“Sua Grazia ha detto che se ne sarebbe andata per ultima e così sarà. Non ci pensare e porta questo maledetto carro lontano da qui.”
Queste furono le prime e ultime parole di Lord Garreth Kerr pronunciate durante i primi due giorni di viaggio.
Il resto del tempo lo trascorse fissando un punto imprecisato del carro, dove il telo di copertura lasciava spazio al robusto bordo.
Davanti ai suoi occhi sempre fisso il Frenin disteso, con gli occhi coperti da monete, sua Figlia abbandonata a terra e la sua Consorte con gli occhi madidi di lacrime.
E i canti dei tanatosarchi.
E le parole dei tanastosarchi.
Di tutti loro.
Anche di quello proveniente dal deserto.
Sembra uno spiantato, un imbecille o, nel migliore dei casi, uno che prova a tirar su qualche scaglia con i suoi modi da imbonitore e la sua voce roca.
Ma ciò che gli aveva detto, lo aveva trapassato da parte a parte e gli aveva afferrato il cuore durante il percorso.
Lo stesso cuore poi calpestato dalle rivelazioni avute nei quartieri dell’Orsa.
Si può perdere un Duca per un pugno di corone?
Dimmi che tu non c’entri, che non sapevi nulla, che ti saresti ribellata!
No.
Nulla di tutto questo.
Il destino del mio e nostro Frenin era di morire per salvare un pomposo e arrogante ragazzino che non riesce a convivere con l’ombra di suo padre e lo spettro di sua madre.
Vuol dire questo essere Cavaliere?
VUOL DIRE QUESTO?!?
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Più volte il giovane Cavaliere aveva tentato di intessere un qualche tipo di discorso, ma veniva sempre e puntualmente ignorato, almeno dall’Alto Ufficiale che trasportava. Purtroppo anch’egli sarebbe voluto volentieri cadere in un sonno profondissimo e isolato, risvegliandosi quando le ferite fossero diventate cicatrici, quando il sapore del sangue ancora vivido in bocca, fosse sparito e quando le stanche membra si fossero rilassate e gli avessero concesso di poter impugnare di nuovo la sua amata Spada.
La Spada stessa che lo avrebbe trafitto se fosse stato mancante nella condotta del suo Codice. La Spada vista spezzare, fatta volare a terra, consacrata e poi intrisa nel sangue abominevole.
Anche lui in passato era stato consacrato, fatto volare a terra e, intriso di sangue, infine spezzato. Doveva tornare dalla Spirale e lo aveva fatto. Aveva giurato di vivere e morire per la sua Patria, per il suo Clan e per la sua Gente. Lo aveva fatto. Aveva affrontato il supplizio ultimo e ne era tornato perchè sentiva di aver lasciato qualcosa a metà. Non sarebbe stato in pace fino a quando quegli esseri abominevoli non fossero stati solo un orribile ricordo.
Ma quel momento così dolce sembrava tanto lontano quanto desiderato…
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La giovane che viaggiava con loro, ogni tanto si voltava a guardare colui che le aveva fatto pochi giorni prima un dono così bello e pregno di significato. Ogni tanto lo rimirava, se lo passava tra le dita e se lo rimetteva a posto, con fare a metà strada tra il nervoso ed il preoccupato.
Non lo aveva mai visto così. Sapeva che poteva divenire iracondo nei furiosi attimi di guerra. Aveva già costatato come una luce gli illuminasse gli occhi e le sue forti braccia si gonfiassero madide di sudore nel ricacciare i nemici dell’Orifiamma da dove erano venuti.
Ma quelle parole così calme e quasi sussurrate, quello sguardo che li aveva attraversati tutti, quel pugno scagliato sul tavolo che, cigolante, quasi si arrendeva all’impeto del colpo. Era un Garreth che non conosceva e non aveva mai visto. Poteva avere ancora lati sconosciuti? Chi era realmente? Sapeva che in certi casi era meglio lasciarlo solo a confrontarsi con sè stesso, ma adesso? Non era più solo. Non lo sarebbe stato almeno.
Maledetta quella firma. Seguire i compagni di tante avventure con la buona fede di poter portare aiuto in qualche luogo dove i suoi fratelli thersiani rischiavano quotidianamente la vita, pareva una buona idea, foss’anco stato a titolo gratuito. Seguire un prode in una missione pressochè suicida, lo pareva molto meno. Ma era stata sincera con la persona a cui teneva e questo le era di conforto. Non voleva certo mentire o fare finta di nulla, non dopo ciò che era occorso a suo fratello.
Una lacrima salata riga la guancia e termina la sua folle corsa sul lato della bocca, il labbro viene morso, il volto si gira e anche Lei si ritrova a fissare il telone, solo un paio di passi più avanti rispetto a Lui.
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Il mio Frenin è caduto come mai avrebbe sperato dopo la sua prigionia in quell’ammasso di metallo che tentò di uccidermi.
Il mio Frenin ha salvato le vite di tanti innocenti, sciocchi, coraggiosi, inetti, sapienti e illusi.
Il mio Frenin sarà sempre il mio esempio.
Addio mio Frenin.
So che non avresti voluto che la tua dipartita fosse accolta con tristezza ma, anzi, avresti sempre desiderato andartene combattendo per i tuoi Figli.
Sei stato accontentato e le tue preci accolte dal divino Nobilis Aster.
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Durante la sosta per la terza notte, finalmente la figura dell’uomo seduto dietro si alza e si staglia all’interno del carro.
“Aiden, va a far legna. Abbiamo quasi finito sia i tagli piccoli che quelli più grandi….”
“Lord Garreth, ritengo che sia suff…”
“La cesta è lì. Vai a far legna.”
“Si, mio Bunaìdh.” disse poco convinto, aggrottando un sopracciglio, prima di scomparire nel buio.
“Abigaille. Ti prego avvicinati.” disse con tono di voce calmo e quasi soffocato. La giovane si avvicinò come richiesto. Se questa fosse stata la fine di tutto, voleva guardarlo negli occhi, quando glielo avrebbe detto.
Se il suo destino fosse stato in una sudicia forgia di campagna, lo avrebbe accettato.
“Ho tanti balli in sospeso, se ben ricordi. Iniziamo ora. Ti prego… Vuoi?”
“Si, Garreth…. Lo voglio…”
Il giovane si rese conto forse troppo tardi che quelle figure che vedeva avvinte, dondolarsi piano piano, al ritmo di una musica inesistente, fossero i suoi due compagni di viaggio, ma scartò rapido di lato e si nascose dietro al carro. Lo avevano visto? Sentito?
Lui rimase lì finchè non si addormentò, poggiando la testa su un ciocco di quercia e coprendosi con il suo mantello, sotto a quel bellissimo cielo, sereno e sgombro da nubi come mai aveva visto. Con gli Astri stessi che sembravano voler vedere coi loro occhi quanto ci fosse di bello nei sentimenti mortali.
Al mattino sarebbe arrivata presto l’ora di ripartire.
Ma, su tutta Whanel, forse vi erano due persone che non avrebbero voluto che il tempo scorresse nemmeno di un giro di clessidra.