli, che sembrarono calmarsi un pochino.
– Vado a prepararvi una bella tisana stroncaincubi, mi ha dato la ricetta la vostra gentilissima babushka… e dovete riposare bene, altrimenti come farà Vivi ad aiutarmi a scegliere i mobili che mancano per la mia nuova stanza a casa vostra? E come farà Hari a darci una mano a portare tutte le cose inutili che compreremo?
Hari e Vivi si misero a ridere, quindi Eliot si alzò e si avviò verso la porta. Gli occhi dei suoi amici adesso erano un pochino più sereni.
Nonostante tutto, pensò Eliot, credo di essere già felice.