Raccontino a otto mani (Lastrina, Ceccia, Jay e Katia) più due (Frank) su gente che la notte mangia e fa casino invece di dormire sodo come la gente per bene.
Nel bel mezzo di quella buia notte senza luna, Hari si svegliò di soprassalto da un pessimo, pessimo incubo in una stanza molto, molto vuota. Dunque si era solo immaginato di essersi coricato – finalmente, dopo un mese intero! – con a fianco di nuovo sorella, amica e donna-che-gli-piaceva-proprio-tanto. Dopo un attimo di amaro smarrimento, tuttavia, si accorse che i tre letti vuoti attorno a lui erano piacevolmente disfatti e c’erano vestiti sporchi sparsi sulle sedie, alcuni scagliati a caso e alcuni accuratamente ripiegati.
Gli eventi del giorno si facevano sentire e Hari non riuscì a girarsi sotto le coperte, liquidando l’assenza notturna delle sue tre pupille con una motivazione innocente, del tipo “oh, hanno mangiato troppi gamberi” oppure una più vaga “meh, cose da donne”. Si alzò e si guardò intorno dubbioso: dovevano essere uscite con i terribili camicioni che l’ostessa aveva prestato loro, visto che non avevano alcun bagaglio. Non potevano essere andate lontane.
Mentre la sua mente si autofustigava con un bombardamento di brutte sensazioni, Hari udì un leggero vociare provenire dal pian terreno. Si affacciò sul pianerottolo e vide una sagoma accanto alla porta socchiusa che conduceva nella sala grande della gradevole posada sulla Red dove si erano fermati per passare la notte. L’individuo stava evidentemente origliando e Hari scese silenziosamente le scale, fino a portarsi al suo fianco.
– Jean Claude, – sussurrò – ma che sta succedendo qui?
– Ah boh! Dimmelo tu… – La possente figura seminuda del guerriero valdemarita si fece da parte e lasciò che Hari potesse godere della sua stessa vista: quattro giovani donne vestite con orribili tuniconi beige squallido troppo grandi per chiunque facevano amabilmente conversazione attorno a una tavola imbandita.
– Io può stendere ognuna di voi e sbranare via di mano, mi occorre tre dí, ma poi tutti vostri braccialetti sono miei!- Malenki addentò senza pietà una crêpe arrotolata e uno schizzo di salsa densa e rossa si infranse sulla tazza fumante dinanzi a lei.
– Ma no, ma che sbranare! Ci vuole un bisturi, un bisturi perfetto! Basta incidere la carne alla fine dell’ulna e radio e smuovere delicatamente la mano per fare una amputazione pulita. – Artemisia sezionò con precisione chirurgica una mastodontica crêpe che galleggiava in un denso sciroppo dorato.
– Ah no no no e no! Chi è che ha più colpa? Io! Io mi sono votata a Th…roppo buono questo spuntino!!!- Vivi roteò la forchetta in cui erano infilzati almeno sette pezzetti di crêpe dai quali colava una profumata crema alla nocciola.
– Che discorsi! Guardate che chi mena per primo mena due volte… io ho aperto bocca per prima, quindi è mio sacrosanto diritto avere tutti i vostri braccialetti! E se non vi sta bene… oh beh, se volete mangiare adesso mollateli e datemeli! – Tenendo fuori dalla portata delle altre un vassoio pieno di frittelle fumanti, Eliot addentò una crêpe ripiegata in quattro, dal quale fece capolino un riassunto di tutti i condimenti.
– Ma… stanno mangiando? – mormorò in un soffio Hari.
– Mangiano e ridono da almeno un quarto d’ora – precisò a bassa voce Jean Claude.
– Roba da matti – mugugnò il volk scuotendo il capo. – Qui va tutto a ramengo e loro bisbocciano…
Il robusto valdemarita appoggiò pesantemente una mano sulla spalla del khartasiano.
– Stai provando a capirle. Sei vecchio nel mondo e stai davvero ancora provando a capire delle DONNE. Ti facevo più intelligente di così, Hari… – commentò a bassa voce Jean Claude. Hari accusò il colpo, poi cercò di ritrovare un contegno; strinse gli occhi scrutando il suo interlocutore con fare inquisitorio.
– Che ci fai in piedi a quest’ora, JC?
Il valdemarita sospirò. Uno sguardo di sincero rammarico gli attraversò il volto.
– La preoccupazione mi ha svegliato, Hari.
Il khartasiano sospirò. Lo capiva. Non ci potevano fare niente per questa situazione e si sentivano impotenti. Sembrava che tutto franasse lentamente, molto lentamente e inesorabilmente, e che loro fossero pure costretti a sembrare sicuri in questo frangente. Non avevano nemmeno il lusso di essere disperati quanto volevano. E lo erano davvero. La bocca di Hari si storse in un amaro ghigno.
– Sembra di dover stringere la sabbia con le mani. La senti andar via e sai che non puoi farci niente. Capisco la tua preoccupazione, Jean Claude, e…
Il valdemarita scosse il capo, interrompendo il flusso di coscienza di Hari; poi, con gesto lento, unì le punte dei pollici e degli indici fino a formare un cerchio, che tenne in bella mostra davanti al volto.
– Ero preoccupato per il fatto che non so se riuscirei a chiudere le mani intorno al collo di Caliban – spiegò Jean Claude contraendo le mani ritmicamente. – Te non l’hai visto ma guarda che ha un bel collo, eh, servono proprio delle manone…
Hari balbettò qualcosa, incerto su come prendere la cosa. Per sua fortuna os fortuna, una voce da dentro la stanza investì i due uomini.
– SE VOI HA FAME VOI ENTRA, DA? – ordinò Malenki con la bocca piena.
– Guardate quanto cibo ha preparato l’amico di Eliot!!!- urlò Vivi palesemente sovraeccitata dal troppo zucchero.
– Veramente ho fatto tutto io, ma visto che mi doveva un favore praticamente mi ha regalato la dispensa… – precisò Eliot portando in tavola del coq au vin.
– Potrei chiederti come mai un quarto degli osti di Caponord ti debbano un favore, ma questo vassoio di macarons mi sembra più interessante… Siediti qui JC, che se non mi passa la fame almeno ho te! – Rododendro afferrò uno sgabellino minuscolo strattonandolo vicino a sé. Jean Claude, ubbidiente, si appollaiò su di esso, tenendo un bassissimo profilo. Hari entrò con il passo ancora felpato in quella stanza piena di schiamazzi, ponderando attentamente ogni minimo movimento. Malenki gli passò una scodella vuota con un sorriso impiastricciato di salsa rosso sangue.
– Come ti vestirai Artemisia??? Farete una cosa in grande??? Ma soprattutto… cosa vuoi fare la sera prima?- domandò Vivi eccitata.
– Già, è vero! Ti sposi alla fine! Bravo Jean Claude! Congratulazioni! – Eliot sganciò un piatto di polpette ripassate nel pomodoro davanti all’imponente guerriero, che giudicò inutile puntualizzare che lo sposo era homme Étienne e non lui.
– Tu deve portare tanta tanta carne cruda e non cuocere, altrimenti matrimonio è rovinato! E tu invita chi ti pare ma NO imperatori!- Malenki minacciò Jean Claude con una coscia di galletto grondante salsa.
– Però a me piacerebbe che Caliban venisse. Ma ho paura di dover invitare anche gli altri tre. Che figura ci faccio se poi ci rimangono male? – mormorò Rododendro attaccando un cestello di frutta candita.
-Ma sarà ora? Pure gli imperatori! Questi ti frugano nel cervello, ti strappano l’anima a distanza, ti torturano con i braccialettini… e nonostante tutto ciò li vorresti COMUNQUE invitare al matrimonio!? – tuonò Eliot esasperata in un’esplosione di noccioline tostate.
– Ma no, no! Mica tutti! Solo Caliban! E poi lo fanno solo perché abbiamo fatto qualcosa contro la loro religione. Come recita il suo dogma “non disperdere o cedere sapere senza che la tua conoscenza stessa possa trarne profitto”, e noi abbiamo peccato deficitando di conoscenza a riguardo – replicò Rododendro brandendo un biscotto enorme.
– In realtà per loro non siamo altro che granelli di sabbia, insignificanti e tutti uguali, ma purtroppo noi siamo quelli che si sono infilati nelle loro scarpe recando fastidio – esordì Vivi sorseggiando la quarta tazza di cioccolata calda.
– Tralasciamo il fatto che sono loro che danno fastidio a noi, esattamente perché sono divinità come gli altri e a ‘sto punto l’hanno capito anche i sassi che l’arroganza degli dei mi ha rotto i coglioni! Fossero solo uomini severi e crudeli sarebbe un conto… ma comunque il dogma di Krasni Volk vuole che i giudizi formulati siano imparziali e privi di faziosità… e questa situazione mi sembra tutto fuorché priva di faziosità. – concluse Eliot addentando uno stinco di maiale.
– Imperatori è molto poco soddisfacenti, da? Molto meglio se noi di quattro come imperatori, da? Voi pensa, in mondo sarebbe tutto mooooooolto meglio! – propose Malenki sbattendo mezzo pollo sul tavolo.
– Sììì sarebbe stupendo!!! Vi immaginate?! Io farei subito un editto per il quale ognuno preghi il CAZZO che gli pare!!!! – Vivi si eresse sul tavolo trionfante, spargendo briciole ovunque.
– Io sarei sicuramente quella più misericordiosa, quella a cui chiunque può rivolgersi per curare ogni tipo di afflizione, sia fisica che MENTALE. Mente sana e corpo sano sarebbe il mio unico dogma. Provate ad immaginare: un lazzaretto in ogni città, villaggio, crocevia, pieno di studiosi volenterosi di sperimentare sul primo malcapitato che passa. Per la scienza! In nome della guarigione, ovvio! – dichiarò Rododendro, sognante.
– Hiiiiiic! – Jaga sorrise, le guance colorate da troppo ron la dicevano lunga – Io adesso non sa cosa Jaga farebbe da imperatrisce, imperstratrice, imp… – Eliot le passò un boccale di amaro alle erbe per sciacquarsi la bocca e alzò un dito.
– Io pagherei un esercito di Raul addestrati per sparare a vista a qualunque entità divina si ripresenti nel mondo materiale accampando pretese… E proclamerei universale il dogma del Non Rompete Le Palle Al Prossimo Vostro!
– Ragazze ce l’ho! Ce l’ho! Viktoryia l’imperatrice di ghiaccio!
– ALEEEE!!!!
– Jaga l’imperatrice del sangue!
– HIIIIIIIIIC!!!!!
– Eliot l’imperatrice del rancore!
– WIIIIIIII!!!!!!
– E Rododendro l’imperatrice misericordiosa!
– YEEEEEE!!!!! UH-UUUUH!!!!
Le quattro giovani donne si lanciarono in un tripudio gioioso, continuando a vociare e a sparare coloriti dettagli su ciò che avrebbero sicuramente fatto una volta diventate imperatrici, come se la cosa fosse ormai cosa certa, il tutto senza MAI smettere di mangiare.
Hari si sentiva come ubriaco di fronte a questa scena, stordito e sballottato. Provò a ridacchiare debolmente, ma forse la sua risata uscì molto più incerta di come se l’era fatta nella sua mente.
– Sono contento di vedervi così… – balbettò insicuro. – Per essere così contente dovete avere in mente qualcosa, giusto?
– Anche perché il piano di strozzare Caliban va cancellato, abbiamo appurato che non ho le mani abbastanza grosse – chiosò Jean Claude.
– Quindi? – continuò Hari incalzandole senza successo. Le quattro continuavano a bisbocciare senza sosta. – Qual è il piano? Che si fa adesso? Da dove partiamo? Avrei un paio di idee che vi vorrei sottoporre e…
– ALT! – le quattro giulive commensali alzarono forchette e coltelli all’unisono, puntandole tutte contro i due ospiti. Non sembravano più così giulive come un attimo prima.
– Voi NON rovinerete questo momento…
– Questa compagnia…
– Questa pace…
– E questo cibo…
– Ora voglio solo essere felice, ora voglio solo sorridere con le persone alle quali voglio bene. Se c’è una cosa che ho imparato da tutto questo caos è che ci possono portare via tutto ma mai la libertà di scegliere chi essere. – Vivi lo disse sorridendo, ma la lacrima che le solcava il volto era più eloquente delle sue parole.
– Quanto pensate ci rimanga da vivere? Quello che mi resta, sia quel che sia, lo voglio vivere senza l’ombra di un dubbio o di un rimorso, circondata dalla gente che amo e che, evidentemente e incredibilmente, tiene a me così tanto da non avermi lasciato sola nemmeno in un abisso così buio. Non lascerò a nessuno, nemmeno all’imperatore, la soddisfazione di vedermi distrutta, anche perché in realtà non sono mai stata meglio in vita mia – Eliot incrociò le braccia al petto con solenne determinazione.
– Ci rimangono poche lune, ogni volta il tributo sarà più grande. Credo sia una di quelle rarissime volte in cui non ho idea di quanto tempo rimanga da vivere a un mio paziente e, stavolta, non ho nemmeno una malattia da sconfiggere con sanguisughe, salassi o “aromaterapia”. Sono venuta alla Ventura per evitare di sposarmi senza amore e morirò prendendo marito per seguire una saliera d’argento. Ne vale decisamente la pena. – Rododendro sorrise amaramente a Jean Claude e gli strinse la mano.
– State diventando smielati come parole di Hari in prima notte senza di luna! Insieme noi trova di soluzione al problema. Tutti piange, tutti fanno facce con smorfie e pieni di moccolo, è brutta immagine, da? Ora! Tutti insieme! Dite: siamo biooondi. Funziona, fidatevi! Siamo biooondi! – esultò Malenki.
– Come, così? Biooondi! BIOOOONDI!
– Bioooonde mi piace di più…
– Ma che ti frega? Bioooondi!
– Hai ragione! Siamo biooooondi!
– Ma è proprio vero, questa cosa funziona! BIOOONDIIIIII!!!!
Le quattro giovani donne si disinteressarono completamente degli altri due commensali, salirono sul tavolo alzando i lembi delle orride tuniche e al grido di “Bioooondi/biooonde” e varianti iniziarono una danza selvaggia, il tutto senza smettere di addentare cose. Hari si alzò lentamente prendendo per un lembo delle brache Jean Claude, che era rimasto abbacinato dalla quantità smodata di surrealismo accumulatosi intorno a quel tavolo in una manciata di giri di clessidra.
Quando i due uomini si chiusero diligentemente la porta alle spalle, dalla stanza echeggiavano ancora festosi schiamazzi.
– Imperatrici del rancoreeeeee! Dell’amooooooore! Del clamoreeee!!!
– Imperatrici radiose-misericordiose-bramoseeeee!
– Imperatrici di ghiaccio! Di laccio!!! Di spaccioooooo!!!
– Imperatrici del sangueeeee! Che fa rima con sangue?
– Langue!
– Pingue!
– Sangue!
– L’abbiamo già detto!
– Allora MOLTO sangue!
– AAHAHAHAHa BIONDIIII!!! SIAMO BIONDIIII! BIONDEEEE!!!
Lo sguardo di Hari era perso in lontananza, nel buio, mentre Jean Claude si rassettava la camicia.
– Cosa è appena successo, Jean Claude? – chiese il khartasiano, improvvisamente serio.
– Ah boh – rispose il valdemarita alzando le spalle – Io stasera non sono uscito dalla mia stanza. Te?
Hari lo guardò stranito.
– Lo sai che? Nemmeno io. Stanotte ho rammendato tutti i calzini che avevo dietro.
– Una grande bella attività, Hari.
– Cazzo sì.
– Cazzo sì.
– …
– …
– Buonanotte, Jean Claude.
– Bella, Hari.
E i due se ne tornarono a letto.