Giorno Dodicesimo della Luna degli Elementi del XXIV Anno E.R.
La porta si schiuse con un cigolio e nella penombra della stanza scivolò una figura avvolta in un manto damascato: il passo incerto e le labbra tremanti mal celate dalla maschera che ne copriva per metà il volto.
La luce tremante delle torce delineava un’ombra austera in piedi di fianco alla finestra dalla parte opposta della sala di marmo e granito. Sebbene fosse calato da poco il tramonto dal cortile giungevano ancora rumori metallici e ordini ruggiti come sferzate.
Il nuovo venuto si prostrò sul pavimento gelato tentando di contenere il terrore che gli stava azzannando la nuca. Una domanda gli ronzava in testa assordando ogni altro pensiero:
“Perché sono qui?”
Senza distogliere lo sguardo dalla vetrata una voce bassa e roca scivolo attraverso la sala dalla figura eretta:
“Se ur beatha mah edel. Vi prego di allontanarvi dal pavimento prima che i miei cani vi scambino per il loro rancio.”
Il nobile minore si accorse solo allora dei tre grossi segugi neri che dormivano nei pressi dell’imponente focolare scolpito e barcollando si issò in piedi senza tuttavia riuscire a raggiungere una posizione dignitosa per un nobile sathoriano. Poi inumidendosi le labbra essiccate balbettò:
“Mi avete convocato mah mhìle stòr Vonhem?”
“Corretto mah edel. Rispondete al nome di Mastro Curio Sabazio Asparta non è vero?”
Dicendo questo il Vonhem si voltò, fissando l’interrogato da dietro una inespressiva maschera di metallo temprato che gli copriva interamente il volto. I due teschi metallici appuntati sulla spalla sinistra dell’uniforme della Bàs-Armtha brillarono per un istante alla luce del focolare morente.
“Esatto mah Vonhem…”
La voce dell’edel mal celava il terrore che stava divorando l’anziano spettabile, che non seppe risponder nulla di più alla risposta. Seguì un lungo, immobile silenzio.
L’ufficiale consumò a lenti passi la distanza che lo separava dalla massiccia tavola scolpita davanti al focolare, i suoi passi echeggiarono nel silenzio come colpi di maglio. La maschera metallica si abbassò su alcuni fogli sul tavolo.
“Tra le informazioni che ho richiesto all’Uffizio Inquisitorio vedo che prestate servizio da anni in qualità di cerusico e consigliere presso il Barone di Forranera Abrham Ludovico Oricalchi. È corretto?”
“Bha mah Vonhem.”
“Cart go leor…” Sussurrò il militare prendendo posto sulla massiccia poltrona posta tra il tavolo e le braci del camino, che facevano sì che la sua figura mutasse nuovamente in una scura ombra poggiata alla spalliera dell’imponente seggio. La sagoma della sua mano fece un ampio gesto verso uno dei due sedili che fronteggiavano la parte opposta della tavola.
“Vi prego, sedetevi.”
La frase venne pronunciata più come un ordine che non come una vera richiesta.
Rimasto fino ad allora ad un passo dalla porta il vecchio edel barcollò lentamente in avanti fino a sedersi di fronte all’ufficiale, le mani sudate incrociate sul grembo per celarne il tremore e il cuore che gli batteva in petto come un tamburo.
“Non avete nulla da temere Mastro Asparta, non è la vostra persona il motivo per cui siete stato convocato né ciò che siete o rappresentate evidenzia in alcun modo un interesse per la Bas-Armtha, tantomeno per la mia compagnia… Ma vi prego, servitevi pure.”
Seguendo l’arco della mano del suo interlocutore lo sguardo dell’edel si adagiò su di una brocca e due calici posti ad un lato della lunga tavola. Non trovando il coraggio di disobbedire al cortese imperativo del suo ospite lo spettabile Asparta afferrò un calice e vi versò un po’ del contenuto della brocca.
“Slàinte mah edel. Alla lealtà alle Sette Corone.” Gli sussurrò il nobile maggiore prima di concedergli con un gesto svogliato il diritto a bere senza di lui.
L’edel si limitò a bagnare le labbra nel vino del calice e a pregare dentro di se che non vi fosse sciolto del loto nero…
“Tuttavia, come stavo dicendo,” Riprese l’ufficiale cercando tra alcuni dei fogli sparsi sul tavolo: “sebbene voi non siate di alcuna rilevanza in ciò che interessa la Compagnia, sono sicuro che mi possiate dare tutte le informazioni che necessito riguardo gli individui che per tanti anni avete servito: il Barone e la Baronessa di Neraforra: Don Abrham Ludovico Oricalchi e Lady Eléna Sibilla Oricalchi.”
“Onorato di servirvi mah Vonhem.” Sussurrò l’Asparta in parte sollevato di non rappresentare il soggetto della conversazione.
“Dunque, da dove possiamo cominciare?” Il membro della Compagnia aveva infine recuperato un foglio con alcuni appunti e postoselo innanzi lo stava scorrendo con lo sguardo: “Leggo qui che Don Ludovico non vanta alcuna discendenza. Nasce paria. Mi sbaglio?”
Da dietro la maschera gli occhi dell’ufficiale affondarono adesso su quelli dell’edel e vi rimasero come gli strali di un cacciatore su di una preda.
“Non vi sbagliate mah Vonhem: entrai a servizio di Don Ludovico quando già era entrato in possesso del titolo, pochi anni prima della caduta di Falcon; egli era originario di Wbrez ed era emigrato da ragazzo a Falsim dove aveva lavorato per anni a Port Jenulf come intagliatore di pietre preziose: era raro che carichi di gemme grezze o meno non passassero tra le sue mani per essere lavorate o riciclate durante il periodo della ribellione, dall’entroterra come dal mare; e in pochi anni riuscì ad accumulare un patrimonio tale da permettergli di fare ritorno in patria e comprarsi il blasone della casata dei funzionari del Banco Longini.”
“Cart go leor… L’acquisizione del titolo baronale da parte di Don Oricalchi risale dunque ad un secondo momento…”
“Bha milord, egli lo ottenne a seguito delle nozze con lady Sibilla. Il padre della Baronessa era infatti il celebre Claio-Fear della Nube Nera Lord Adam Furio Oricalchi, che aveva ottenuto il baronato di Forranera per meriti militari e lo aveva ceduto intermente alla sua unica figlia, la cui madre era ignota, e alla quale teneva più di ogni altra cosa al mondo. Durante gli ultimi anni della guerra Lord Adam aveva radunato sotto il vessillo del proprio battaglione tutti i più sanguinari e devoti figli dell’Impero all’interno della Bas-Armtha e conduceva una caccia spietata alle sacche ribelli presenti nelle Contee d’Oriente contro coloro che miravano alla caduta dei Quattro. Il suo operato non era tuttavia visto di buon occhio da molti Vonhem delle Sette Corone, primi fra tutti i Lord Banchieri del Banco Longini, (preoccupati di prender una posizione così netta in un momento di così epocali capovolgimenti) che negarono la sua richiesta di un ingente prestito monetario per finanziare armi e vettovagliamenti per il suo battaglione, conosciuto al tempo come “I Mastini del Diavolo”. Don Ludovico approfittò della situazione per accordare invece un ingente prestito esente da interessi al Claio-Fear in cambio del matrimonio con la figlia e del titolo baronale. Di lì a breve io seguì dunque il Barone Don Ludovico presso Forranera mentre Lord Adam venne assassinato poco dopo presso Orirocca e i suoi Mastini vennero sciolti.”
Seguì un breve silenzio. Il Traen-Fear dall’altra parte del tavolo aveva lievemente annuito durante le ultime parole di Mastro Asparta:
“Rammento quell’evento.” Asserì poi l’ufficiale. “Il grado di Claio-Fear fu trasferito poco tempo dopo al fratello di Adam: il Barone Curzio Oricalchi, attuale comandante della Quarta Compagnia, e rammento anche che alcune malelingue attribuirono la dipartita di quel “cane sciolto” di Lord Adam al suo più stretto consanguineo. Ma non è per questo che vi ho fatto chiamare Mastro Asparta. Torniamo ai Baroni di Forranera. Ebbero discendenti?”
Il Trean-Fear pronunciò quest’ultima domanda in maniera molto lenta, poggiando i gomiti sull’ampio tavolo e affondando ancora di più gli occhi sull’edel dall’altra parte, che bevve un sorso dal boccale per bagnarsi la gola completamente arida.
“Bha mha Vonhem, uno.”
“Parlatemi di lui.”
L’Asparta dovette prender un grosso respiro prima di cominciar la parte della storia che evidentemente più interessava al militare che gli stava di fronte.
“Fui io a farlo venire al mondo, ricordo quella notte come l’avessi vissuta ieri; Falcon era caduta un anno prima e pioveva, pioveva come non ho mai visto piovere da quando sono venuto al mondo: la madre bestemmiava e rideva contorcendosi nel letto sudato e sanguigno e un fulmine illuminò la finestra quando estrassi il bambino. Non avevo mai visto niente di simile, quel neonato, sano e perfetto sotto ogni altro aspetto mi fissò con un paio di occhi venuti fuori dal più basso infero di Orione: le iridi erano verdi-dorate e attorno ai bulbi oculari la pelle del volto era ricoperta di grosse vene rosse e bluastre, come se fosse nato già con indosso la più orrida delle maschere. Quando tremando consegnai il bambino nelle braccia della madre tuttavia ella sembrò non stupirsi affatto della deformità del bimbo, anzi lo strinse al petto ridendo di gioia e salmodiando in una lingua a me ignota. La follia di Lady Eléna era infatti una diceria comune fra i servi e gli attendenti del maniero ma dubito che nessuno l’abbia mai vista come la vidi io quella notte…”
“E il Barone? Come prese la notizia della deformità del figlio?”
“Male mha Vonhem. Il Barone non riuscì mai ad affezionarsi al proprio primogenito, lo considerava uno scherzo della natura, uno spregio fattogli volontariamente dalla consorte che non lo aveva mai veramente accettato come sposo e della quale non condivideva affatto le fanatiche e vetuste ideologie e credenze; così quelli che erano sempre stati i dissapori tra lui e la folle figlia di Lord Adam si videro largamente peggiorati dopo la nascita del loro erede. Lady Sibilla al contrario sembrava amare il bambino come una propaggine di se stessa, i due erano inseparabili e morbosi e non passò molto tempo prima che il piccolo manifestasse molti degli aspetti insani e blasfemi della madre, e il loro rapporto era tanto malato che non mi stupirebbe se il ragazzo avesse avuto i propri primi rapporti carnali con la sua genitrice. Il Barone volle che fossi io l’istitutore del bambino, ma nei pochi casi in cui provai ad avvicinarlo in tal senso trovai in quel piccolo demonio un’intelligenza innaturale per la sua tenera età, e sovente fui costretto dal suo semplice sguardo, in maniera a me incomprensibile, a obbedire ciecamente a suoi degradanti e capricciosi ordini; tale incresciosa situazione non durò tuttavia molto dal momento che dopo poco tempo Lady Sibilla mi proibì di insegnare alcunché al figlio e si volle assumere interamente la responsabilità della sua educazione. Il bambino crebbe così in un universo distorto di culti misteriosi e miti dell’Età Imperiale divenendo giorno dopo giorno più sadico, crudele e intollerante verso tutti coloro che reputava inferiori. Me e il padre compresi.”
“Quale era il nome del bambino?” Il Trean-Fear porse questa domanda in un sibilo.
“Il padre gli affibbiò un nome carico di disprezzo. Lo chiamò Rubio, a causa del colore sanguigno che gli incoronava lo sguardo.”
“Rubio…” Ripeté l’ufficiale in tono deluso: “E questo Rubio Oricalchi dovrebbe dunque avere adesso poco più di una ventina d’inverni. Dimora ancora presso Forranera?”
“Oh no mha Vonhem. Pochi anni dopo la nascita del Baronetto gli eventi presso Forranera precipitarono. Il Baronetto non aveva ancora visto dieci inverni che la madre si ammalò gravemente e venne costretta a letto per molto tempo prima di spirare. Fui io a prendermene cura durante il decorso del morbo, e nulla mi potrà mai togliere dalla mente il fatto che il piccolo Rubio sia convinto che sia stato io, su ordine del padre, ad avvelenare ed infine uccidere la madre. Ricordo che una volta, mentre scioglievo delle erbe negli infusi della donna nel corridoio, fuori dalla stanza della Baronessa, scorsi il Baronetto immobile nella penombra del corridoio, a fissarmi in modo glaciale dietro la sua piccola mascera rossa e oro. Poi, senza proferir parola, mentre la mia mano tremava, mi puntò il dito contro e sparì nell’ombra del corridoio. Quell’istante ancora perseguita i miei sogni.”
Il Trean-Fear fissò l’Asparta in un interminabile minuto di silenzio, durante il quale Mastro Curio capì che l’ufficiale aveva inteso molto più di quanto le parole che aveva appena sentito intendendessero celare: la verità.
“Continuate.” Sussurrò tra i denti il membro della Compagnia.
Un brivido salì la schiena dell’Asparta, evidentemente i propri peccati non erano davvero di alcun interesse per il militare. Sembrava fosse interessato solo al Baronetto.
“Pochissimo tempo dopo la dipartita della Baronessa Don Ludovico si ritrovò ad intrattenere un rapporto assai privilegiato con una giovane cameriera del Maniero, una paria senza alcuna genealogia che presto con la sua innocenza conquistò il cuore del Barone. La malelingue vollero che la relazione del Barone con la damigella fosse cominciata ben prima della dipartita della nobile consorte. In ogni caso gli anni galopparono e in breve la paria mise alla luce il figlio illegittimo del Barone, al quale venne dato il nome di Isaak e che veniva trattato, sebbene servo, come un principe all’interno del maniero per volere del Don, mentre il primogenito del nobile, additato come un folle mostro soffriva della più infinita delle solitudini vagando tra le stanze appartenute alla madre e tenuto lontano dal nuovo infante della casa. Poi, quando il giovane Rubio stava vivendo gli ultimi anni della sua pubertà e il piccolo Isaak aveva già veduto quasi dieci inverni sibilò nel castello la voce che Don Ludovico intendesse fare della serva la propria nuova consorte, elevandola al rango di nobile e riconoscendo il piccolo Isaak al posto dell’odiato primogenito il diritto di eredità della propria casata.”
Il vecchio Asparta bevve due lunghi sorsi scolando interamente il liquido nel boccale prima di giunger al disperato atto conclusivo del proprio resoconto.
“Quello che accadde dopo venne poi insabbiato e tentato di dimenticare in ogni modo. Molti dei fatti accorsi sono tuttora avvolti nel più profondo mistero ma quel che avvenne fu che una notte, poco prima delle nozze che avrebbero reso lei e la sua genia di stirpe nobiliare, la giovane paria venne trovata ai piedi della più alta torre del maniero. Il suo corpo sembrava una bambola rotta molti metri sotto il balcone dove ogni notte soleva andare a pettinarsi i capelli alla luce della luna. Quella stessa, dolorosa notte Rubio Oricalchi e il piccolo Isaak scomparvero e non vennero più trovati, e con loro si dissipò la genia del Barone Abrham Ludovico Oricalchi, che adesso vive a Forranera arroccato nel più cupo dolore e nel più tragico terrore, dal momento che quella stessa notte, svegliato poco prima dell’alba dalle urla dello stalliere che per primo aveva rinvenuto il cadavere della sua promessa sposa, egli trovò, scritto con del sangue nello specchio del salone del maniero sul quale davano le sue stanze, la scritta: MIGH TU.”
Mastro Curio concluse e abbassò il capo. Seguì un lungo silenzio. Il resoconto parve terminato.
“I due ragazzi vennero cercati? La Compagnia non venne mai informata di questi eventi. Perché?”
Il tono del Trean-Fear era divenuto un ringhio.
“Don Ludovico volle che tutto ciò che accadde passasse come un incidente. Egli era convinto che Rubio avesse rapito il giovane Isaak come garanzia, o come sommo affronto nei confronti dell’odiato padre. Fatto sta che le poche notizie che giunsero furono che qualche mercante proveniente da Bennaithe aveva visto un giovane edel seguito da un bambino dirigersi verso la costa del golfo di Saluska. Don Ludovico si limitò a ripudiare al figlio qualsiasi diritto ereditario, relegandolo al titolo di Sir. Poi il suo nome e quello della madre furono banditi all’interno delle mura di Forranera. E nulla di tutto ciò è cambiato fino ad oggi. Questo avvenne quasi dieci anni fa, ed è tutto quello che so a riguardo mha Vonhem.”
L’ufficiale trasse un profondo sospiro e si appoggiò allo schienale del sedile con le mani giunte di fronte all’inespressivo simulacro di un volto.
“Cart go leor mha Edel. Potete andare. Slàn.”
L’Asparta si issò faticosamente e imitò un goffo inchino. Poi si diresse verso la porta.
Si fermò di colpo a metà della sala.
“Un’ultima cosa che potrebbe esser di vostro interesse Maresciallo Fergus: Rubio non era il nome che Lady Sibilla usava per chiamare il figlio, ella aveva scelto per lui il nome di uno dei figli del Tentatore, un demonio che probabilmente ella venerava e che si fregiava di un nome antico: Ysh’Mahel.”
Il corpo del Trean-Fear si irrigidì un momento: “Andate.” Intimò.
Dopo che l’Asparta fu scivolato fuori dalla buia sala e la porta si fu chiusa alle sue spalle il Maresciallo Fergus Pietrasanta si sciolse la maschera e la ripose sul tavolo. Girò poi la poltrona verso il focolare morente e accesosi la pipa ne tirò due larghe boccate sbottonandosi la giacca dell’uniforme e sfiorandosi le fasciature che gli coprivano le ferite all’addome. Poi, fissando i carboni agonizzanti sussurrò:
“Ysh’Mahel… Ismael.”