La porta dell’ingresso era lievemente socchiusa, forse per una dimenticanza o forse perchè, nell’irruenza del momento le era semplicemente stato dato un calcio ed ignorata. O forse perché era l’unica cosa rimasta in piedi.
Gli occhi di Astra erano lievemente socchiusi e, ormai, la sua visione del mondo si era limitata ad un colore rossastro. Sentiva il calore del sangue che gocciolava dalla sua fronte, rigava il suo volto candido come fosse un quadro meraviglioso. Lacrimava dalle sue palpebre a piccole gocce, che a loro volta dipingevano le sue guance.
Le labbra di lei saggiavano quello che era il freddo pavimento di pietra, polveroso, aspro. Rilasciavano a loro volta una sostanza di colore purpureo che con una piccola pozza macchiava il resto del suo volto e della mano poco distante. Brillava su di esso il caldo cangiare del fuoco, ma non di una fiamma qualunque.
Un corpo esile, distrutto, seminudo, riverso a terra con il ventre premuto sulla dura e gelida lastra. Una scarpa sulla schiena premeva sui pochi resti di vesti che le erano rimasti a dosso, mentre il suo aguzzino penzolava su di lei.
“Il nostro rammarico, stupidi traditori, è di non aver potuto farlo prima…” sibilò un altro di loro con la sua voce disgustosa, quasi come fosse una cantilena. Insopportabile, mieloso, falso.
“M-mostri… Travestiti da… Umani” Elia cercò, con tutte le sue forze, di sputare fuori le sue sentenze. Era un uomo che mai si arrendeva, mai si lasciava abbattere da chi gli si trovava davanti. Mai e poi mai si sarebbe piegato ad un essere simile.
Un singolo schianto tappò la sua bocca e ne fece uscire un momento dopo un terribile gemito di dolore.
L’imperiale sopra la ragazza pestò con violenza sulla sua schiena, infierendo su quelle che erano le sue ferite. Piegata la sua volontà al dolore, non poteva far altro che inveire contro di lui mentalmente, ascoltando ogni singola provocazione, ogni singolo sfogo.
“Che c’è vuoi invocare il firmamento come quel vecchio? Farai la sua stessa fine, HAI CAPITO?!“ e intanto assestava un altro pestone sulla colonna vertebrale “E’ SOLO COLPA VOSTRA SE SIETE IN QUESTA SITUAZIONE! CI AVETE COSTRETTO VOI!!!” la sua voce era come un eco lontano, distante, impossibile da udire a lei. Percepiva la sua rabbia ovattata, le orecchie le fischiavano e di certo non le interessava sapere che cosa stesse farneticando. Era preoccupata per sua madre, intrappolata sotto le macerie. Di suo fratello e suo padre, stramazzati al suolo con la testa sanguinante, presi di mira dalla violenza dei loro aguzzini. Suo nonno Arthur carbonizzato dall’esplosione della bombarda che avevano tirato dentro casa. Valerian, era stato sgozzato come un animale. Aveva pregato agli astri. Piangeva, a quella vista. Gli occhi le si erano velati di rosso.
I piedi di quel pazzo calciarono ancora e ancora sul suo corpo esile, costringendola a stringere i denti, a soffrire.
In tutto erano in quattro, come i demoni che sedevano sul trono di Falcon, quasi ironia della sorte.
“Quattro Sire un solo Impero!”
Quella sera Elia era più preoccupato del solito. Non riusciva a godersi quella piccola e modesta festicciola, in onore dei ribelli che avevano preso ospitalità presso il suo borgo di Pian dei Gelsi. Le guerriglie si stavano addentrando sempre di più nelle Piane. La gente, stanca dei soprusi, si era unita a una vasta schiera di persone dal continente e dopo un lungo dolore, si scorgeva finalmente un barlume di speranza.
Eppure quella sensazione di imminente tragedia, di sconfitta, non riusciva scrollarsela di dosso. Pesava sul suo petto, dannandosi per non poter fare più di così. Incapace di combattere poteva solo prestare soccorso, vitto e alloggio a tutti quei ribelli che cercavano un nascondiglio sicuro. I oiù in attesa di gruppi più grandi ai quali aggregarsi per prendere d’assalto le truppe imperiali.
Infondo lui non era come Valerian. Era stato un grande condottiero prima di innamorarsi di Luisa e venire a vivere in questo magnifico posto. Tant’è che le memorie delle sue battaglie spesso divenivano oggetto di racconti e intrattenimento in famiglia. La sua fede nel Firmamento era sempre salda, sebbene i tempi e il luogo non permettessero di praticare alla luce del sole.
Quand’era piccolo si sbucciava spesso le ginocchia e suo nonno utilizzava i suoi incanti per guarirlo. D’altronde così aveva fatto per suo padre e ora i suoi figli, così come ogni altra persona del borgo. Quel vecchio era quasi un santo.
Sospirò nervoso e il suo sguardo si fermò su un punto preciso dellaa parete, poco sopra il camino. In quel punto vi era nascosto, merito di un ingegnoso sportello, un bizzarro spadone gemmato. L’inestimabile tesoro di famiglia che si tramandava da infinite generazioni e che pare venisse da un luogo chiamato la ‘Scacchiera’. Sebbene i racconti di Valerian spesso fossero ai limiti dell’assurdo, Elia ci credeva fermamente e sapeva che andava protetta ad ogni costo. Un giorno l’aveva vista brillare, ne era più che certo.
La visita delle truppe imperiali si era fatta sempre più frequente. Sapeva che era solo questione di tempo prima che li scoprissero ma, in ogni modo possibile, quell’era di soprusi doveva finire.
Non vi era musica, ma solo dei canti allegri, quelli che Valerian aveva insegnato e tramandato a tutti. Ora loro i condividevano a loro volta.
J'ai vu 3 bateaux sur la mer, 3 voiles au vent sur l'océan J'ai vu trois bateaux sur la mer au premier matin de l'hiver Le premier bat pavillon blanc, trois voiles au vent sur l'océan Le premier bat pavillon blanc au premier matin de l'hiver
Astra volteggiava di mano in mano, battendo i nudi piedi a tempo sul pavimento di pietra. Il suo leggero abito bianco si apriva come un fiore ad ogni giravolta in questo ballo che veniva direttamente da Valdemar.
Le braccia si incrociavano, i corpi si sfioravano in questa incalzante ritmica. A cingerle i fianchi fu Maksim, della compagnia delle belve notturne. Il Khartasiano era alto e slanciato, con penetranti occhi di ghiaccio che se la rimiravano.
La cale est pleine d'or et d'argent, trois voiles au vent sur l'océan La cale est pleine d'or et d'argent au premier matin de l'hiver Le capitaine est mon amant, trois voiles au vent sur l'océan Le capitaine est mon amant, il a fait le tour de la Terre ♪
I due si sorrisero con complcità. Quanto avrebbe voluto passeggiare di nuovo con lui per le distese di gelsi tenendolo per mano. Fu un fragile e cedevole passo di danza nel quale ebbero modo di incontrarsi, scontrarsi in un inibizione fatta di sguardi e mal celate passioni che Astra arrossiva ogni volta al pensiero. Si sentì per un momento una foglia spirata da quel caldo vento umano cui volto accarezzò con morbida cupidigia. Le mani di lui erano calde sulle sue sue guance. Lo sarebbero state anche le sue labbra?
Chantez, dansez, vous sur la terre Sonnez, sonnez, carillonnez Chantez, dansez, vous sur la terre Celui que j'aime est arrivé J'ai vu trois bateaux sur la mer Trois voiles au vent sur l'océan J'ai vu trois bateaux sur la mer Au premier matin de l'hiver.
Erano così vicine che quasi potevano toccarsi, sfiorarsi, desiderarsi, amarsi. Avrebbe baciato qualcuno per la prima volta e il suo cuore era così agitato che quasi non sentiva altro.
“Non lo farò se non vuoi” sussurrò su di lei, facendola tremare dall’emozione “ma sappi che questa notte, quando mi assopirò, sognerò il bacio che non ho potuto darti.”
“E’ l’unica cosa che voglio adesso” rispose senza indugi, chiudendo gli occhi.
Le labbra di Maksim stavano per posarsi sulle sue, quando i canti cessarono all’improvviso.
Prima un fischio sinistro e subito dopo il boato. Il tetto dell’abitazione crollò sotto un pesante bombardamento magico. Dalle finestre volarono sfere esplosive che colpirono i presenti più prossimi e così fecero alcinacci e detriti.
Astra venne scaraventata via da Maksim che cadde a terra sotto il fuoco delle armi. Urlò.
I crani delle persone venivano sfondate da giganteschi pezzi di tetto. I loro toraci divelti dalle travi. Torce mane rotolavano a terra nel vano tentativo di salvarsi la vita, mentre chi sopravviveva alle macerie veniva trafitto da colpi di archibugio o di spada. Per le strade il fragore di una battaglia, le grida agghiaccianti delle persone. Ancora esplosioni. Un gigantesco incendio invase Pian dei Gelsi.
Astra gridò mentre si lanciava sul fratello, provando a tirare via i detriti che lo avevano investito. Lì accanto vi era anche suo padre, Elia e il suo bisnonno, Valerian. Erano ancora vivi. Pianse.
“Gli astri ci aiutino…” il vecchio allungò le mani, con le ultime forze che gli erano rimaste, per provare a salvare qualche vita, ma non vi riuscì. Una lama, veloce come una saetta balzò sulla giugulare, aprendola da parte a parte. Fiotti della sua linfa investirono i presenti, mentre una risata agghiacciante calò sul luogo.
Un calcio la investì in pieno volto.
Il buio.
Continuava a rivedere quella scena, ancora. Ancora. Ancora e ancora.
Le mani diell’uomo che raggiungevano i suoi capelli. Di come li tirava, tenendola bloccata con il suo peso, serrando il coltello alla gola. Astra, con le forze rimaste tentò di dibattersi, gridando, pregandolo di non farlo.
Cercò di ribellarsi e tirarsi su, ma venne presto ributtata a terra con un altro pugno, girata a pancia in su, mentre un dolore insopportabile la pervadeva in ogni singolo centimetro del suo corpo e della sua stessa anima. L’imperiale la trattenne, stringendola per i polsi, mentre questa dibatteva le gambe con l’ultima scintilla di ribellione, tossendo sangue.
“Quella feccia della tua famiglia sta morendo…”
“Ehi, cretino aiutarci a cercare, deve essere da queste parti!” gridarono gli altri imperiali ma lui era come non li stesse ascoltando.
“Perché prima di morire non fai divertire anche me?” la sua voce risultava sempre più distante e ovattata.
Perse i sensi.
“Ary! Ary coraggio!”
Qualcuno la chiamava. Una voce familiare, rassicurante. Suo padre la stava portando in braccio fino alla vecchia cantina, zoppicando più velocemente che poteva, seguito da Vensen. Quest’ultimo in entrambe le mani reggeva quel gigantesco spadone gemmato di cui si parlava tanto in famiglia.
“Padre… che cosa…” aprì gli occhi e si sentiva meglio rispetto a prima, seppur il suo corpo fosse ancora martoriato da grosse ferite. Sospettò fosse stato suo padre. Aveva imparato le stesse preghiere di Valerian ma nella loro forma più basilare.
“Sono arrivati altri ribelli diretti a Falcon, vengono dai boschi. Ci hanno salvato la vita.” tagliò corto Vensen mentre camminava con un’andatura barcollante, tremando di paura.
In sottofondo si udivano ancora le esplosioni, il fragore della battaglia, le grida di terrore e dolore. Il suono della morte stessa.
“Non c’è tempo per questo adesso, presto!” Elia aprì una botola sotto le scale della cantina e fece scendere Astra, assicurandosi che potesse camminare “Percorrete la strada fino in fondo, arriverete a Colleluna, è la vostra unica speranza!”
“Nostra?” Astra non capiva
“Prendete anche la spada, dovete portarla più lontana possibile dagli imperiali” aggiunse indicando l’oggetto portato da Vensen.
“Padre, tu vieni con noi, non è vero?” sentiva gli occhi che le si stavano riempendo di lacrime. Tutto avrebbe voluto udire tranne le parole che suo padre le disse dopo averli abbracciati entrambi “Il mio posto è qui, a combattere per un mondo dove possiate vivere liberi e dormire senza paura sotto l’ombra di un albero di Gelso.” il suo sorriso era sincero e genuino. I suoi occhi arrossati tradivano le sue reali emozioni.
Vensen piangeva a dirotto, mentre Astra scuoteva suo padre chiedendo perché, di lasciar perdere, dicendogli che non ce l’avrebbero fatta senza di lui. Non sapevano dove andare e cosa fare.
Elia le fece una carezza sul volto prima di spingerli giù dalla botola, sigillando la chiusura.
“Prendi quella spada e cerca il tuo destino, Astra Ariadne”
Luce, dove sei? Stai ancora brillando, da qualche parte? Se sì, allora perché non sento più il tuo calore? Perché il buio mi avvolge, come una coperta soffocante?
Sospirò stringendo a sé il grande spadone, fuori dalle porte del Bivacco. In qualche modo quelle immagini si erano stampate per sempre sulla sua retina. Ogni volta che si rideva, si cantava e si ballava, quelle immagini tornavano ai suoi occhi come fosse spettatrice dei suoi stessi eventi, incapace di abbandonare la scena. Costretta a continui ed inevitabili repliche, mentre il dolore si insinuava dentro il suo cuore stanco come un parassita intento a nutrirsi.
Il suo umore calava col salir della sera e tutto iniziava da capo quando a brindisi e canti, si univano le risate nei luoghi al coperto. Ogni volta il tetto crollava nuovamente e riviveva il cranio divelto di sua madre Iuno, il sangue a fiotti dal collo di Valerian e le fiamme, le esplosioni, le grida. Le sembrava ancora di sentire l’odore delle viscere bruciate, la pressione di quel piede sulla schiena.
Un triste spettacolo dove il sipario non voleva calare. Un teatro dove il buio regnava sovrano e la luce non esisteva.
“Ancora quelle visioni?” fece Filomena uscendo e chiudendo la porta dietro di sé. Lo sguardo evidentemente preoccupato, ma calmo “Vuoi che ti faccio compagnia?”
Ne avevano già parlato, assime c’era anche Lucius. Non era facile spiegarsi a parole e dagli un significato, per questo era sempre rimasta sola in balia di sè stessa, cercando conforto nell’ultimo oggetto legato alla sua famiglia.
Astra abbassò la testa. Un flebile sorriso le increspò le labbra “Non vorrei intristirti…”
“Mi hai già intristito.”
“Ah.”
“Se non vuoi la mia compagnia, almeno vuoi bere qualcosa?” chiese Filomena mostrandosi fintamente seccata.
Astra ci pensò su. Forse pure troppo e alla fine l’altra esordì “Và bene, allora porto tutti fuori!”
“Come?! In che senso tutti fuori?!”
“Nel senso, tutti fuori, che c’è da capire?” ripose sorridendo la bella ragazza del Sud, con una semplicità e naturalezza che sarebbero sembrati quasi allarmanti ad estranei “Così facciamo un bel Concilio che piace tanto a Sigrun, nasce un po’ di discussione, finisce la voglia di festeggiare, ma almeno due risate ce le facciamo! E con la scusa Lucius ci dà due caramelle!”
Non lasciarti andare! Non adesso! Dentro di te, tu sai che il buio non esiste! Il buio è un’illusione! Un inganno! La realtà è ancora lì, davanti a te!
Astra sorrise genuina. La spade brillò di un rosso vivo.
“Non facciamo finire tutto in tragedia. Beviamo qualcosa assieme!”
E finalmente si chiuse il sipario.