Si guardava i piedi senza parlare. Piedi piccoli, dalla pelle liscia, senza calli. Le unghie crescevano lentamente, come se risentissero della fiacca che la avvolgeva ogni giorno di più.
Era stanca e aveva paura.
Non degli avvenimenti che stavano sconvolgendo l’Occaso, e nemmeno dei suoi ricordi, del freddo braccio di Aldegar che, se solo avesse voluto, le avrebbe spezzato il collo con una semplice stretta. Non la impauriva il pensiero della risata di Desmodar, né del volto scarmigliato del suo compagno, morto qualche luna prima, del quale tanto aveva pianto la morte.
E non era nemmeno lui, colui il cui nome è stato dimenticato, a farla rimanere così, come una bambola senza vita, a rimirarsi i piedi mentre sedeva scompostamente sul suo giaciglio. Non temeva nulla di tutto questo. Sapeva che avrebbe trovato il modo, lo sentiva chiaro e forte e si ripeteva costantemente che dipendeva solo dalla sua costanza e pazienza.
No, era un’altra la cosa che temeva più di tutte. La temeva più di ogni altra cosa, in quel momento.
Si allacciò lentamente gli stivali: le dita indugiavano lungamente su ogni foro, mentre i lacci di cuoio si intrecciavano sinuosamente come serpenti silenziosi. Non vedeva assolutamente quel che faceva, era come in trance. Sentiva il cuore battere forte, come se avesse voluto correr via da quel petto inospitale, e non riusciva nemmeno a sentire il suono dei suoi pensieri.
Rimase ancora un po’ a rimirare le sue calzature. Prese fra le mani la lettera che intendeva spedire. Poi si alzò, con estrema lentezza. Prese un lungo respiro. Lunghissimo.
"Va bene. Sono pronta."
***
"Allora devo chiamare il corriere, dama Melisenda?"
"Sì, Syddin. Digli di portare la missiva al Caporale Alexand Andersen, presso la guarnigione di Lamor, a Khantas. Direi che è abbastanza importante, ma non così tanto da stancare un buon cavallo."
"E voi quando tornate?"
"Non molto presto. Joyd farà in tempo a rimettere in ordine metà delle carte geografiche, se tu e Gus gli darete una mano, prima che io torni. Sapete come fare, tanto."
"Certamente, ormai abbiamo capito."
"Di’ a Month che gli alchimisti ci manderanno una nuova ampolla di protettivo entro la mattinata, e che nel frattempo lui e gli altri possono passare alla catalogazione degli atti di proprietà."
"Sarà fatto come dite… ma voi…"
"Non preoccuparti per me. Ognuno ha i suoi problemi, ed è bene che impari ad affrontarli prima che diventino troppo grandi."
"Lo so, Melisenda… ma spero che… insomma… qualsiasi cosa scopriate… ecco… non abbattetevi, voglio dire… magari…"
"Ssst, Syddin. Bando alle ciance. Il mio amico Gosrad mi attende per aiutarmi nella mia piccola indagine, e i mercanti hanno poco tempo da dedicare a chi non gli fa guadagnar quattrini. Di’ ai novizi di pronunciare un’orazione in più per me, se proprio vuoi aiutarmi. E prepara un buon té di menta per quando sarò rientrata."
Diede una pacca sulla spalla del ragazzone che le stava davanti, un po’ impacciato e imbarazzato, poi si voltò e uscì, con passo deciso, lasciandosi alle spalle la nuova Biblioteca di Mordian. Nessuna incertezza traspariva dal suo volto. Nessun indizio che facesse pensare a quanto, a quante ore fosse rimasta sveglia a guardarsi i piedi in quella mattinata così fredda e nebbiosa, dove la luce che filtrava sembrava esser afflitta da qualche brutta malattia, di quelle che nessuno riesce a curare.
Melisenda cara, non fare cavolate… Ma soprattutto… AAAAAAAH, PIEDIIIIIII…
E i piedi di Melisenda sono mooooolto più carini dei miei… 😀