È per questo motivo che la mia famiglia dovette separarsi da me, e che mi fu negata la possibilità di crescere insieme a coloro che mi avevano dato la vita: infatti, nel mio villaggio il reggente Ikkith, designato direttamente dai tiranni, aveva approvato una legge che vietava ai nuclei familiari di comprendere più di due figli, questo forse per impedire alla popolazione di crescere e magari diventare un pericolo per la sua egida. Il problema era che io sarei stato il terzo dei miei fratelli, e secondo la legge avrei dovuto essere ucciso appena nato. Ma, fortunatamente per me, le cose andarono diversamente.
Adesso comprendo meglio come fosse andata la storia: comunque, finché mia sorella non è stata in grado di raccontarmi cosa fosse successo, tutto ciò che sapevo era che i miei genitori, che un tempo avevano calcato le vie di ventura, avevano avuto la fortuna di poter contattare un loro antico compagno di viaggio, un combattente di un antichissimo ordine, quello dei samurai Dragoni di Giada. Kasumoto Sushimada, questo era il suo nome, aveva accettato di buon grado di portarmi via con sé, e in questo modo mi aveva garantito una speranza di sopravvivenza (in quanto l’Impero dei Quattro dava la caccia anche a lui e ai membri della sua stirpe).
A quanto ne so, appena nato fui portato di nascosto da mia madre (sorretta dal mio vero padre, poiché a malapena era in grado di camminare dopo il parto) in una grotta poco distante dal villaggio:il samurai mi stava aspettando lì, avvolto in pesanti vesti scure, in modo che nessuno potesse notare né la sua armatura di un rosso brunito né il lungo fodero intarsiato della sua katana. Non so come si sia svolto esattamente il loro colloquio: colui che sarebbe diventato il mio unico genitore, in seguito, non volle mai raccontarmelo, e io comunque non gli chiesi mai di farlo. Ero convinto che se ci fosse stato qualcosa di importante, lui me l’avrebbe detto, e tutt’ora non ho dubbi in merito a ciò.
A quell’epoca, mi dissero, Kasumoto era un uomo dai lunghi capelli neri, che portava sempre stretti in una coda, e aveva un fisico possente ma agile e snello. A prima vista la sua vera età era quanto mai difficile da stabilire: lui mi raccontò che aveva circa 35 anni quando mi aveva raccolto, ma di fatto io pensai sempre che ne avesse qualcuno in più. Il suo viso era solcato da molte rughe sottili, e con l’andare degli anni queste si moltiplicarono con un ritmo davvero fuori dal comune, e i suoi capelli impiegarono pochi anni a ingrigire del tutto.
Fortunatamente, i Quattro vennero sconfitti dalla Gloriosa Compagine dopo poche settimane che io ero venuto al mondo, così colui che avrei per sempre chiamato padre poté portarmi in un villaggio ai margini dei Colli di Giada. Adesso lui era rimasto solo, a quanto mi disse, e non aveva più nessuno, però in quel minuscolo insediamento aveva ancora degli amici, e poteva dopotutto considerarlo una buona casa per entrambi.
Così ci stabilimmo a Talos, ribattezzato dopo la caduta dei Quattro “ il Giardino del Drago”.
Kasumoto conosceva bene quel villaggio non tanto perché ci era nato (anche la sua famiglia era stata braccata, quindi non aveva mai potuto fermarsi a lungo in un luogo per via dei controlli degli scagnozzi dei Quattro Signori del Fato), ma perché ci era ritornato spesso (sempre ben camuffato, ogni volta con un travestimento diverso). Era facile comprendere perché amasse tanto quel luogo.
Ricordo ancora, come se fosse ieri, quanto fosse affascinante quel posto così piccolo, tranquillo, fuori da ogni rotta commerciale: ogni sentiero era incorniciato da delicati alberi di ciliegio… quando erano in fiore, una leggera brezza li spogliava delicatamente dei loro petali, che poi si posavano silenziosamente sulle pietre rotonde dei vialetti, rilucendo ai raggi del sole… graziosi ponti di legno decorato e dipinto attraversavano i numerosi canali e ruscelli presenti nel villaggio e nei placidi corsi d’acqua impreziositi dalle ninfee rosate danzavano libellule di una trasparenza azzurrina… ricordo il lieve schiocco dei tubi di bambù una volta che le cascatelle d’acqua sotto alle quali erano posti li avevano riempiti ed essi scattavano in alto per svuotarsi, per poi tornare a riempirsi nuovamente, in un ciclo continuo e immutabile…
Il villaggio era abitato principalmente da uomini dell’Est, alcuni con gli occhi a mandorla come mio padre, altri più vicini alla fisionomia delle genti delle Contee del Sud: gli unici visitatori, di tanto in tanto, erano i druidi che dimoravano nelle vicine Foreste della Luna, ma queste loro apparizioni erano rare come mosche bianche.
Nessuno si interessava a noi, e nessuno nel villaggio si interessava al resto del mondo, ora che finalmente tutti potevano godersi il nuovo clima di pace. Comunque sia, evidentemente Kasumoto aveva contatti con qualcuno della stirpe dei Dragoni di Giada, perché presto, seppur senza eccessivo clamore, molte altre genti dagli occhi a mandorla presero dimora nelle vicinanze, e addirittura un altro maestro samurai si stabilì proprio dentro al villaggio.
Noi abitavamo in una casetta di pietra dal tetto leggermente a pagoda, appena fuori dalla bassa staccionata che fungeva da mura del minuscolo paesino. Attorno alla costruzione vi era un immenso prato circondato da una fitta vegetazione a base di bambù e eucalipto. Il ruscello scorreva vicino alla mia stanza, e la mattina all’alba mi svegliavo puntualissimo anche per via delle folaghe che si tuffavano e sguazzavano allegramente nelle sue acque, schiamazzando come uno stuolo di fanciulli.
Allora non sapevo di aver avuto la fortuna di poter abitare in un angolo di mondo molto simile al paradiso. Si trattava di un luogo perfetto dove vivere in serenità, e io davo per scontato che ci avrei vissuto tutta la mia vita, accanto al mio amatissimo padre, al quale sarei rimasto devoto finché la Morte non ci avrebbe separato.
Non sapevo, ancora, che il mondo è molto più crudele di quanto si possa immaginare, soprattutto quando si ha a malapena compiuto quattordici anni e non si è visto né sentito mai nulla, assolutamente nulla, su quanto il Male possa irretire i cuori di chi ci sta intorno, e distruggere in un attimo tutto quello che si credeva immutabile e eterno.
Che figo Kasumoto… mi sa che l’essere fighi si passa da maestro a discepolo, tra i Dragoni di Giada… Splendido!
Ah… ma nel villaggio di Hakù ci sono anche grossi panda che si dondolano sopra palloni colorati? Sarebbe così carino… kawai…
Ci sono, ci sono!!!
Non mi andare avanti nei capitoli, se fai spoiler poi non diverte!!!
Che bello Hakù che descrive il villaggio dove è nato, è tanto tenero…
Prima o poi lo conoscerai di persona, e allora voglio vede’… 😀
Nel senso che incontro chi impersona Hakù o nel senso che farai una descrizione particolarmente dettagliata?