L’estate era sta calda e afosa ma, quella notte il temporale non la lasciva dormire.
Era lì a fissare il soffitto della sua stanza della taverna, sola, Cecily dormiva, i pensieri erano solo suoi, nel bene o nel male.
Aveva un misto di ansia e preoccupazione come un grosso macigno che le schiacciava lo stomaco. Era passato quasi un anno del quel giorno.
I ricordi erano vaghi e sporadici: la sua casa nel bosco, un sapore dolciastro, il senso di paura, infinita debolezza e incapacità di reagire.
Sognava a volte di camminare nei boschi senza sosta, stremata.
Che cos’era successo quel giorno? Dov’erano i suoi genitori? Che fine avevano fatto?
Provava odio nei loro confronti: perché non avevamo fatto nulla per salvarla?
Provava odio per il padre di Cecily, colpevole quanto loro di tutto quello che le era successo ma, per lui aveva anche un silente rispetto. Almeno aveva fatto tutto questo per aiutare la figlia.
Invece, lei, che genitori aveva ricevuto? lo scarto del genere umano. Come possono una madre e un padre lasciar morire una figlia sola e abbandonata?
Perché trattarla come una bestia, un mostro, picchiarla e farle credere di essere un pericolo per gli altri? Per quale oscuro mistero avevano deciso di relegarla laggiù e di non cercarla mai più?
Certo non era la persona migliore su questa terra, ma aveva fatto anche del bene a volte.
Qui c’erano persone che la rispettavano, che le riconoscevano un valore o forse erano solo maschere i loro volti? poteva fidarsi per davvero?
Amare qualcuno non è cercare di far sentire qualcuno al sicuro, trasmettergli affetto, affrontare con lei le avversità e anche rischiare la vita per quella persona, no?
Aveva voglia di provare a fidarsi, di rischiare, di lasciarsi andare.
Quella vena però pulsava forte, le sussurrava e le accarezzava il viso e le faceva battere forte il cuore; era un sentimento che cresceva forte ogni giorno di più: la vendetta.
Era questo che non lasciava Vidar dormire se non con molti bicchieri di alcool in corpo, era la voglia di vedicare se stessa che non la lasciava libera.
Odiava ciò che era diventata, odiava non poter essere libera, odiava essere troppo debole per fare qualcosa, odiava non sapere, odiava Selina e Tyron.
Selina che le diceva ogni notte prima di dormire quanto era brutta e sporca; che le buttava il cibo in terra chiamandola come un cane randagio; che sputava sul suo viso quando piangeva.
Tyron che la chiamava corvaccio e la scacciava quando la incontrava nella stessa stanza; che le urlava di crescere così sarebbe servita a qualcosa; che usava la cinghia per darle il suo affetto.
Non erano genitori ma i suoi carnefici.
Senza volerlo nè saperlo Vidar stava diventando ogni notte il giudice severo e, a sua logica imparziale, del processo ai suoi genitori.
In quella lunga notte d’estate, tra il battere della pioggia sui vetri, che le era così famigliare, ci fu il verdetto: colpevoli.
Ora doveva solo aspettare di rivedere il suo Alfiere e chiedere di essere il boia della sua liberazione.
San non poteva e non doveva sopportare anche tutto questo. Aveva altro a cui pensare.
La vendetta non poteva aspettare.
Si alzò dal letto, un giramento, si bloccò a fissare la finestra, sentiva freddo e un sapore dolciastro le riempì la bocca. Veleno? Non ebbe i tempo di pensare altro, svenne e un sonno pesante e tormentato la portò a ricordi oscuri.
Cecily al mattino era bella riposata, ignara di tutto quello che era successo quella notte, il sole splendeva alto.