Il male minore

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“Non credo davvero che la sobrietà faccia per me…” e lo disse mandando giù un generoso sorso di liquore ambrato, tanto per rafforzare il concetto.
“Diciamocelo, cosa c’è di bello da vivere in questo mondo che non possa essere migliorato da un buon goccetto?!? Non fare quella faccia, certe cose non si cambiano dall’oggi al domani e se voglio ubriacarmi per arrivare incosciente a fine giornata non potrai fermarmi nemmeno tu. E al diavolo tutte le promesse estorte a tradimento!”
Bevve ancora, cercando nel fondo del bicchiere un salvacondotto per quell’ennesimo viaggio verso l’oblio.
“Tralasciando ciò che già sai, ho visto cose… cose che farebbero arrossire un demone: persone usate come carne da macello, seviziate e mutilate molto prima che la loro fine fosse vicina. Ho fatto cose che non riuscirebbe a perdonare neppure un angelo: ho cercato riparo dietro uno scudo di carne ed ossa, quando ancora poteva avere salva la vita… L’alcol è questo per me: il demone che mi asseconda nell’orrore, l’angelo che volge lo sguardo nel momento più buio.”
Anche fuori era buio: la locanda era semi deserta, anche se bastavano le due figure addossate al bancone per sanare i debiti di un mese intero.
“Ti ricordi l’ultimo giorno di assedio alla Capitale?!? Per tutti gli Astri, eravamo solo io e te, beh, come in molti altri campi di battaglia del resto: mi hai promesso che avresti bevuto fino a soffocare nel tuo stesso vomito pur di dimenticare quello che avevi visto. Dimmi, ce l’hai fatta, hai dimenticato?”
Un secco scrollare di testa fu la risposta che invero si aspettava.
“E sai perché? Perché ancora non hai bevuto al punto di soffocare nel tuo stesso vomito!”
Scoppiarono entrambi a ridere di gusto, sebbene non fosse né il momento né il luogo adatto: svegliarono gli altri quattro gatti che già si erano storditi prima di loro e il mormorio di fondo che ne seguì li fece sghignazzare ancora di più.
“Bevi con me stasera e ti prometto che un giorno faremo questo percorso di sobrietà insieme: ancora non è il momento, ancora non possiamo permettere ai demoni del nostro passato di fiaccarci i nervi. L’Immacolato ci aspetta e ti voglio con la mente sgombra quando ci sarà da spaccargli la testa: sarà il nostro piccolo segreto…”
Versò il liquore scadente che beveva da un po’ anche nel bicchiere che gli era poco distante: svuotò il suo rapidamente, in attesa di compagnia.
“Fanculo, vado a pisciare…” disse dopo qualche minuto, mentre si alzava barcollando “Quando torno, sarà bene che tu abbia vuotato quel bicchiere!”.
Bastarono pochi passi oltre la porta e una gran baccano raggiunse l’interno della taverna: dopo qualche attimo, da fuori si sentiva piagnucolare solo un nome a gran voce “OTTAVIAAA!!!”
La donna prese il bicchiere dal bancone, ancora indecisa sul da farsi col liquido al suo interno, e s’incamminò verso l’uscita, lasciando qualche spicciolo al locandiere.
Aldo se ne stava a terra ricoperto di fango e cianfrusaglie: probabilmente era inciampato sulla soglia della locanda, per poi rovinare al suolo travolgendo alcune bancarelle.
Ottavia rimase immobile a guardarlo.
D’un tratto si ricordò del tempo in cui si permetteva di giudicarlo dall’alto verso il basso, delle ore passate con Amanita a domandarsi cosa potesse ridurre una brava persona in quello stato: adesso lo capiva e provava compassione per lui, oltre che per sé stessa.
Versò a terra il liquore e ripose al sicuro il suo bicchiere. Raggiunse Aldo e lo prese sottobraccio, inzaccherandosi a sua volta.
“Andiamo amico mio, fatti aiutare” gli disse sollevandolo senza fatica.
“Mi aiuterai anche a pisciare?” le domandò lui.
“Così a spanne, direi che hai già fatto…”

***

Due rapidi colpi in successione la raggiunsero all’improvviso, e per poco non perse conoscenza: alla testa e alla bocca dello stomaco, sferrati col pomo dell’arma, con una maestria davvero ragguardevole. Volevano divertirsi, quelle carogne, giocare un po’: bene, avrebbe dato loro quello che volevano, anche se non era convinta che si sarebbero divertiti.
Raccolse le idee rapidamente e si rimise subito in guardia: era quasi circondata, ma finalmente, dopo tanto tempo, si sentiva in forma. La mano le tremava molto meno, le gambe rispondevano con una prontezza che aveva dimenticato, vedeva con chiarezza e questo le avrebbe permesso di sferrare colpi micidiali.
Ciò nonostante, avrebbe di gran lunga preferito ingoiare una manciata di triboli pur di non ammettere che quell’astemia forzata aveva effettivamente raggiunto il suo scopo.
Per sua fortuna non era il momento di stare troppo a ragionare, doveva concentrarsi, altra vecchia abitudine che ormai aveva smarrito da tempo, o quel manipolo di sudici imperiali avrebbe avuto la meglio.
Buttò a terra, uno dopo l’altro, tutti quelli che le si paravano davanti: i suoi colpi migliori? Una testata che sfondò la faccia di uno di quei farabutti e una morsa velenosa con la quale spezzò un braccio a un altro invasato.
Alla fine, però, dovette cedere a un bastardo che da dietro le assestò un colpo potente alla nuca. Cadde, ma la preoccupazione che quello potesse essere stato il suo ultimo scontro durò poco.
Il suo Cadetto sopraggiunse di gran carriera non appena aveva toccato terra: i Ragazzi le fecero rapidamente capannello intorno e Cristilde, seppur visibilmente malconcia, non le avrebbe permesso di morire…

***

Aveva sempre avuto ragione, per tutti gli Astri se era contenta di aver avuto sempre ragione, alla faccia di Cristilde: da dietro il suo nascondiglio improvvisato osservava Vinicio che costringeva in ginocchio una fanciulla di non più di quattordici anni tenendola per il collo, con una violenza tale che le fece subito serrare i pugni.
Era una delle ragazze che aiutavano a preparare il rancio: le inveiva addosso come quel cane imperiale che alfine si dimostrava. Forse voleva convincerla ad avvelenare il suo pasto?
Maledetto bastardo: la ragazza piangeva come se quelle angherie fossero solo l’apice della merda che le aveva gettato addosso in chissà quanto tempo. Aveva visto abbastanza.
Uscì da dietro il cespuglio dal quale aveva assistito alla scena: unì le sue armi da guerra come nelle grandi occasioni e prese a caricare quel verme senza pietà.
“Cane maledetto! Finalmente hai buttato giù la maschera!”
Vinicio, colto alla sprovvista, ebbe il tempo di proferire solo poche parole: le sembrava che stesse farfugliando qualcosa sulla sua giacca… l’ennesima scusa per prendere tempo ma poteva stare tranquillo: una volta finito con lui, avrebbe dato fuoco anche a quell’orrenda casacca.
“Infame, fattela con qualcuno della tua stazza!” Ma in cuor suo sapeva che in quelle condizioni, sulla via del recupero della forma fisica di un tempo, non sarebbe stato in grado nemmeno di scalfirla.
Gli arrivò addosso con una ferocia tale da impaurire anche la giovane ragazza, che riuscì a divincolarsi e a scappare qualche metro più in là: meglio, pensava, almeno non si sporca di sangue.
Vinicio provò a difendersi dal suo primo affondo ma nella foga del colpo riuscì soltanto a rimanere disarmato: Ottavia non ebbe pietà o tentennamenti.
Un secondo colpo deciso, alla base del collo, e la testa di quel fottuto traditore finì direttamente in braccio alla fanciulla.
“Giustizia è fatta”, pensò.

***

“CRISTILDEEEEEEEEEEEEE!!!!”
Muoveva freneticamente le mani, da un punto all’altro di quello squarcio orribile, illudendosi di poter arginare il fiume di sangue che sgorgava senza sosta dalle interiora del suo compagno.
Come c’era finita a reggere le budella di Francisco? Non ricordava di aver preso parte a uno scontro: eppure era lì, nell’occhio del ciclone, mentre intorno a lei si lamentavano da terra decine di armigeri in procinto di lasciare questo mondo.
Francisco era aperto in due dalla spalla all’inguine, un colpo violento e preciso: forse era stato un troll? Non ne vedeva in giro ma poteva essere…
Lei era a malapena ferita: il sangue sulle sue mani non le apparteneva, lo sentiva, eppure non riusciva a ricordare come era cominciato quello scontro brutale. Forse aveva perso conoscenza, cadendo e battendo la testa?
Non c’era tempo per indugiare, non vedeva Cristilde e per Francisco poteva già essere troppo tardi: “PARA BELLUM!”, urlò a pieni polmoni, per poi scaricare sul compagno morente il tocco salvifico che sperava potesse restituirlo alla vita.
Cercò di calmarsi e di fare mente locale: come c’era finita lì? Che razza di scontro era stato ingaggiato? E soprattutto, perché riusciva a ragionare così lucidamente?
Solo all’ultima domanda trovò risposta: era sobria, quattro interminabili e tremende settimane di sobrietà… Non le piaceva vedere così chiaramente l’orrore della battaglia, il sangue, le smorfie sulle facce dei caduti che mai sarebbero mutate.
“Ottavia…” finalmente una voce amica: Aldo.
“Ottavia, che cosa hai fatto… ?!?”

***

Era drogata dalle erbe medicinali che Cristilde le aveva propinato dopo aver lenito le sue ultime ferite di guerra: era la prima volta che rimaneva sobria così a lungo e quell’ottundimento dato dai farmaci la fece sentire a disagio.
Non che avesse infangato la sua parola: dopotutto, nessuno aveva parlato dei sedativi.
Balthazhar e Leone entrarono insieme nella sua tenda. Si mise seduta e li squadrò per qualche secondo prima di rendersi conto che fossero reali.
“Come stai?” le chiese lo Spiantato, mentre l’altro scrutava la tenda minuziosamente.
“Bene” rispose all’uno, mentre girandosi verso l’altro fece “Cosa cerchi? Pensi che abbia nascosto il tuo barbiere sotto le pelli del mio giaciglio?” disse, sfoggiando una maliziosità che Leone non colse.
“Le sue armi sono fuori, le tiene Cristilde” disse Balthazhar come leggendo nel pensiero del Cuochi, che annuì, tutt’altro che tranquillizzato.
“A cosa devo il piacere…?” Ottavia non capiva quella visita e ancora meno quell’aria circospetta che avevano entrambi: passi per Leone, praticamente era la sua faccia abituale, ma Balthazhar sembrava sul punto di confessarle che…
“E’ morto qualcuno?” Ottavia si agitò, facendo sobbalzare anche gli altri due. “Perché siete qui?”
“Perché hai da ricomincià a beve”, disse Leone, sfoggiando la sua celebre faccia da schiaffi.
Ottavia si trattenne più che poté, poi scoppiò in una fragorosa risata. Il divertimento, però, durò poco, poiché i due sembravano sempre in procinto di seppellire un morto.
“Aspetta, ma sei serio?!?”
“Ti sembriamo due che hanno voglia di scherzare?” Balthazhar sembrava genuinamente mortificato, il che rendeva quella conversazione dannatamente seria.
“No, spiegatemi: avete passato anni a rompermi le palle sull’alcool, sull’opportunità di smettere di bere e adesso che lo faccio volete che io… Andiamo, mi state prendendo in giro…” si buttò di nuovo sul giaciglio, confusa e annebbiata.
“Nun la vojo menà tanto pe le lunghe che a nessuno de due piacciono quei pipponi da messa della domenica, a differenza del prete, qui. Abbi pazienza Balthazhar, qualcuno te lo doveva dì. Ma annamo ar nocciolo, stai diventando un problema, Ottà, anche peggio di quando eri sempre sbronza: e se riguardasse solo te, alla fine sticazzi, ognuno se rovina come vole, c’ho dovuto fa pace pur’io. Il fatto è che ‘ste crisi pazzerelle ce ponno creà probblemi con gli Altimastri e io nun ho intenzione de buttà a puttane quello che ce semo conquistati a fatica…”
“Io non so di cosa…” maledetta Cristilde, c’era andata giù pesante: le sembrava di avere impastati anche i pensieri.
“Certo che nun lo sai! CAZZO! E nun te dice gniente sulla portata der problema?!”
“Leone, eddai: dicono che non si ricorda…”
“Ti riferisci a quando ho aggredito per errore… dai, come si chiama, Antares?! E’ stato un incidente!” raccolse tutte le forze che aveva per tornare a sedersi e guardarli negli occhi.
“Seee, meglio, quello è stato settimane fa! Nun ce semo capiti: nun è la prima vorta che te se incarta il cervello e te prendi a pizze in faccia coi tuoi, ma mo… Continui a vive questi incubi da sveglia, nun lo so nemmeno come chiamalli, pari una bestia incontrollabbile, peggio del solito, e ce rimettono quelli che te stanno intorno: calcola che da Nebin a oggi i tuoi hanno subito più mazzate tua che del Cenacolo intero!”
“Ma cosa cazzo dici… Balthazhar fagli tenere a freno quella lingua biforcuta o lo pianto in terra…” provò ad alzarsi in piedi: i due si fecero rapidamente indietro ma si accorsero subito che non avevano molto da temere. La donna barcollò su sé stessa, per poi tornare seduta, al punto di partenza.
“E’ morto un uomo Ottavia: forse la Scacchiera non ha perso un gran ché, era un tizio che …”
“Cioè figurate il tizio che hai stirato ce stava pure sul cazzo, calcola che bazzicava da una Masnada all’altra in base a quante ragazzine ce stavano dentro. Insomma avresti fatto pure un lavoro socialmente utile pe quello che me riguarda! Ma il problema è che ce poteva esse chiunque al su posto! Pure una de quelle ragazzine a cui andava appresso quello stronzo. Capisci il probblema?! Quindi adesso per tutti gli stramaledetti Astri..”
“LEONE!”
“..ok, scusa te la metto meglio, per tutti gli stramaledetti Demoni di Orione, ricomincia a beve e chiudiamola qua!”
“NO!” rispose in modo perentorio, senza degnarli di ulteriori spiegazioni.
“Finora i tuoi Ragazzi hanno contenuto le notizie, fanno capannello dietro la loro grande condottiera… ma quanto pensi che durerà, dal momento che il tuo peggio lo sfoghi proprio con loro?!? Quanto, prima che qualcuno a cui tieni si faccia male sul serio?!?!” Balthazhar, senza volerlo, riusciva ad essere più tagliente del suo compare improvvisato, toccava corde che forse Leone non capiva.
“Hai menato a Cristilde…” una volta afferrato il senso, anche Leone trovò quelle maledette corde e ci si aggrappò senza pietà.
In quel momento, come evocata, entrò Cristilde: un braccio fissato al petto con una benda, alcuni lividi sul viso pallido.
Ottavia avrebbe voluto alzarsi ed abbracciarla, chiederle cosa fosse successo, tirarla a sé: ma in quel momento, mentre alcuni ricordi le tornavano alla mente, un po’ per vergogna e un po’ per colpa di quelle maledette erbe medicinali, le uscì solo una smorfia a denti stretti.
“Non sappiamo cosa sia successo a Nebin” disse il suo Cadetto, cercando di farle capire che sapeva eccome ma che non voleva rivelare tutti i dettagli in quel momento “ma pensiamo che forse, confondendoti un po’ la mente potremmo evitare ulteriori… eventi…”. Un nodo alla gola le impediva di continuare, era evidentemente in imbarazzo anche lei: per anni aveva cercato di farla smettere di bere, di stordirsi, di distruggersi, e adesso le consigliava il contrario.
“Non posso, ho dato la mia parola…” le girava tutto: possibile che senz’alcol quella roba fosse anche più potente?!?
“Ha dovuto drogarti…” disse Balthazhar mortificato, poggiando una mano su Cristilde, che da par suo se ne stava a testa bassa, senza guardarla in faccia. Ecco, adesso tutto aveva un po’ più senso.
“Nun la guardà così, Ottà, qua andava a finì a sangue e merda se non ce metteva un fermino lei! Io ho già dato cor Subbisso, bisogna dagli del lei, anche se ultimamente ‘sti matti scapocciati che c’avemo appresso sembra che ce se divertono. Se quell’affare se blocca? Se alla fine nun ce fa più tornà indietro?!? Pare che il casino di Nebin tre anni fa non abbia insegnato gniente a nessuno…” aggiunse Leone. Prese fiato, preoccupato e rassegnato all’idea di doverla lasciare prendere la sua decisione.
“Nun c’è bisogno de fa casino tra noialtri, la potemo risolve pacifica…”
“PACIFICA UN CAZZO! Mi avete drogato… MALEDETTI!” Ottavia si lasciò cadere sul giaciglio, ormai arresa all’impossibilità di reagire diversamente. “Ho dato la mia parola… voi non potete… IO non posso infangarla…” e quelle furono le ultime parole di senso compiuto che le sentirono proferire.

Fuori dalla tenda i tre ripresero il discorso.
“Ao, qui le chiacchiere stanno a zero, hai da farla ragionà: lo sai che anche io ero pe ripulirla, me faceva incazzare quando se metteva in ridicolo davanti a tutti, senza pudore, mbriaca fradicia… Mo però è pure peggio, è un pericolo pe l’altri… Se succede qualcosa de grosso, dove se va a nasconde stavorta?!? La Scacchiera è l’ultima spiaggia, nun c’è un posto più remoto dove rintanasse…” Leone aveva preso a fumare nervosamente, in preda ad uno dei suoi tanti, famosi, tic.
“Cristilde, in cuor tuo, lo sai anche tu che in qualche modo la questione va gestita: forse questo è…” Balthazhar provò a dare una chiosa.
“Ti prego non dirlo…” Cristilde era nauseata.
“… è il male minore”.

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