Era stato proprio il matrimonio che aveva sempre desiderato. Certo, a Caponord le cose potevano andare meglio, ma che importava adesso? Accanto a sé aveva la sua famiglia, i suoi amici, e tutto avrebbe trovato un suo equilibrio.
Vivi era decisamente di buon umore, anche perché ormai da un paio di mattine faceva pigramente colazione in camera con gli avanzi dei dolci che Eliot aveva preparato per la festa e poteva finalmente godersi la sua condizione di sposina alla luce del giorno, accanto al padre e al fratello, con la benedizione (più o meno) di tutte le persone che le erano care. Per questo, nonostante tutto, si era convinta che ogni cosa sarebbe finalmente andata per il verso giusto.
Tuttavia, da qualche settimana Vivi aveva una strana sensazione addosso, che si ripresentava ogni volta che si trovava nella stessa stanza con Hari e Eliot. C’era qualcosa di anomalo nell’aria, una cosa quasi impercettibile, ma alla lunga aveva iniziato a farci caso e a convincersi che non fosse frutto della sua immaginazione. Ne aveva parlato con Jagosh, che aveva liquidato allegramente la questione dicendole di non preoccuparsi troppo: di certo erano stanchi dopo aver affrontato tutti i preparativi del matrimonio, senza contare tutto il resto.
Ma Vivi non era convinta, quindi provò dapprima a fare un terzo grado a Hari, che come al solito si limitò a fare il vago. Poi, giusto per scrupolo, provò anche a intercettare Eliot mentre sfaccendava nella sala da pranzo. Stranamente, notò, portava i guanti di lana mentre sceglieva attentamente la frutta per le marmellate… e questo era strano. Dopotutto non era ancora così freddo. Decise di evitare i giri di parole e andare dritta al sodo.
– Eliot… dimmi la verità… ma non è che tu e Hari avete discusso?
Vivi non aveva molte aspettative, perché in genere la sua amica si sbottonava anche meno di suo fratello. E invece.
– Penso che sia più corretto dire che abbiamo litigato, sai? – rispose con un sorriso triste. – O forse che Hari ha litigato con me.
– Ma come! Perché? Cosa è successo? Che ti ha fatto? – incalzò Vivi, impaziente. Ma Eliot si limitò a sospirare e a scuotere la testa.
– C’è qualcosa di importante che non mi puoi dire? – insisté, anche se poco speranzosa. Era dalla Ventura che qualcosa non quadrava del tutto. Forse da prima, non sapeva dirlo con certezza. Ma ogni volta che provava a indagare il massimo che riusciva a ricavarne era un gesto affettuoso, una risposta vaga, un repentino cambio di argomento. E invece.
– Sì, Vivi… c’è qualcosa che non ti sto dicendo e non voglio dirti.
La ragazza sgranò tanto d’occhi. – Ma… perché?
Ecco, ne era certa, non bastavano tutti gli altri, adesso pure lei aveva iniziato a fare le cose di nascosto per proteggerla! Dopo tutta quella storia della punizione di Caliban… e invece.
Eliot le prese le mani con fermezza. – Non perché voglio evitarti un dispiacere, sia chiaro… non hai bisogno della protezione di nessuno. E nemmeno perché non mi fido o non ti voglio abbastanza bene. È che… adesso è tutto scombinato, di nuovo… e non ne voglio parlare.
Le due si guardarono a lungo in silenzio. Poi Vivi annuì, decisa.
– Ho capito. La porta della mia stanza è aperta, comunque. Vieni sempre, a qualsiasi ora.
– Uhm… non so se sia il caso…
– No no, ho detto proprio a qualsiasi ora.
– E Jagosh?
– Lo butto fuori appena arrivi.
– Magari busso, prima.
– Magari bussa.
Vivi non sapeva se quella conversazione avesse alleggerito o meno il cuore dell’amica, ma l’abbraccio in cui si strinsero era di quelli senza ombre.
***
Cara Valérie,
non so quanto tempo passerà prima di riuscire a trovare il tempo e il momento necessario per tener fede alla promessa che ti ho fatto – sai, quella di raccontarti alcune cose – e quindi provo a scriverti.
Eliot intinse a fondo la penna nel calamaio, quasi a volercela affogare. Dalla finestra giungevano fievoli le luci di Port Anchor, sommerse da una cupa foschia che le dilatava all’infinito, spengendone ogni vigore.
Ma no, non sono brava con le parole, non lo sono mai stata e non credo di riuscire a diventarlo proprio adesso.
La fiamma della candela tremava leggermente, disturbata da chissà quale spiffero in chissà quale punto della finestra.
Se solo potessi mostrarti, invece di raccontarti… se solo esistesse un modo di spiegare ogni cosa così, oplà, con la stessa rapidità con cui si passa un biscotto da una mano all’altra… ecco! Se potessi cucinare per te ciò che vorrei dirti, non sarebbe tutto così semplice e immediato?
Eliot stringeva fra le dita la penna, strizzando gli occhi per mettere meglio a fuoco la pergamena davanti a sé. I tizzoni nel camino stavano per esalare il loro ultimo respiro fumoso.
Ma niente è mai così, vero? Anche quando si pensa di far bene, alla fine ciò che conta è che è inutile offrire in dono una torta a chi muore dalla voglia di mangiare un pollo. Non importa se si pensa che non esista niente di più buono di quella torta lì. Dovrebbe essere la volontà dell’altro l’unica cosa ad avere importanza, giusto? È quello che ho sempre ripetuto a tutti, anche a te, ma alla fine nemmeno io che la sostengo con tutte le mie forze sono davvero capace di vivere attenendomi a questa regola.
La coperta di lana in cui era intabarrata si sporcò leggermente d’inchiostro. Eliot imprecò a bassa voce: avrebbe dovuto smacchiarla prima possibile, altrimenti si sarebbe rovinata irrimediabilmente.
Mi dispiace.
Lo scrisse di nuovo.
Mi dispiace.
Si passò una mano sugli occhi, spazzando via una ciocca di capelli sudata.
Mi dispiace di non averti consolata. Mi dispiace di non aver fatto la cosa giusta. Mi dispiace di essere così diversa da te. Mi dispiace di non essere un granché come amica.
Il tempo iniziò a scivolare via sull’inchiostro.
Mi dispiace anche di non essere in grado di spiegarti perché mi sembra di andare in giro senza pelle
Mi dispiace perché non riuscirò mai a parlarti di quello che provo senza svuotarlo completamente di significato
Mi dispiace perché non c’è nulla che tu possa dire o fare per aiutarmi stavolta
E mi dispiace perché so che vorresti
E mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace
Mi dispiace Valérie, mi dispiace
Leggera come una foglia d’autunno, la pallottola di pergamena volò verso i tizzoni morenti, li abbracciò con tenerezza e si accartocciò versando lacrime nere.
***
Hari varcò la porta della cucina, sicuro di trovarla vuota, pregustando il sapore della crostata di fichi che – ne era certo – lo attendeva silenziosa e trepida sulla credenza. Si bloccò sulla soglia quando le sue aspettative risultarono inesatte: la crostata era effettivamente lì, allettante e profumata come una giovinetta voluttuosa, ma nella stanza non c’erano solo loro due, pronti a consumare un atto al contempo goloso e lussurioso. Infatti, Eliot era vicina alla stufa e dava le spalle alla porta, impegnata con una pentola laccata da cui si alzava un leggero pennacchio biancastro.
Con noncuranza, Hari marciò fino alla credenza, tagliò una generosa fetta di dolce e la appoggiò con amore su un piattino, pronto a condurla con sé nei meandri di camera sua; con la coda dell’occhio, tuttavia, notò che Eliot stava tenendo le mani dentro la pentola, nell’acqua quasi bollente, con espressione abbastanza assorta, tanto che sembrava non essersi accorta che la sua pelle era diventata di un rosso poco incoraggiante.
– Ti stai bruciando – disse Hari laconicamente.
– Oh maledizione – commentò Eliot affondando le mani in uno strofinaccio – l’ho fatto di nuovo… Beh, grazie.
Hari si allontanò con il piattino fra le mani, deciso a lasciare la stanza più in fretta possibile, ma non poté trattenersi dallo scoccare una frecciatina.
– E comunque, se hai freddo alle mani, scaldale invece di tagliarle. – E avanzò deciso verso la soglia, gonfiando il petto.
– MA SENTILO.
La voce di Eliot ebbe l’effetto di una manata sul collo. Da parte di Jean-Claude.
– Che cosa vorresti dire? – disse Hari con una punta di irritazione.
– È questo quindi quello che mi merito per esser stata sincera con te? Mi fai la predica quando sei tu che stai tagliando via quello che ti dà fastidio? – chiese Eliot, le labbra piegate in una sottile espressione di disappunto.
– Se non sei capace di distinguere la forma dal contenuto, è un tuo problema! Ti ringrazio per la sincerità, la apprezzo molto, ma per quanto riguarda il resto non ho niente da dirti.
– O andiamo… non hai la faccia di uno che non ha niente da dire.
– E invece è così! Tanto, che vuoi che ti dica? Cosa vuoi sentirti dire?
Eliot sbuffò, incrociando le braccia. Le mani erano ancora terribilmente arrossate. – Qualsiasi cosa non suoni come “oh, dovresti vivere la tua vita così, dovresti fare cosà, non puoi provare questo, non puoi provare quello” sarebbe già un passo avanti…
Hari sgranò gli occhi e le puntò un dito contro. – Mi stai accusando di cercare di controllarti? No, perché TU adesso cosa stai facendo? Io ho tutto il diritto di essere incazzato e di reagire come mi pare! Ci sono CONSEGUENZE alle azioni che si fanno, no? Non me l’hai ripetuto mille volte pure tu?
– E chi ti dice niente? – Eliot alzò gli occhi al cielo – Ma se la tua reazione è quella di chiuderti a riccio e lasciarmi da sola a combattere i miei mostri dopo avermi tolto la serenità che avevo FINALMENTE trovato, che ti aspetti che…
– AH, ADESSO È PURE COLPA MIA! – Hari sbatté i pugni sul tavolo, urlando a pieni polmoni – PURE QUESTA È COLPA MIA!
– LA VUOI SMETTERE? – abbaiò seccamente Eliot, afferrando il bordo del tavolo con entrambe le mani – Tu hai il diritto di essere arrabbiato e io non ho il diritto di sentirmi abbandonata dal mio migliore amico proprio quando avrei più bisogno di lui?
– MA COSA CAZZO STAI DIC –
– ASCOLTA! Stavo bene, dopo mesi stavo finalmente bene, avevo trovato il mio equilibrio e le mie vie di fuga e qualsiasi cosa fosse successa avevo pronte le risposte in tasca… ma poi ti ho spiegato tutto e tu mi hai fatto notare tutte le falle e adesso va tutto male, malissimo e non sono più sicura di un accidente! E questo perché ho ascoltato quello che avevi da dire e perché mi importa moltissimo di te e Vivi!
– Sei una cazzo di egoista e ragioni come una cazzo di egoista, ecco la verità – Hari era gonfio di rabbia gelida.
– Siamo DUE cazzo di egoisti, semmai – controbatté stancamente Eliot.
– Fai come vuoi, non mi importa niente – tagliò corto Hari.
– BUGIARDO! – sbottò Eliot, e stavolta fu lei a sbattere il pugno sul tavolo – Se non ti importasse non saresti arrabbiato con me e non ti saresti preso il disturbo di tagliarmi via dalla tua vita! Perché è questo che stai facendo, vero?
– CERTO! E CHE ALTRO DOVREI FARE, SECONDO TE?
– Non dare subito tutto per fatto, finito e disperso, magari?
– IO REAGISCO COME MI PARE! – ruggì Hari.
– Ma perché te la prendi? Me l’hai chiesto tu!
– ERA UNA DOMANDA RETORICA! – ululò Hari esasperato – Non sai più nemmeno riconoscere una semplice domanda retorica? Allora è vero che sei uscita di senno! Eppure sei tu quella sempre equilibrata, sei tu quella che raccatta me e Vivi quando le cose non vanno bene, sei tu quella con il buon senso in questa casa e non so cosa ne sarebbe stato di noi in questi ultimi anni e no, non voglio scoprire cosa succederà quando… quando tu…
Eliot respirò profondamente, allargando le mani sul tavolo. – Niente è scritto sulla pietra, Hari… l’unica cosa che so è che esistono dolori che ti annichiliscono, altri invece ti schiacciano, altri ancora rendono l’esistenza incolore, fino a risultare intollerabile. Non ti ho chiesto di capirmi fino in fondo e giustificarmi, solo di lasciarmi prendere qualunque decisione io ritenga più giusta, accettandola per quello che è.
– Non intendo farlo – dichiarò Hari, scuotendo lentamente la testa.
– Ne prendo atto – commentò Eliot, annuendo scoraggiata.
– Tu che faresti al posto mio?
– Non lo so, ma sotto questo punto di vista siamo abbastanza diversi.
– Questo è vero – ammise Hari.
– E per adesso? Come ci regoliamo?
– Sarò ancora arrabbiato finché non mi passerà. – Hari incrociò le braccia davanti al petto, con un leggero broncio.
– Lapalissiano – mormorò Eliot sogghignando.
– Poi… ovvio che ci sarò per te. Ci sarò sempre per te. Ma dopo che mi sarà passata – mugugnò.
– Beh, grazie… tuttavia… – Eliot si guardò le mani, che pur essendo ancora incandescenti tremavano leggermente – ricorda che ci sono finestre che si aprono per poco tempo…
Hari si avvicinò all’amica, stavolta senza curarsi troppo di nascondere la sua preoccupazione. – Che cos’hanno che non va?
– Non riesco a scrollarmi di dosso… il calore che se ne va… il freddo di quella notte… – disse lei con un filo di voce.
Con grande sorpresa di Eliot, Hari le afferrò con vigore e se le infilò sotto le ascelle.
– Ci penso io, tienile qua sotto.
– Ah, graz –
– Non ringraziarmi. Porto la stessa tunica da tre giorni. Il matrimonio di Vivi mi ha ammazzato.
Eliot iniziò a tossire e ridere insieme, cercando di soffocare l’ilarità nel petto di Hari, il quale si limitò a serrare le braccia più che poteva, scacciando per qualche momento i brividi che scuotevano le mani della sua amica.