Era splendido stare con lei. Karen era la ragazza più dolce che avesse mai incontrato; intelligente, con quella praticità tipica della campagna, arguta e pungente, ma anche tenera e amorevole, quando erano da soli. Si era innamorato della sua aria un pò cupa, mentre tornava dai frutteti con la cesta colma di primizie; lo sguardo assorto, sotto la frangia scura, il naso appena largo e gli zigomi arrotondati costellati di minuscole efelidi, la bocca carnosa corrucciata a broncio, le forme robuste e insieme sinuose, tutto lo aveva affascinato. Una bellezza che forse quelli delle città avrebbero definito "rozza e contadina", ma per lui, nato e cresciuto a Drakvall, sperduto nelle foreste dei Ducati, Karen era incomparabile, e non l’avrebbe scambiata per niente al mondo. La conobbe quando lei aveva sei anni, e lui era un bambino grosso e lento di appena dieci anni. Lei lo chiamava "Ruben il Tonto", lui si arrabbiava, e spesso litigavano. Rapidamente, con le repentine svolte tipiche dell’età infantile, divennero amici insostituibili; crebbero passando insieme ogni istante della loro adolescenza e gioventù, imparando a conoscersi ed apprezzarsi. Con stupore riconobbero che quel sentimento che li univa era amore, e quasi ne rimasero spaventati; eppure, neanche questa sorpresa riuscì a dividerli, e quando Karen raggiunse la maggiore età decisero di sposarsi.
Tutto Drakvall era in festa; le piccole capanne in pietra e legno recavano festoni sulle porte, dalle finestre le donne del paese lanciavano piccoli fiori, uno strepitio di canti e suoni affinchè Elios benedicesse quella nuova giovane coppia. Ed ora, due anni dopo quel giorno, ora che Karen era una splendida ventenne, Ruben si accorse veramente di quanto era stato fortunato.
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Quella sera Karen era più pallida del solito. I capelli corvini, legati a treccia, mettevano in risalto la bianca pelle del collo, leggermente ricoperta da un leggero velo di sudore freddo. Il respiro era lento e profondo, come se fosse leggermente affaticata. Ruben alzò la testa dal piatto di zuppa di legumi che stava divorando, dopo una giornata a spaccare legna; il suo sguardo andò istintivamente a cercare la moglie, che non aveva ancora toccato il suo pasto, ma lo fissava con una nota di ribrezzo.
-Che c’è, Karen, non hai fame?- chiese il boscaiolo, cercando di essere il piu dolce possibile. Sapeva quanto poteva essere brusco, talvolta, anche se non lo faceva per cattiveria. Era un istintivo, lui, abituato più a trattare con gli animali che con le persone, e per questo talvolta poteva sembrare sconstroso. Karen questo lo sapeva bene, e non gliene aveva mai fatto un peso, anzi la riconosceva tra le sue doti migliori, questa innata franchezza. Non di meno, Ruben cercava sempre di migliorare sotto questo aspetto, per essere un degno marito. Adesso Karen ricambiava il suo sguardo, la testa leggermente inclinata verso il basso, negli occhi qualcosa di indecifrabile. Una felicità di cui sembrava provare vergogna, una gioia mista a paura, come l’ansia per una festa che non vorremmo mai veder arrivare.
-Ruben, sono incinta- disse Karen in un unico fiato.
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Quello di cui Karen aveva paura era che il marito, vista la precaria condizione in cui vivevano, la ripudiasse per non dover avere una bocca da sfamare. Non erano ricchi, sicuramente; la paga da boscaiolo di Ruben, insieme a quello che Karen riusciva a coltivare e allevare nell’appezzamento dietro la loro piccola capanna, erano appena sufficienti per loro. La ragazza amava profondamente il marito, e l’ultima cosa che voleva era dargli preoccupazioni. Eppure, Ruben fu entusiasta; un pargolo era il coronamento del loro sogno, della loro vita insieme, e pur di avere Karen e il bimbo accanto a sè avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche lavorare fino a spaccarsi la schiena. La donna rimase stupita nel vedere un omaccione grande e grosso come il marito piangere di commozione, non sapersi riprendere dalla notizia, balbettare inframezzando frasi sconnesse a risolini isterici. Si abbracciarono, e passarono il resto della serata a conversare stretti in un’unica coperta, innanzi al focolare.
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– Se sarà femmina?
– Elios me ne guardi… verrebbe acida come tua madre!
-Non fare lo scemo, Ruben…
-… insomma, non saprei… quella intelligente sei tu…
– A me piacerebbe Thalya.
– Bello, è vero… e se viene maschio?
– Maschio, maschio… fammici pensare…
– Mi raccomando, un nome bello…
-… che ne pensi di Frederik?
– Dico che a me va bene.
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Luna piena, per fortuna. Doveva aspettare la prossima luna, per partorire, ma le doglie di Karen erano iniziate prima. Ad un tratto, dopo che tutto il giorno era stata debole e stanca, durante la cena la ragazza aveva iniziato ad avvertire i primi dolori lancinanti, e non riusciva neanche a reggersi in piedi. Ruben l’aveva adagiata sul letto, e con quanto fiato aveva in corpo si era diretto verso il villaggio, alla ricerca del cerusico; erano appena un paio di miglia,dalla loro capanna a Drakvall, e di buon passo in mezz’ora sarebbe andato e tornato. La luce perlacea della luna piena illuminava a sprazzi il sentiero, passando tra le folte fronde degli alberi; i passi di corsa di Ruben battevano ritmicamente sul selciato, guidati dal chiarore, sicuri e decisi. Aveva paura che qualcosa potesse andare storto, durante il parto, senza l’assistenza di qualcuno di competente; ma soprattutto, aveva paura di perdere i suoi due motivi di vita, quella che nella sua giovane vita aveva più agognato, e che adesso era ad un passo dal raggiungere. Un alito, un refolo di vento gli spostò il mantello di lato. Strano, la serata era tranquilla, senza nuvole… Cos’era stato?
L’intera notte gli cadde addosso. Un’ombra scura, immensa, staccasi dal cielo stesso gli fu sopra in pochi attimi, e lo travolse con forza formidabile. Non riuscì a difenderi in alcun modo, e si trovò spinto a terra, con un peso opprimente sul petto. Iniziò a tirare pugni alla cieca, colpendo la figura più volte; riconobbe il duro impatto della mano con un costato, ma incredibilmente quello che gli era addosso sembrava ignorare i suoi colpi, pesanti come magli. La figura, d’altro canto, alzò un unico pugno al cielo, e colpì alla guancia Ruben, che quasi svenne per il dolore. Negli occhi lampi di luce ormai balenavano indistintamente, il cervello incapace di pensare ad alcunchè. Sua moglie stava partorendo, lui doveva avvertire il cerusico, doveva andare… Ma quegli occhi come tizzoni ardenti, dalla tenebra, sembravavano scavare il suo animo, e lo inchiodavano al suolo.
– … io… mia moglie… mi lasci andare, la scongiuro…
Un sibilo, dalla figura, forse una risata. Gli occhi si strinsero divertiti. La voce, bassa e glaciale, gli soffiò addosso la condanna.
– Non è affar mio.
La creatura si chinò di scatto su di lui, sfoderando zanne scintillanti alla luce lunare. Un dolore lancinante alla base del collo, poi l’oblio.
* * *
Quanto ci metteva, Ruben? Quel dolore era lancinante, insopportabile. Sembrava spaccare il cervello, come se da un istante all’altro l’intero corpo si dovesse aprire in due. Ed era ormai tento, che Ruben era partito, e non dava nessun segno di ritornare. Cosa sarebbe successo al loro bambino? Rischiava di morire, se non fosse uscito in fretta, e lei da sola non ce la poteva fare. Il suo bambino, il frutto del suo grembo, non se ne poteva andare così, dopo tutto quello che avevano fatto per lui!
La porta dell’ingresso si aprì lentamente. Finalmente Ruben è tornato, pensò Karen tra gli spasmi. Eppure, la voce gelida che la apostrofò non era quella del marito.
– Sono a casa, cara…
Sulla soglia, illuminato dagli ultimi sprazzi di luce del fuoco morente, stava un uomo, all’apparenza uscito da un incubo notturno. La pelle era mortalmente bianca, solcata da vene nerastre, come quelle di un morto. I capelli radi rivelavano una fronte spaziosa e liscia; gli occhi, rossi e ardenti di una strana e mortale malignità, la guardavano affamati, mentre una lingua da bestia si leccava i denti appuntiti. Il corpo, avvolto in ricchi abiti, era atletico e teso allo spasmo, mentre le mani, come fameliche grinfie, impugnavano una lama insanguinata. Ne ebbe subito la consapevolezza, uno strazio così forte che non sentì neanche i dolori del parto per qualche attimo. Inarcando la schiena, gridò con tutto il fiato che le rimaneva in corpo.
– COSA HAI FATTO A RUBEN, MALEDETTO BAS…
La figura le fu subito addosso, tappandole la bocca con la mano gelida. Ora le lacrime solcavano il viso della ragazza, consapevole che la sua vita era comunque finita. La creatura l’avrebbe uccisa, come aveva fatto con suo marito, e anche suo figlio la avrebbe seguita nella tomba. Provò paura, rabbia, dolore indescrivibile, emozioni che scavavano solchi nella sua anima, tracciando segni di odio e rancore verso chi le aveva strappato la felicità in una sola sera. Poi la creatura calò le sue zanne sul suo collo, e Karen si arrese.
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“Due buone prede, stasera. Bravo, Konrad”
Il vampiro si compiacque tra sè e sè della sua caccia. Era stanco, dopo gli incontri con quel maledetto branco di avventurieri che lo stava braccando da quasi un anno. Due vittime facili, sangue giovane e fresco. La ragazza, eppure, gli stava lasciando un retrogusto amaro, come solo chi muore maledicendo sa fare. Crogiolati nella tua rabbia, bella mia, io non so che farmene. Fece per andarsene, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Un vagito dal letto, appena sotto la donna. Un lampo di curiosità ferina brillò negli occhi del vampiro, che rapidamente andò a scansare le coperte che coprivano il cadavere della ragazza. La visione d’inferno lasciò totalmente impassibile il cuore ormai morto del vampiro. In un lago di sangue, giaceva un neonato piangente, ancora attaccato al cordone ombelicale. Appariva sano e vitale, nonostante tutto. Konrad lo afferrò, e con la lama tagliò il cordone, quindi lo intrecciò rapidamente. Il bambino continuava ad urlare, dando aria ai suoi polmoni appena arrivati al mondo. Con l’imitazione di quello che doveva essere un tono materno, Konrad bisbigliò all’orecchio della morta.
– Il tuo piccolo avrà fame…
Le strappò la veste, rivelando un seno marmoreo e immobile; con gesti lenti e compassati, vi appoggiò il bimbo, che istintivamente cercò e trovò la fonte del suo nutrimento, iniziando a succhiare avido. Konrad attese con calma, fino a che il neonato non si fu tranquillizzato e si addormentò. Poi lo sollevò e lo avvolse in un panno di tela spessa, per coprirlo dal freddo, stringendolo al petto. Negli occhi, una luce bizzarra, un affetto malato e distorto verso la creaturina che stava stringendo.
“Tu non lo sai, ma mi devi la vita, piccolo. Anche il mio sangue scorre in te, adesso. Nato da una donna morta, portato alla vita dal sangue di chi non dovrebbe più essere tra i vivi. Tu sei il figlio del più oscuro dei grembi, progenie delle tenebre. Sangue del mio sangue, di sangue vivrai e nel sangue morirai. Buona fortuna, scricciolo”
Il vampiro, cullando il neonato, intonando una litania distorta, si incamminò nella notte, diretto nel folto della selva di Drakvall.
You bloody bastard!!!!!
Dovresti scriverne almeno una al giorno, di storie così…
ps: ricordati di assegnar loro una categoria, sennò se uno le va a cercare non le troverà mai…
Vediamo di trovarci, prima che riparto, che mi devi spiegare due cosine sull’utilizzo del blog, almeno rendo al meglio…
fra 6 1 scrittore nato…commuovente e molto carino