OPHELIA
Fu la prima ad alzarsi dalla panca su cui era rigidamente seduta, accanto ai suoi tre figli, e al nipote Garreth. Si diresse con passo fermo fino in cima alla navata, per tenere il tanto atteso discorso. Doveva farlo, anche se detestava essere al centro dell’attenzione. Ophelia si avvicinò piano al feretro del marito, aspettando che la folla, raccolta in lutto, prestasse attenzione. Il suo sguardo si soffermò, ancora una volta sul volto dell’uomo, che aveva acquistato, ormai, quel pallore vitreo che la donna aveva imparato a riconoscere sui visi di amici e conoscenti, ormai andati.
Piano, col dorso della mano, accarezzò la barba scura, sorridendo appena. Poi, voltandosi verso gli astanti, sospirò; guardò prima la sua famiglia, in prima fila, poi tutti gli altri, e con voce ben chiara, iniziò a parlare.
“Cosa potrei mai dire su Erik Mac Dussel, che voi non abbiate già sentito, o visto? Quali altre mirabili gesta dell’Orso potrei mai raccontarvi, che potrebbero ancora suscitare clamore e stupirvi? Credo nessuna.
Per chi ha solo udito delle sue gesta, Erik è un grande.
Per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, Erik è l’eroe di Gardan.
Per i pochi, che hanno avuto l’onore di dividere la vita con lui, Erik è un padre.
In quanti pezzi si può dividere il cuore di un uomo? Erik era riuscito a trovare nel proprio un posto per ognuno di noi: per i suoi figli, per sua moglie e per il suo popolo; per tutti quelli che oggi, qui, non mi vergogno di chiamare famiglia.
Se siamo qui, tutti insieme a rendere omaggio all’Orso di Gardan, è proprio perché le sue gesta ci hanno permesso di sopravvivere e di far continuare a far prosperare la nostra amata patria.
Noi siamo la prova vivente che Erik non morirà mai: il suo cuore si è fermato, ma il cuore di Gardan continuerà a battere!”
La donna chinò un attimo la testa, si asciugò una lacrima furtiva con il dorso della mano e poi riprese più sicura di sè.
“Troppe lacrime ho già versato ad Hellbron…non voglio versarne più. Voglio che i miei occhi siano asciutti quando guardo voi.. – si soffermò prima su Logan, Erika e Cameron in prima fila, su Garreth e poi su tutti gli altri – … figli miei; perché senza vergogna posso dirvi che ciò che mi riempie il cuore adesso non è dolore…ma orgoglio!”
Ophelia continuò per un po’ a parlare; terminato il discorso si accostò al feretro e lasciò sopra il petto dell’uomo, all’altezza del cuore, tre ciocche di capelli intrecciati, ognuna appartenente ad uno dei figli.
Tornata a sedere, Cameron, il figlio più piccolo, le si avvicinò all’orecchio e sussurò – Mamma, perdonami…mi dici quand’è che hai deciso di sposare papà? –
Ophelia sorrise, cingendo il ragazzino con un braccio, mentre il ricordo le tornava veloce alla memoria…
***
-Guardati, bimba mia, sei raggiante!
La madre di Ophelia danzava letteralmente intorno alla figlia, intanto che le sue mani volteggiavano piene di nastrini e perle. Con gli occhi lucidi e gonfi di orgoglio, guardava con amore la ragazza, ferma immobile, davanti allo specchio della stanza da letto.
Orribile. Era stata una giornata ORRIBILE.
Ophelia era stata svegliata all’alba da Ailay, la tuttofare di sua madre, che urlando come un fagiano rincorso dai cani, l’aveva tirata giù dal letto!
-In piedi signorina in piedi! E’ un giorno importante!!!
Ophelia era ancora intontita dal sonno quando fu presa per le braccia e lanciata in mezzo al tappeto, con pochissima grazia (Ailay era un donnone nerboruto che aveva tirato su praticamente tutti bambini delle catacombe, sapeva come essere persuasiva). Un giorno importante? – pensò- che giorno importante poteva essere… oh no! Se n’era quasi dimenticata! Il Banchetto della Vittoria!
Due giorni prima, la U-Halwyrer aveva avuto ragione su un gruppo di mercenari falconiti che avevano occupato l’avamposto più a Nord delle cime Guardiane. Era stata una battaglia dura, ma alla fine Erik MacDussel e i suoi uomini erano riusciti a trionfare! E Ophelia era lì con loro! Ah che sensazione divina aveva provato! Finalmente aveva potuto sfoggiare la sua nuova arma, Spaccatenebra l’aveva chiamata! Era un regalo di David, e, decisamente, il giorno dell’assedio gli aveva dato la giusta inaugurazione! Aveva diviso in due la testa di uno sgherro, rotto la cassa toracica ad almeno altri tre, e uno sarebbe tornato a casa senza la mascella con la lingua che penzolava dai denti come un pezzo di carne secca! Che soddisfazione! Poteva ancora sentire il braccio vibrare quando il colpo aveva colpito l’osso e…
-Su su bellezza! Comincia a farti un bel bagno e poi corri a fare le prove per la cena nelle cucine!! –
…e poi c’era il banchetto. Era uso a Gardan, festeggiare le grandi vittorie con le giuste celebrazioni goliardiche i giorni seguenti. E questa era una cosa buona ma…ma stavolta no. Stavolta sarebbe stata una tortura!
Niente canti scurrili, niente birra a fiumi che scendeva sull’armatura ancora zuppa di sangue e terra, niente risate sguaiate su battute sconce. No.
Senza ribattere, Ophelia si stiracchiò un attimo e si avviò strascicando i piedi verso la sala da bagno. Era inutile discutere, avrebbe solo prolungato l’agonia. Nulla poteva fare per combattere il sommo volere…di sua madre!
Con lo sguardo triste, lanciò un’occhiata a Spaccatenebra, appoggiata vicino alla testiera dl letto. Niente allenamenti oggi, amica mia… oggi devo…lavarmi.
Tra le altre cose. Si perché sua madre aveva deciso che quella sera sua figlia sarebbe dovuta essere una vera donna.
– Ormai sei grande, Ophelia! Lascia stare tutte quelle scorribande con quei pazzi furiosi e capisci bene come si comporta una vera madre di famiglia! Devi cominciare a pensare alle cose importanti! Come la famiglia, i figli e…-
Erik. Sinceramente non riusciva a pensare ad altro negli ultimi tempi.
Ripensava al primo momento che l’aveva incontrato.
Una sera di qualche mese prima, aveva seguito David ad un raduno degli U-Halwyrer senza farsi vedere, e ci sarebbe anche riuscita se non fosse stato per quell’elfo scarmigliato. L’aveva notata subito e addio copertura. David si era infuriato talmente tanto che aveva fatto finta di non conoscerla per tutto il tempo! Ma ormai era tardi, erano quasi arrivati all’accampamento e sarebbe stato pericoloso rimandarla indietro da sola. E così ce la fece. Vide lui. Erik McDussel.
Com’era bello! E forte! E sudicio!
La scena al campo era surreale: Erik circondato dai suoi compari, che battevano le mani e lo incitavano, si stava rotolando per terra, tentando di bloccare a mani nude un montone di dimensioni epiche. Il ragazzo lo stava tenendo fermo per le corna, con una mano intorno alla gola mentre con l’altra stava cercando di bloccargli le zampe. La lotta durò un po’, la bestiola era riottosa e non aveva voglia di farsi sottomettere, poi la cosa divertiva gli astanti quindi, perché fermarsi. Poi a un certo punto, il montone con un ultimo sforzo riuscì a liberarsi e provò a caricare puntando allo stomaco di Erik…che non la prese bene. Stanco di giocare, gli affibbiò un cazzotto a mani unite talmente forte sulla testa da far cadere la bestia a terra priva di sensi.
Boato. La folla in festa.
Ophelia era estasiata.
– Congratulazioni Erik! – disse Sir Nathan, l’elfo con gli occhi lunghi.
– Bel lavoro mio signore…se vi piacciono le zuffe da ragazzini! – lo apostrofò una donna bellissima, Yara si faceva chiamare
– Ben fatto, amico! Anche se io ci avrei messo metà del tempo! – disse quello che si sarebbe rivelato Alan, con un ghigno di scherno.
– Beh allora la prossima volta manderemo te a cercare un bel montone grasso, peccato che l’ultima volta dentro le tue fottute buche non ci sia caduta che una misera lepre sciancata! Ah ah! – Erik lo schernì con un pacca sulla spalla, poi si girò verso David – Hey giovane Kerr, chi è questa bambolina? Mi hai portato il premio per la vittoria?
– Beh è carina davvero…- Alan aggiunse squadrandola dalla testa ai piedi
– Fatti indietro Alan, sai che non mi piace dividere la roba-
STUD!
Le mani di Ophelia si mossero da sole, per colpire le spalle forti di Erik che, preso alla sprovvista dallo spintone, si ritrovò a battere una sana schienata a terra.
-Mi chiamo Ophelia. E sono qui per combattere. Non sono la roba di nessuno.
Tutti si ammutolirono e guardarono in direzione di Erik, che, esplodendo in una risata, si alzò e spolverò via un po’ di fango dai calzoni già luridi.
-Però, che carattere la signorina! Hai visto Nathan? Impara qualcosa va…-
Il ragazzo si allontanò scrollando il capo, avviandosi verso il montone, che sarebbe poi diventato la cena.
Gli altri lo seguirono, facendo strada ad Ofelia verso il falò.
Era dentro! E mai aveva desiderato qualcuno come in quel momento…
-…e poi ci sono gli obblighi verso il clan, è qui che si vede una vera signora, quando anche in un momento buio come questo riesce a mantenere la fermezza e il decoro che sono obbligatori…-
Sua madre aveva continuato ad assillarla per tutta la giornata; aveva parlato talmente tanto, che alla fine Ophelia aveva detto si. Si, va bene. Sarebbe andata al banchetto come una vera signora. Si sarebbe vestita da signora, e si sarebbe comportata da signora. Bastava finisse quella lagna.
E così, dopo un pomeriggio travagliato, fatto di bagni, cambi d’abito, galateo a tavola e trecce…infinite trecce, si ritrovava lì, vestita di tutto punto con sua madre che la infiocchettava come un pacco regalo.
-Tesoro, sei così bella! Perché non ti vesti sempre così?
-Perché non posso spodestare Falcon in gonnella mamma…
-Ancora??!! E lasciala spodestare agli uomini! Dobbiamo pensare al tuo futuro cara!
-Ci penso al mio futuro maledizione! Come penso a quello di tutti! Dobbiamo smettere di nasconderci se vogliamo annientare-
-Annientare, annientare, annientare! Non sono parole adatte ad una lady queste! Devi cercare di comportarti un po’ meglio, ragazzina!
– Non sono una ragazzina mamma! Mi alleno ogni santo giorno da anni, ho partecipato anche io a quella battaglia, è grazie anche a me se stasera festeggiamo! E tu mi infioretti come se fossi una principessa del caz-!
La madre la fulminò con lo sguardo. – Farò finta di non aver sentito. Non voglio un’altra parola su questa storia. E stai dritta con la schiena. –
-Le tue scarpe sono piccole, mi fanno male i piedi. –
– Non sto ascoltando…- La donna si allontanò con passo svelto. Ophelia si guardò per un’ultima volta allo specchio.
Effettivamente, non stava poi così male. Il lungo vestito verde con le maniche bianche le donava luce al viso, e riprendeva il colore degli occhi, appena truccati. I capelli raccolti in trecce, un ciondolo d’oro al collo.
Si sentiva bella. Peccato per il bustino che le spaccava le costole, le scarpe ricamate di sua madre più piccole dei suoi piedi e delle forcine per tirare su i capelli, che le trapassavano il cranio.
Pazienza. Sarebbe stata impassibile. E perfetta.
Chissà se Erik l’avrebbe notata….
Arrivò trafelata davanti al portone che divideva le sale del banchetto dal resto degli ambienti. Si asciugò il sudore dalla fronte con una manica e inspirò profondamente. Poi Ophelia si fece coraggio, e aprì la porta.
La sala era gremita di invitati, che avevano già preso posto a sedere, nei rispettivi tavoli. Deschi immensi, ricoperti di vivande di ogni tipo ingombravano i due lati della sala. Un piccolo gruppo orchestrale, in un angolo, stava già suonando una jiga, e qualcuno si era azzardato a muovere i primi passi di danza in mezzo alla sala. Eh si, aveva fatto tardi.
Sua madre sedeva vicino al resto della famiglia, con sguardo decisamente accigliato, osservando la figlia che avanzava lenta verso il suo posto a sedere. Arrivata al tavolo, Ophelia salutò cortesemente, con un inchino sgraziato e si mise a sedere.
– Mi hai fatto fare una figura indicibile con tutto il clan, continuavamo a chiedermi dove fossi, sciagurata! – Le bisbigliò la madre all’orecchio.
– Perdonatemi madre, ho avuto un…contrattempo. –
– Che devo fare con te? Sei senza speranza! Siediti dritta almeno, ti ho visto che zoppicavi un po’ mentre arrivavi. Cos’è, sei caduta per le scale per caso? –
– Si! Si esattamente sono caduta! Sai la gonna…non sono abituata…-
– Bah…vedi di comportarti a modo almeno per stasera… –
Ophelia alzò appena gli occhi al cielo e cominciò a guardarsi intorno. Era circondata da tutti i parenti, meno che suo fratello. David, infatti, era seduto al tavolo dedicato alla U-Halwyrer, al lato opposto del suo e da lì provenivano canti di gloria e schiamazzi sguaiati. Ah come avrebbe voluto essere lì anche lei! Accanto a suo fratello e Erik…se l’era meritato! Maledetto l’Impero, aveva anche imparato tutte le peggiori canzoni da taverna che c’erano! Avrebbe fatto un figurone a quel tavolo!
E invece no. Si riempì il boccale di birra e incrociò lo sguardo di David per un breve brindisi, prima di spostare gli occhi su Erik, che sedeva al centro del tavolo.
Era così…imponente.
La cresta rossa spiccava in mezzo al pelo bianco del mantello, un boccale di birra in mano e quella ragazza avvenente sulle ginocchia…
Aspetta un attimo.
Chi era quella?
Ophelia appoggiò il bicchiere dove stava bevendo con un tonfo. Lo stava tenendo talmente forte che le nocche le erano diventate bianche.
Erik stava ridendo, circondato dai sui amici e con una bella ragazza in braccio. Bene. Quale era il problema? Dopotutto mica era una cosa che le doveva importare…
La ragazza era davvero bella comunque. E davvero avvinghiata a Erik – pensò.
Ah ah. Menomale che a lei non importava.
La ragazza scambiò due parole con Nathan e Alan, poi si mise a ridere gettando indietro la testa e scoprendo il collo magro.
Ophelia guardava.
La ragazza mi se le braccia intorno al collo di Erik.
Nessun problema, Ophelia era una signora. Sapeva come comportarsi.
La ragazza mise praticamente in faccia a Erik la scollatura generosa.
La ragazza baciò Erik sulla guancia e si stava pericolosamente avvicinando verso la sua bocca.
EH NO!
Battendo le mani sul tavolo, Ophelia si alzò di scatto, facendo cadere la sedia indietro e rovesciando piatti e bicchieri. Poi, tirandosi su la gonna, tirò fuori Spaccatenebra, che aveva legato alla coscia e saltò prima sul tavolo, poi sul pavimento davanti, scansando a malapena il cranio di un suo prozio agitando la mazza.
Si avvicinò pesantemente al tavolo dei compagni, prese la ragazza per un braccio facendola rotolare a terra e, sbattendo la mazza sul tavolo con tono deciso disse – NESSUNO. TOCCA. LA MIA. ROBA.
Poi si chinò, tirò a sé Erik e lo baciò davanti agli occhi basiti del resto della sala.
Silenzio.
Sua madre svenne.
David applaudì ridendo.
Erik non la lasciò mai più.
***
Ophelia scosse un attimo la testa, prima di rispondere al figlio – Te lo racconto un’altra volta va bene? Non è il momento…-
-Va bene… Ah mamma? –
-Dimmi. –
-Hai regalato i nostri capelli a papà perché era diventato pelato? –
Ophelia riuscì a trattenere a stento una piccola risata, mentre si sentiva gli sguardi addosso di chi aveva intorno. Baciò il figlio sulla testa e si mise a cantare insieme agli altri, mentre alti, i salmi di preghiera, si alzavano nell’aria.
FLOKI
Era rimasto per tutto il tempo all’ombra della candela dritta, a fianco del feretro, aiutando via via Alan a riempire i boccali degli avventori sopraggiunti. Non voleva parlare ai presenti, non era tra le sue migliori qualità, e così non disse molto in quei giorni: giunse alfine il tempo di seppellire il compianto defunto, e allora si limitò a lasciargli accanto un vecchio boccale finemente cesellato e a pensare, fra se e se, quando poteva aver capito che quella sarebbe diventata la sua esistenza.
***
“Oste, servi ancora qualcosa al Giovane Orso, tutto questo parlare deve avergli messo sete!”
La locanda del Vecchio era sicuramente uno dei pochi posti dove potersi riferire a lord Erik a quel modo, visto che molti tra gli sgherri imperiali avevano già cominciato ad apostrofarlo così, nel corso delle loro rappresaglie.
“Bevi con me Floki, ed unisciti alla mia causa!” gli indirizzò contro un boccale finemente cesellato ricolmo di liquido ambrato, nella speranza che, corrispondendogli il gesto, entrasse a far parte della sua novella compagine, gli U-Halwyrer. Solo Alan, al momento, era stato così assurdamente incauto da farlo.
Floki conosceva bene il Giovane Orso, nonostante le sue origini tutt’altro che rimarchevoli, seppur esser nato figlio del lattaio gli avesse portato comunque numerosi vantaggi: erano cresciuti insieme nelle Catacombe e sempre insieme avevano cominciato ad esplorare il territorio gardanita quando le notizie che giungevano dal famigerato Fanciullo Guerriero avevano cominciato a farsi più insistenti. Nel mezzo però, il giovane Floki si era innamorato ed aveva preso moglie, Helga: ella era gravida attualmente, incinta al sesto mese mentre parlavano nella locanda del Vecchio, e così i suoi sogni di gloria erano stati riposti in un angolo remoto della sua mente. Dopotutto, avrebbe potuto provvedere alla sua famiglia anche sotto il giogo imperiale: le scorribande gli erano piaciute ma la cosa cominciava a farsi seria, da ambo le parti, e non poteva tenere il piede in due staffe, o almeno così credeva, ingenuamente.
Cinque armigeri entrarono in quel momento, impettiti e boriosi come solo i più fanatici tra gli imperiali sapevano essere: riuscirono a rendere inospitale la stamberga con la loro mera presenza, facendo volatilizzare i più timorosi tra gli avventori. Si avvicinarono al banco, arroganti dentro le loro corazze brunite: uno di essi, forse il più altro in grado, Floki non riusciva a rammentarlo, prese a fissare lord Erik, i suoi lineamenti così nobili e fieri, la cresta aggressiva che lo aveva reso così celebre…
“Tu… tu caprone, mi ricordi qualcuno, la tua faccia mi è familiare…” gli armigeri si voltarono all’unisono, posando gli occhi sul Giovane Orso e poi sull’avviso di taglia dietro le sue spalle: forse lo avevano dipinto un po’ più bruto di quel che non fosse ma la somiglianza era così evidente da mandare nel panico perfino il gelido Floki.
Non sapeva che fare e così gli saltò addosso, dopo che da principio aveva finto di non conoscerlo, quando le guardie erano entrate: all’urlo di “VILE TRADITORE!!” lo fece cadere dal suo sgabello, cominciando a rifilargli una serie indefinita di pugni. Ovviamente non aveva intenzione di ucciderlo, anzi, vista la sua esperienza in materia di arte cerusica, voleva solo metterlo fuori combattimento, quel tanto che serviva per far abbassare la guardia agli armigeri ed evitare una strage: ma Erik era dannatamente forte e possente e solo infilargli un coltello nella pancia avrebbe convinto gli imperiali che non erano tutti dalla stessa parte…
Mentre pensava, Erik riuscì a ribaltare la situazione, caricando a testa bassa l’amico e spingendolo contro il muro, solo pochi passi più in la rispetto agli armigeri: era davvero una brutta situazione, non potevano assaltarli senza che almeno uno di loro riuscisse a scappare e allo stesso tempo Floki non voleva andare a far compagnia al brutto faccione di Erik nell’avviso di taglia, con tutti i rischi che potevano conseguirne per la sua giovane moglie…
“Ammazzami…” gli disse risoluto mentre lo teneva saldamente per il collo “Tu continuerai nella tua causa ed io salverò la mia famiglia…”. Erik caricò un pugno possente, di quelli che lasciano il segno nel muro, se non si è sufficientemente attenti: Floki vide la vita scorrergli innanzi e si sentì quasi sollevato nel non esser stato costretto a negare il suo supporto all’amico, dopotutto.
“Non c’è salvezza nella schiavitù!” Erik parlò a denti stretti e lanciò Floki oltre il bancone: scaraventò un paio di sedie sugli armigeri, i quali si erano limitati ad osservare la situazione, divertiti. Impattò contro di loro, poi, come un macigno che rotola da una montagna: con due pugni ben assestati, i due nella prima linea rovinarono al suolo quasi istantaneamente, mentre un terzo venne scaraventato sulla soglia con un poderoso calcio da fermo nello stomaco. Rimenavano il graduato ed un tizio accanto a lui dalla faccia tanto famelica quanto imprevedibile: avevano avuto modo di sfoderare le armi, rendendo la situazione un tantino più complessa per il Giovane Orso. “Non lo seguirò” pensò Floki “ma non posso nemmeno lasciarlo morire…”.
Saltò di la dal bancone e pur rimediando qualche ferita, riuscì nel suo intento: combatterono insieme, “per l’ultima volta” si disse fra sé e sé, come quando avevano cominciato a fronteggiare nemici di quella risma qualche anno prima. Floki con i suoi pugnali ed Erik armato di qualunque attrezzo gli capitasse sotto tiro, mandarono i due dritti nella Spirale: il graduato sorrise in punto di morte, mentre beffardo indicava quello tra loro spinto verso la soglia, che pian piano aveva guadagnato la via della fuga. “ Siete spacciati, cani riottosi: per noi cinque, venti verranno a far sprofondare questo posto sotto terra…”
Helga sulla soglia, armata di un bel sasso e della sua enorme panciona, sferrò un colpo letale sulla nuca del fuggiasco, sporcandosi solo un poco le mani di fango: si girò verso Floki, evidentemente su di giri, e gli disse, divertita “Sapevo di trovarti qui..”. Sorrise con tutti i denti che aveva in bocca, forse ancora troppo eccitata dalla situazione per capirne veramente la pericolosità: Floki invece realizzò d’un lampo quanto si era sbagliato pocanzi.
Non era questione né di piedi né di staffe, non esisteva fazione, non esisteva il dubbio: unirsi agli U-Halwyrer era il solo modo che aveva per dare un futuro alla sua famiglia. Erik gli donò il suo boccale cesellato per siglare la loro alleanza e da lì in poi furono inseparabili.
***
Il ricordo della moglie scomparsa e del figlio mai nato gettò nuova tristezza nel vecchio cuore di Floki: mai tuttavia si era pentito della decisione che aveva preso quella sera di molti anni fa nella ruvida locanda del Vecchio.
Questo avrebbe voluto dire al suo amato compagno defunto.
YARA
Erik MacDussel non mi è mai piaciuto, neanche all’inizio. Sospettavo sempre che lui e la sua compagnia di “ribelli” male in arnese, ambissero in realtà a mettere le loro mani sulla Valle.
Figuriamoci … non c’era riuscito l’Impero in 4000 anni, a tirarci fuori di li e ad occuparla, non avrei mai permesso che ci riuscisse qualcun altro, non fino a che un Mattisenmaki era in vita.
Certo che però eravamo ridotti male, io e la mia gente, decimati e stremati, potevamo sostentarci solo con in nostro orgoglio.
L’orso lo sapeva, vecchio bastardo, che gli Spiriti lo guidino, e si presentò disarmato all’accampamento, solo, con la carcassa di un giovane cervo di traverso sulle spalle.
Allora ero molto giovane, più arruffata delle pelli che portavo addosso, ma lo stesso lo fronteggiai quando le sentinelle lo portarono, con le lame puntate alla schiena, fino al fuoco da campo.
Lui sorrideva, con l’incoscienza della giovinezza.
“Lady Yara Irvonen Mattisenmaki …” disse con quello che voleva essere ossequio, ma che in quella situazione disperata mi parve offensivo.
“Vallo a dire alle dame vestite di seta della valle, quando cerchi di montartele.” Dissi con astio, mentre gli strappavo la preda dalla spalla e l’affidavo a Thaor per farlo arrostire alla svelta, prima che qualcun altro morisse di fame.
“Questo ce lo teniamo, in cambio di 5 giri di clessidra prima di ammazzarti. Usali bene e inizia a dirmi chi cazzo sei e cosa ci fai qui.”
Tutto mi sarei aspettata tranne la fragorosa risata con cui mi rispose. Risuonò per tutta la valle e, mio malgrado, mi fece retrocedere di un passo e mi fece venir voglia di tirargli fuori le budella.
“Sono venuto nel posto giusto.” Disse spavaldo e cominciò a spiegarmi.
Trascorsero i giri di clessidra concessi, e in realtà rimase con noi diverse ore, mentre intorno al fuoco parlammo della ribellione, dell’impero, di questo tale Kanzor che stava liberando una terra dopo l’altra.
“Tu sei un pazzo.” Gli dissi “Qui ci abbiamo sempre pensato noi, non ho bisogno ne di te ne del tuo fanciullo nato da un uovo di drago. Una frittata bella grossa ci faremmo quassù, con quell’uovo”
“E tu sei una maledetta stronza” mi apostrofò puntandomi l’indice sudicio davanti al naso “così preoccupata di non farti fregare il tuo prezioso segreto dell’acciaio da non capire che, una volta crepati questi quattro affamati che ti trascini dietro, sarà perduto comunque!”
Ovviamente finimmo alle mani.
Mi piacerebbe raccontare quale epico scontro videro i focolari del passo, in realtà continuammo ad insultarci con epiteti che bucherebbero questa pergamena, se li mettessi per iscritto.
“Date una spada a questa fottuta testa di cazzo!” Urlai. Con una certa riluttanza gli passarono uno spadone “Avanti, Erik MacDussel dei miei stivali, stringi in pugno un’arma decente per una volta, e fammi vedere come intenderesti far fuori quella fetida soldataglia imperiale laggiù. Sono 50 per ognuno di noi, riforniti di tutto punto, ognuno che ne ammazziamo due lo rimpiazzano, arrivi tu e ci liberi? Ma non farmi ridere …”
Sferrai l’attacco, quel bastardo di un orso lo parò e mi mandò a terra, con la testa vicina alle braci del fuoco, tanto che le pelli di lupo iniziarono a puzzare di bruciato.
“Ah! E saresti tu allora che gli impedirai di prendere il passo? Tu e il tuo prezioso acciaio mistico? Se la faranno sotto dalla paura!” con un calcio fece schizzare via la spada dalla mia mano, ripose la sua arma e mi tese la mano, per farmi alzare prima che prendessi fuoco.
Schiumavo di rabbia, e ancora adesso al solo ricordo stringo i pugni, così gliela presi, quella mano enorme e sporca, ma con l’altra afferrai una manciata di cenere rovente e gliela tirai in faccia.
Mentre lui inveiva per il dolore, con le mani al viso io feci finta di ignorare l’ustione che mi era costata quell’atto scorretto.
“Presentati all’alba con i tuoi uomini, se ne hai qualcuno buono. Ti mostrerò come accerchiarli, ti darò del buon acciaio e l’occasione di dimostrare al clan il vostro valore. Dammi una scusa per non ammazzarti, quando te la sarai guadagnata con il sangue e con il ferro, allora ci stringeremo la mano. E adesso vai, tutto il tuo ciarlare mi ha stancato.”
***
La sera successiva potemmo accendere finalmente i falò all’altro capo del Passo. E gli strinsi la mano. Bevemmo, parecchio anche, conobbi la sua donna, Alan, persino l’elfo e il giovane Kerr. Ora sono tutti importanti, almeno quelli sopravvissuti, li ho visti coronati d’alloro, mi sono inchinata al loro cospetto, li ho chiamati Sir, Lady, Vostra Eccellenza, Vostra Grazia, e, credetemi, l’ho fatto volentieri. Anche ora che mi rigiro in mano questo prezioso braciere cesellato, che il Vecchio Orso mi ha lasciato in dono, non posso non pensare alla notte in cui ci prendemmo a pugni e lo mandai via con la faccia mezza bruciacchiata, sono certa che anche lui pensava alla stessa cosa quando ha voluto lasciarmi questo.
Non mi sei mai andato a genio, razza di prepotente, e non mi costringerai a sprecare parole carine su di te solo perché mi hai preceduto nelle nebbie. Lascia che sia la storia a parlare, ti basti sapere che ti verrò a scovare presto, dove non ci sono ne Lady, ne Sue Grazie, ne Maestà, e dove ce ne daremo di santa ragione se mi farai incazzare ancora.
NATHAN
I miei passi risuonano lungo le gradinate del grande edifico.
Avevo già percorso quei gradini, era primavera allora e mi trovavo qui per l’investitura da Asso di Lady Logan, e mai avrei pensato di ripercorrerli se non per un altro lieto evento, ma così non era… Molti risalivano quelle stesse scale, silenziosi e con gli sguardi tristi.
Ancora pochi passi, inizio ad intravedere i portoni tra la folla che si sta riunendo, non è facile avvicinarsi, ma le mie insegne mi permettono di farmi cedere il passo, riconosco volti familiari, ma proseguo lungo la mia strada, varco l’ingresso e mi avvio lungo la navata centrale, un intenso odore agrodolce mi gratta in gola, ho sempre odiato l’odore dell’incenso, ma per questa occasione dovrò mettere da parte ciò che mi infastidisce.
Mi metto in fila dietro una lunga processione che dal centro dell’edificio si sposta, lentamente, verso il suo fondo. Ecco, adesso riesco a vedere: vedo il Mio Signore. Una fitta al cuore arresta brevemente il mio passo, ma qualcuno alle mie spalle spinge avanti e continuo a camminare. Ecco adesso sono lì…adesso la vecchia compagnia è finalmente riunita: Ophelia, Alan, Yara, Floki…David avrei voluto salutarti se solo ci fosse stato concesso qualcosa per cui piangerti.
Ci scambiamo dei lunghi sguardi, ma non ci diciamo nulla, c’è anche lei accanto ad Ophelia, cerco di non guardarla…. tzs, fallisco miseramente.
La disapprovazione di Ophelia mi trafigge come una picca.
Abbandono la processione e mi metto vicino ad Alan, lui mi guarda e mi poggia una mano sulla spalla, questa è la prima volta da quando ho ricordo che ricevo un gesto gentile dal vecchio orso, sorrido e torno ad osservare i presenti.
Dopo un po’ uno alla volta porgono omaggi al Frenhin e tutti dicono qualcosa, chi brevi parole e chi invece, come noi che l’abbiamo conosciuto, si perde raccontando aneddoti della sua vita. Cerco di rimanere impassibile, ma all’ennesima storia non reggo e prontamente uso il bordo della manica per asciugarmi le lacrime…. Lei lo nota…
“Avanti ragazzo, non vuoi dire due parole al tuo Frenin?”, le parole di Alan mi riportano al presente.
“No amico, non ho nulla da dire… Sono qui soltanto per portare omaggio al Sire dell’Orsa.”
“Ragazzo insolente che non sei altro!”, lo sguardo di Ophelia ci trafigge.
“Ahhh! Fai come ti pare, ingrato ragazzo.”
Mi avvicino al giaciglio dove è stato adagiato il Duca, tutto intorno è adornato dai doni che i presenti sono venuti a portare… non si accorgerà del mio, ma trovo doveroso che torni al suo legittimo proprietario. Mi abbasso su di lui, ha il volto rilassato di chi finalmente ha trovato riposo. Mi tolgo il sottile laccio di cuoio che tengo attorno al collo e glielo appoggio sul petto, il piccolo frammento d’Acciaio brilla e riflette la luce delle candele circostanti, la mente adesso viaggia lontana, lontana di anni, anni che avrei voluto dimenticare…
***
Il prolungato suono di un corno preannunciava il rientro di uno dei distaccamenti.
La zona era un grande via vai di individui ed ormai il soffice letto innevato dell’accampamento si era trasformato in una poltiglia scura per colpa dei grandi carri che percorrevano le vie dell’avamposto. L’alta palizzata non lasciava vedere oltre il muro di pali acuminati e da lontano l’intera struttura poteva apparire come una creatura pulsate ed irta di aculei pronti a colpire. L’ampio cancello che nel frattempo veniva sollevato al passaggio del ennesimo gruppo sembrava una bocca ricoperta di letali denti affilati aperta nell’atto di divorarli.
La vita dell’accampamento sembrava serrata al suo centro, dove schiere di armigeri erano intenti nel seguire le indicazioni dei loro superiori che urlando ordini li facevano correre da una parte all’altra del grande spiazzo di terra battuta. La grande tenda che si trovava montata al centro dell’avamposto era il luogo in cui si svolgevano i concili di guerra e lì, un giovane Frenhin, era in riunione con i suoi più fedeli compagni:
“Signori, anche l’ultimo distaccamento del Toro ha infine fatto ritorno, sono circa la metà di quanti erano partiti…” Il Frenhin serrò i pugni e li sbatté sul tavolo sotto di lui. La forte scossa fece cadere alcune pedine di ferro grezzo, che toccando il suolo stridettero in un fastidioso rumore metallico.
“Che gli astri veglino sulle anime dei caduti.” Concluse amareggiato.
“Vostra Grazia….” adesso era un giovane uomo a prendere la parola: “La morte di quegli uomini non è stata vana e grazie a loro possediamo nuovamente un passo importante dei confini con le grandi cime” e detto questo raccolse le pedine e le riposizionò sulla carta sistemando una di esse sul nuovo terreno conquistato. “…il passo dell’alleanza è nuovamente nostro ed adesso le tribù delle grandi cime non potranno ignorare il lamento che si leva dalle terre dell’Orsa e risponderanno, si uniranno a noi!”
Il Frenhin intanto si stava sistemando il pesante mantello di pelliccia sulle spalle mentre in silenzio continuava ad ascoltare il giovane. Entrò un uomo .
“Mio Signore, Sir Cathal Vi chiede udienza.”
“Fatelo entrare Alan, fatelo entrare…”
Scostati i drappi della tenda, fece il suo ingresso un uomo imponente e pesantemente armato, il quale mosse qualche passo in avanti e poi, lentamente, si tolse il grosso elmo cornuto dalla testa, rivelandone il volto: corti capelli neri, folti baffi e una piccola cicatrice sul sopracciglio che decorava un volto stanco e lungamente provato.
“Sir Cathal, resoconto?” Furono le parole del Duca al cavaliere che si genufletteva con rispetto
“Vi prego alzatevi e siate celere.” Il cavaliere barcollando si rimetteva in piedi, pronto a parlare:
“Mio signore…” La voce del cavaliere era affannata, ma trascorso qualche attimo proseguì: ” Erano ben organizzati e gli affioramenti di pietra naturali che sorgono presso il passo gli hanno fornito una solida difesa contro i nostri assalti. Ho perso molti uomini oggi, ma alfine quei biechi usurpatori hanno chinato il capo e si sono dati alla fuga. Il passo adesso è nuovamente nostro e il Lord protettore ci assicura il suo ausilio nei prossimi dì.”
Il Frenhin respirò profondamente: “Ringraziamo gli Astri signori perché quest’oggi iniziamo a vedere la fine di questa oscurità. Pochi borghi ormai rimangono ancora sotto il giogo dell’impero, ma presto li libereremo perché il grido delle genti libere dei Ducati continua a levarsi sempre più alto e chiede giustizia.”
Il Duca si avvicinò al cavaliere che ancora con lo sguardo fisso al suo signore rimaneva in attesa che questi proseguisse. Il Duca posò la mano sulla spalla del Sir e proseguì:
“Mi complimento con voi per ciò che siete riuscito a compire quest’oggi… il Ducato tutto vi deve molto.” Fece una pausa poi proseguì: “Voi e i vostri uomini vi siete meritati un po’ di riposo, potete congedarvi Sir e che la notte vi porti ristoro” Detto ciò il cavaliere prese congedo, uscendo dagli alloggi del Duca.
“Bene!”
Era sempre sua Grazia il Duca a parlare.
“Dovremmo riorganizzare le forze, quest’oggi i seguaci dell’impero hanno ricevuto un duro colpo, ma potrebbero vendicare l’onta subita e non possiamo certo permetterci che un altro avamposto cada, dobbiamo mantenere il vantaggio che abbiamo e cosa ancora più importante dobbiamo proteggere la popolazione… Nathan!”
Adesso l’attenzione del Duca era rivolta ad un giovane mezz’elfo che, seduto in disparte, continuava ad osservare le carte con le pedine.
“Sì Vostra Grazia?”
“Non c’è molto a cui pensare, vedete l’unico punto sulla carta non segnato? Beh, quello è il nostro obbiettivo! Quando finalmente anche quel borgo sarà nuovamente sotto i domini dell’Orsa allora, e solo allora potremo dire veramente che l’usurpatore ha abbandonato definitivamente le nostre terre!”
“Perciò sarà con la battaglia sotto i ripidi pendii di Vargsten che sarà infine sancita la fine della Guerra ed il nostro destino? Mi chiedo se avremo ancora la forza di combattere mio signore…” rispose il giovane.
“Ragazzo non è questo il tempo delle indecisioni, voi vi fidate di me?”
“Sì, mio Frenhin!”
“Bene! Adesso più che mai ho bisogno di uomini fidati e capaci come voi! Non abbandonatemi proprio ora, ora che siamo finalmente riusciti a vedere uno spiraglio di speranza….”
Lo sguardo del Duca passò rapido sui presenti.
“Noi non l’abbandoneremo!” Furono le parole decise dei presenti.
“È solo che ho un brutto presentimento….” era nuovamente Nathan a prendere parola.
“Abbiate fede! Siate vigile come gli Astri e non lasciate che il dubbio mai si impossessi di voi! Il concilio è sciolto, siete congedati. Cercate di riposare questa notte domani ci attende una dura giornata”.
Gli uomini si coricarono con la consapevolezza che l’indomani l’intero avamposto si sarebbe mosso e senza la certezza di farne ritorno. La nottata trascorse tranquilla, ma non priva di sonni agitati, fino a quando con i primi raggi del sole si levò nuovamente alto il suono del corno. Gli uomini conoscevano bene il significato di quei due brevi e ravvicinati suoni, l’adunata era stata chiamata. Poco tempo trascorse prima che i primi gruppi di militi uscissero dalle loro tende per incamminarsi, in riga, verso il centro dell’accampamento.
“Signori,” era la voce del Frenhin a levarsi sopra il brusio dei presenti “stimati militi dell’Orifiamma, quest’oggi vedremo definitivamente scacciati gli usurpatori che per molto, troppo tempo hanno ammalato con il loro fiele le terre dell’Orsa, quest’oggi sotto gli irti pendii della valle di Vargsten vedremo la disfatta della vile serpe che porta il nome di “Impero”, la vedremo tornare a rintanarsi nell’oscura buca da dove ha sollevato il capo, quest’oggi, insieme, lasceremo un segno profondo nella storia!! GLORIA AI FIGLI DELL’ORSA! VIRTUTIS GLORIA MERCES! …e che gli Astri veglino sulla vita e la morte di tutti noi” Queste ultime parole uscirono con un filo di voce dalla bocca del Frenhin.
“VIRTUTIS GLORIA MERCES!” Risposero all’unisono i presenti, iniziando a battere picche sul terreno, spade e mazze sugli scudi, generando una cacofonia di suoni indistinti. Il ruggito dell’ultimo avamposto libero adesso echeggiava alto nelle terre dell’Orsa e ben presto altri si sarebbero uniti al loro.
***
“E quindi?”
“Quindi cosa?”
“Cioè… ma finisce così la storia?” Risposero delusi i presenti.
“Beh diciamo che alla fine hanno vinto i buoni, contenti?”
“Lei è il peggior canta storie che abbia mai incontrato signore…” era la giovane figlia del proprietario della locanda ad aver preso parola.
“Ecco, vedi piccola, ho la gola secca…un’altra storia per un bel boccale di birra, che ne dici?”
“Siete anche il peggior cavaliere che abbia mai incontrato, anzi siete il primo che incontro e lasciatevelo dire non è che assomigliate proprio a quello delle illustrazioni del mio libro di fiabe.”
“Tu dici piccola?” Nathan si fece un po’ più vicino per scrutare le illustrazione del libro della ragazzina.
“Sì, hai ragione, questo cavaliere è sicuramente meglio vestito di come lo sono io, ma l’azzurro proprio non mi dona.”
“E sicuramente quel cavaliere non puzza di birra come voi.”
Le orecchie del mezz’elfo si drizzarono udendo queste parole, pronunciate da qualcuno nella seconda fila.
“Avete proprio ragione… Ma potreste essere un po’ più riconoscenti con chi vi ha aiutato ad abbattere quel grosso lupo che minacciava i vostri greggi.”
“Sì, vi siamo riconoscenti cavaliere, ma ormai, come possiamo dirvelo, è da questa mattina che si ristora nel nostro borgo, e non è che la vogliamo cacciare, sia mai…ma crediamo di avervi ripagato appieno non credete?”
Nathan intuendo dove voleva andare a parare il proprietario riprese rapidamente il discorso:
“Signori, dove eravamo rimasti? Ah sì, ora ricordo: Il ruggito dell’ultimo avamposto libero adesso echeggiava alto nelle terre dell’Orsa e ben presto altri si sarebbero uniti al loro.”
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La mattina arrivò celere come era trascorsa la nottata: un cielo pieno di nubi lasciava presagire che di lì a poco una tempesta si sarebbe abbattuta sulle verdeggianti piane della terra dell’Orsa. Il grosso delle forze si stava muovendo alla volta del borgo di Vargsten e lì finalmente avrebbero incontrato il loro nemico: l’ultimo che adesso rimaneva entro i loro confini.
Il Duca era alla guida del gruppo e i suoi più fedeli compagni cavalcavano al suo fianco.
Vi era il fiero Alan Marlour, comandante di un gruppo di individui che si facevano chiamare le Zanne dell’Orsa e fungevano da esploratori ed avanguardia dell’armata. Uomini valenti, ma Sua Grazia non condivideva sempre la loro linea di condotta. Il giovane mezz’elfo Nathan della nobile schiatta dei Kerr, era lo scudiero di Sua Grazia e durante il conflitto lo aveva accompagnato in ogni battaglia dimostrandosi un utile alleato ed un abile combattente: seguiva il Duca e cavalcava con i suoi cavalieri.
Solitamente li accompagnava anche Lord David Kerr, ma in quell’occasione era impegnato nella salvaguardia delle sue terre: era l’ultimo baluardo delle terre del suo Signore, era la persona di cui il Frenhin si fidava di più in assoluto, dopo sua moglie. E poi c’era Floki, cerusico personale di Sua Grazia, fidato amico nonché prezioso consigliere.
Al tramonto l’armata del Frenhin giunse presso la valle di Vargsten. Sulle mura i vessilli imperiali garrivano al freddo vento della sera e piccoli fuochi iniziavano ad accendersi tra i merli.
Il Frenhin dall’alto del suo destriero osservava la valle silenzioso fin a quando prese la parola:
“Alan! Ho bisogno di un sopralluogo, vedi se vi sono possibili accessi o punti lungo il perimetro dove le loro difese sono più deboli. Nathan, che sia mandato un messo con le nostre richieste e che gli sia riferito che se gli usurpatori lasceranno le nostre terre senza opporre resistenza gli sarà risparmiata la vita, ma che se proveranno a ostacolarci conosceranno la furia dell’Orsa. “
Entrambi si mossero rapidi chi a riferire l’ordine e chi invece ad incamminarsi alla volta della città.
Il tempo sembrava non passare mai e lentamente sulla valle iniziava a scendere una lieve pioggia che colpendo le corazze dei militi produceva un rumore metallico e regolare.
La pioggia continuava incessante e l’attesa del ritorno del messo tardava, quando nella più totale oscurità un piccola sfera luminosa dall’interno delle mura si levò alta nel cielo notturno. Da prima impercettibile fino a che non atterrò a un paio di metri dai presenti, che increduli poterono vedere la testa del messo data alle fiamme contorta in una smorfia di terrore.
Un grido si levò alto e la voce del Duca risuonò nella valle. L’armata nella notte avanzò decisa.
I cavalieri furono i primi a separarsi del resto dell’armata, la schiera si riposizionò assumendo una posizione a lancia, con al suo vertice il Duca. Lo scudiero era subito dietro di lui, lo osservava mentre cavalcava fiero verso il nemico. Era stranamente rilassato, dal suo volto erano scomparse paura ed indecisione, sembrava nato per combattere… L’Artiglio, l’arma del Frenhin, simbolo della sua reggenza, pendeva lungo il suo fianco, la sua mano era forte, le redini strette nell’altra. Il giovane mezz’elfo pregò per un attimo gli Astri, li pregò affinché gli permettessero di rivedere ancora il volto di sua madre. Mancavano pochi metri e presto sarebbero stati uomo contro uomo, acciaio contro acciaio, tutti uniti in una danza mortale fino a che uno dei contendenti non avrebbe ceduto il passo al suo avversario.
Non aveva paura. L’Artiglio adesso era alto sopra la testa del suo Signore, tutti sollevavano i loro ferri, ed il giovane mezz’elfo teneva ben salda la sua picca.
ARRIVAVANO.
Ecco, adesso anch’egli aveva paura.
Qualcosa di umido e caldo colò in breve lungo la sua tempia, fino dentro la bocca: aveva il sapore del ferro…
Chiuse gli occhi un attimo e riaprendoli si ritrovò nel centro del conflitto: ad ogni lato c’erano uomini che combattevano e cadevano contro i colpi degli usurpatori. Dov’era il Duca? Lentamente il velo che copriva i suoi occhi era scompare e lo vide: era di fronte a lui, non era più a cavallo e stava avanzando verso il cancello principale. Lo scudiero si rimise subito al suo posto, e tornò nuovamente dietro di lui, al che il Frenhin si voltò per un attimo e gli gridò qualcosa:
“Ragazzo non morire proprio adesso, proprio quando ho più bisogno di…”
Schivò un fendente e tornò a combattere, ne incassò un altro, ma le sue vestigia evitarono al colpo di arrivare alle sue carni. Continuavano ad avanzare e quando la situazione si fece più ostica arrivarono i rinforzi: adesso lo scudiero poteva vedere il battaglione del Toro Sir Cathal Kerr ingaggiare battaglia, mentre al lato manco Alan incalzava con le sue Zanne l’armata colta alla sprovvista. Si alzò alfine un grido alle loro spalle: Yara, la figlia del Lord protettore, alla guida dei fieri Clan delle Cime era accorsa in loro soccorso. Tutti coloro che avevano giurato fedeltà al Frenhin erano lì, combattevano per lui ed erano disposti a dar in pegno anche la loro stessa vita per la salvezza delle loro terre.
Finalmente lo scudiero del Frenhin riprense possesso del suo corpo e tornò a combattere con ritrovato ardore. Ormai erano vicini, vedevano perfino i cancelli: strali neri come la notte li tempestarono, ma essi non cedettero, non si piegarono, trovarono bensì riparo dietro le file dei poderosi scudi dell’armata del Toro e avanzarono, come un solo uomo. Erano vicini, sempre di più…mancava poco e le schiere nemiche ormai in rotta cominciavano a darsi alla macchia.
Il Frenhin alzò nuovamente l’artiglio ed intimò ai presenti di non seguirli. La tempesta di strali li lasciò finalmente in pace e prima che gli uomini del Duca potessero predisporre l’ariete contro le porte, queste si spalancarono e nuovamente l’avanguardia si ritrovò a fronteggiare un fiume di nemici. Erano su di loro. Colui che era alla loro guida indicò con la punta della lama il Frenhin: era imponente e la sua corazza brunita ne celava completamente il volto, come un oscuro demone vomitato dalla piaga che con una rabbia disumana si abbatté rapidamente contro il fiero Erik.
Lo scudiero provò ad avvicinarsi, ma questi lo ammonì e lo ricacciò via… Schivò uno, due, forse tre colpi, la truppa era allo stremo, ma ancora in vantaggio. Notò un milite al suo fianco, un colpo di una pesante mazza gli fece saltare l’elmo e lunghe ciocche di capelli ramati gli ricaddero sulle spalle…. Spaesato, riconobbe subito i lineamenti serrati di lady Ophelia, la quale crollò in ginocchio sotto il poderoso colpo dell’invasore: doveva intervenire….subito!
***
“Ohhhhh signore, ma è bellissima questa storia.”
“Shhhhh! La storia non è ancora finita.”
Il mezze’elfo mentre riprendeva il suo racconto non si era accorto del solenne silenzio che si era venuto a creare nella locanda e che gli sguardi di tutti erano puntati adesso su di lui.
***
Nathan percepì qualcosa di morbido cedere sotto la punta della sua picca, riuscì a sentire il rumore delle ossa che scricchiolavano sotto l’acciaio fino a quando nessuna resistenza gli si oppose più: aveva trovato un varco o era stata la sua lama a ricavarselo? Dopo sentì solo un gorgoglio indistinto e l’uomo che gli si parava innanzi crollò al suolo mentre una piccola chiazza di sangue sotto di lui inizia ad espandersi: il giovane scudiero cadde in ginocchio davanti alla lady, ed ella aveva gli occhi ricolmi di lacrime, ma non era disperazione, odio piuttosto.
“Mia Signora state bene?”
Le porse la mano e questa l’afferrò titubante: il colpo doveva essere arrivato particolarmente violento perché si appoggiava a lui senza riserve. Nathan afferrò nuovamente la picca e aiutandosi con essa cercò di trovare un luogo sicuro dove farla riposare: intanto osservava Sua Grazia che stava fronteggiando la montagna di ferro che era uscita dal cancello. Si scambiarono una serie di poderosi colpi, poi la punta della spada del demone affondò nella spalla del suo avversario, il Duca afferrò la lama e con una secca torsione spezza la punta.
Il sangue sgorgò copioso dall’arto ferito del Frenhin, ancora qualche scambio e finalmente il suo avversario cadde in ginocchio. Alla fine l’Artiglio si abbatté con violenza sul collo dell’usurpatore: la sua testa rotolò lontano mentre il corpo si accasciava al suolo, esanime…
Così venne sancita la fine della battaglia. L’esercito nemico ormai in rotta abbandonò gli irti pendii della valle e i pochi superstiti adesso potevano definitivamente esultare per la vittoria, amara, che avevano ottenuto. Contarono i caduti e i cerusici iniziavano a prestare i primi, inutili, soccorsi a quanti non avrebbero visto l’alba di un nuovo giorno.
“Mia signora è finita, riuscite a rialzarvi? Avete bisogno di aiuto?”
“Non sono ferita posso farcela benissimo anche da so…” Una smorfia di dolore si dipinse sul volto della lady e questa immediatamente si poggiò una mano sul ventre.
“Certo, mia signora, ma vi prego permettetemi almeno di aiutarVi ad alzarvi.” Nathan porse ancora la mano alla donna, aiutandola a rialzarsi.
“Andiamo, vostro marito sarà in pena per voi.”
Si incamminarono lungo la distesa di corpi e uomini doloranti che adornavano le strade del borgo fino ad arrivare al cancello, ormai aperto, del maniero. Il Duca era seduto con il suo fidato cerusico che gli prestava soccorso e non appena notò la consorte sorretta dal compagno si alzò prima ancora che Floki potesse terminare le fasciature.
“Moglie mia!! Ophelia! Cosa diamine ci fai qui? dovresti essere all’accampamento e non tra i miei uomini.” Le parole di Sua Grazia erano cariche d’ira, ma il vedere la consorte sana e salva lo tranquillizzava. “Cosa ti aveva detto Floki? Nessuno sforzo…e ti ritrovo qui a rischiare la vita.”
“Volevo fare la mia parte! Sono anch’io una figlia di Gardan, una guerriera! Non potevo stare a guardare il mio popolo soffrire! il mio posto è al tuo fianco…in pace ed in guerra.”
Il Duca prese d’impulso la moglie ed entrambi si strinsero in un lungo e caloroso abbraccio.
“Floki vieni qui! Assicurati che mia moglie e il figlio che porta in grembo stiamo bene.”
“Con…congratulazioni, mio Signore, non ero a conoscenza della lieta notizia.”
Il Duca afferrò con entrambe le mani le spalle di Nathan serrando la presa.
“Chiedetemi ciò che volete, sarà vostro. Lo so non è molto, ma è l’unica cosa che posso offrirvi per aver salvato la vita della mia testarda Ophelia.”
“Mio Frenhin, vi prego, ho fatto solo il mio dovere…”
“Non è vero, voi avete fatto ben altro ragazzo, vi sono debitore.”
“Vostra moglie sta bene, Vostra Grazia, e vostro figlio è un vero guerriero. Sapete cosa si dice dei figli che nascono dalle battaglie? Che abbiano l’ardore a scorrer nelle loro vene!”
Floki iniziò a ridere dopo che furono pronunciate queste parole e in quel momento il volto del Frenhin si fece sereno e Nathan colse l’occasione per liberarsi dalla presa del suo Sire.
“Signore con il vostro permesso andrei a farmi dare una controllata anch’io” sorridendogli prima di incamminarsi.
“Ragazzo! Prendi, è tua!”
Il Duca lanciò qualcosa al giovane che prontamente l’afferrò: era una piccola punta spezzata di una lama. Nathan osservò per un attimo il frammento metallico non capendo, poi il Duca si indicò la tempia e Nathan passandosi la mano dove gli aveva indicato il Duca capì…
“Il valore si accresce intorno ad una ferita, porta con onore ogni segno sua tua pelle ragazzo, soprattutto questo.” Il giovane sorrise mentre osservava il Duca allontanarsi, e strinse con ancora più forza il piccolo pezzo di metallo quasi ferendosi.
***
“Vir..Vresc…Virescit, Vulne.. Vulnere, Vi… Ahhhh non so come si pronuncia, ma siete voi signore, lo scudiero della storia? E siete amico del Frenhin?”
“Lo sono stato una volta piccola…adesso LUI non c’è più e tanto avrei voluto dirgli addio.”
“Ma voi siete un eroe, una leggenda come i personaggi del mio libro.”
“Lo vorrei tanto piccola, ma le leggende presto o tardi muoiono o semplicemente vengono dimenticate.”
“Non è vero! Io me ne ricorderò e lo farò sempre, capito!”
Il mezz’elfo sorridendo si alzò e si diresse verso il bancone.
“Ecco a voi buon uomo, ecco quello che vi dovevo.”
“Un pasto per una buona storia cavaliere.” L’oste sorrise e Nathan ringraziò.
“Vi auguro una buona giornata e se avrete bisogno nuovamente di me non dovrete far altro che chiamare, io arriverò.” Il giovane si diresse verso l’uscita mentre ancora i presenti erano silenziosi, quando una melodia attirò la sua attenzione….
“Logan orsa bianca
Logan orsa bianca
Il fato prende il fato da e te nel mito porterà.
Ma l’unica certezza mia, sei tu Frehines mia.
Tu sei l’asso delle spine e al tuo ardore mai vi è fine.
Di Gardan tu sei incoronata per sempre tu sarai ricordata.
Del ducato tu sei la guida superando ogni sfida.
La spada tua impugnerai e la tua leggenda scriverai.”
“Piccola dove hai sentito queste parole?”
“La cantano tutti da un po’ di giorni signore, è bella non trovate?”
“Molto…”
Nathan sorridendo, si tirò dietro la porta dirigendosi verso le stalle e lì, mentre sellava Rohuad ripensò alla canzone che aveva appena sentito.
“Logan orsa bianca…”
Canticchiò il cavaliere mentre con un colpo di speroni riprendeva il suo cammino.
ALAN
La salma era disposta lì, al centro della grande navata, l’uomo era coperto da una panoplia d’arme ben lavorata e cingeva tra le mani uno spadone, sembrava quasi stesse dormendo. La sala era gremita di gente; oli ed incensi appesantivano l’aria, canti funebri rimbombavano in tutta la stanza. Era così, che il possente Erik MacDussel, “l’Orso”, veniva compianto dai familiari e dagli amici più stretti.
Ad uno ad uno i “vecchi” amici e compagni dell’uomo, i membri del glorioso U-Alwyrer, si erano avvicinati al pulpito, e avevano parlato del compianto amico, prima la moglie Ophelia, poi la lady protettrice Yara Jrvonen ed infine il Cavaliere sir Natan Kerr; ognuno, a modo suo, aveva parlato di un evento, un momento o un fatto che ai loro occhi aveva fatto grande Erik MacDussel …. Tutti Tranne uno. Alan Marlour Kerr mancava, non si era ancora presentato.
D’un tratto, il pesante portone di quercia della cattedrale aveva cigolato in maniera tetra all’entrata di una figura pesantemente corazzata; Alan faceva così la sua entrata nella sala. Calcava il pesante elmo in testa, e portava la solita armatura di cuoio indurito di sempre, al fianco cingeva le due inseparabili asce e si poteva notare subito come fosse sporco di terra, sudato e con ferite lievi che avevano macchiato i vestiti. Nella mano sinistra portava un fiasco di birra, dalla tinta scura, e con la mano destra trascinava un pesante sacco di iuta.
L’uomo, senza badare ai convenevoli, salutando solo con un cenno della testa i pochi amici e e Logan, era arrivato fino al pulpito, aveva appoggiato su di esso il fiasco e si era tolto l’elmo.
Come suo solito, prima di prendere la parola, aveva trafitto con lo sguardo tutti i presenti ed in molti avevano sentito quel timore reverenziale che da sempre il comandante delle zanne instillava nei suoi nemici…e non.
“Mi hanno chiesto di venire qui e portare alle vostre orecchie un mio aneddoto su Erik, in modo da far ricordare, a modo mio come egli era… non ho mai pensato che potessi arrivare a tanto…. Non sono proprio un oratore, spero che la mia storia non vi annoi. Prima di iniziare però ecco un mio personale dono al mio compagno: la speciale birra Marlour, con whisky delle Cime! Possa, Erik, accompagnarti nel tuo viaggio….”.
L’uomo aveva poi alzato la mano come ad iniziare una bella storia….
***
Correvano le ultime decadi dell’Era imperiale, in molti si stavano radunando sotto i vessilli ribelli e preparandosi, tramite scaramucce in ogni dove, a quello che sarebbe stato il glorioso assedio di Falcon.
Il giovane Alan aveva formato un gruppo suo e, come altri, faceva quello che sapeva fare meglio: pianificava imboscate ai danni dell’impero. A volte attaccava carovane dei vettovagliamenti, a volte rubava armi o dava la caccia a piccoli gruppi di soldati imperiali che si erano persi nei grandi boschi di Gardan… I suoi metodi non erano sempre onorevoli, ma sicuramente portavano a grandi risultati.
Alan non si era mai voluto unire ad altri gruppi, voleva mantenere una sua identità e un suo modo di fare, e successe alfine che, in un momento di difficoltà, quando lui e i suoi compagni erano accerchiati e soverchiati dagli sgherri imperiali, qualcuno dovette giungere in soccorso. Fu così che tutti vennero salvati da un altro gruppo capeggiato proprio da Erik MacDussel. E come riconoscenza, Alan ed i suoi uomini rimasero per molto tempo al campo di Erik, imparando a conoscere e rispettare ogni membro di quel gruppo.
Nello specifico, all’arrivo nel gruppo di Lady Ophelia Kerr, una donna guerriera che ben incarnava la donna Gardanita, forte, fiera e bella, Alan si accorse di voler instaurare con lei un legame ben più forte del mero rispetto e amicizia.
Col passare del tempo, fece di tutto per tentare di coltivarlo; combattendo a fianco di Erik, arrivando a grandi vittorie e formando un esercito, riuscendo ad unire sotto lo stendardo lacero dell’Orsa bianca, quasi tutti i patrioti Gardaniti che incontravano nel cammino.
Purtroppo, però, non sempre le cose vanno come si vuole, e Alan scoprì suo malgrado, che la giovane Ophelia aveva occhi solo per il possente cavaliere e probabilmente, presto o tardi anch’egli avrebbe ricambiato quelle attenzioni.
L’uomo non era avvezzo a perdere una sfida, ma nemmeno a covare risentimento per chi lo aveva salvato e che riteneva amico. Decise di parlare quindi con il cavaliere; un giorno quindi portò Erik in una piana e prese la parola.
“Amico mio, so che in questo momento, ora che manca così poco a radunare tutta Gardan sotto il vessillo dell ‘Orsa bianca, non si dovrebbe pensare ad altro… ma sono giorni, mesi che non penso che a lei… Qual’è il tuo rapporto con Lady Ophelia? C’è qualcosa fra voi che ancora non conosco?”
Erik alle parole dell’amico rimase in prima battuta stupito, poi, cercando di recuperare il sangue freddo, rispose:
“Alan, mi spiace molto per questa situazione, ma già da tempo ho intenzione di unire il mio cammino a quello di Ophelia …non nascondo che voglio chiederle, quando tutto sarà finito, di costruire una famiglia insieme… Nondimeno posso capire cosa provi, non voglio perdere una persona della tua risma ma non posso assolutamente cederti quello che vuoi. Siamo in uno stallo da cui non riusciremo ad uscirne, ti propongo quindi una cosa: due uomini arrivati a questo punto possono risolvere la questione solo ed esclusivamente con un duello, duello che deciderà tutto. So che se ne parlassimo con Ophelia lei ci metterebbe a tacere a schiaffi, ma voglio, amico mio, che tu sia in tutto sereno con te stesso, voglio darti questa possibilità… ognuno combatterà con le proprie armi a te spetta solo scegliere dove e quando”.
Alan alle parole del compagno era totalmente sbiancato, eppure in cuor suo sapeva che il buon Erik stava facendo tutto ciò per lui, per dargli una possibilità, per permettergli di rimanere amici… A-M-I-C-I, quella parola Alan l’aveva compresa solo con Erik, da quando si erano incontrati a quel momento, Alan per lui avrebbe marciato anche all’inferno eppure non poteva passare sopra questa cosa, sapeva che se non ci provava la loro amicizia sarebbe finita.
“Bene, dunque. Domani all’alba, in questa radura, combattimento all’ultimo sangue, senza regole, chi vince prende tutto; a chi perde spetta solo il gelido abbraccio della terra”.
Avrebbe voluto dire altre mille cose, eppure ancora una volta non riusciva ad esternare i propri sentimenti, troppo fiero dell’amicizia ed il rispetto che provava per il compagno.
La notte, Alan la passò in bianco a “LAVORARE” ad una strategia per vincere contro il possente Erik, sapeva che sarebbe stato uno scontro difficile ed in ogni momento, anche un piccolo sbaglio lo avrebbe portato alla morte. Il suo avversario era superiore a lui in forza ma peccava in agilità; avrebbe combattuto con ascia e martello; un colpo di martello ben assestato … mentre l’ascia è l’arma giusta per tagliare e squarciare le pesanti armature. Tutto questo unito al “LAVORO” che aveva fatto quella notte sarebbe stata la carta vincente…
La mattina seguente entrambi i combattenti si erano trovati alla radura, Alan era già nel mezzo dello steccato, era equipaggiato con un giustacuore di cuoio indurito, un’ascia, un martello e aveva alla cintura quattro pugnali da lancio.
Erik, dal canto suo aveva una corazza completa da fante, un elmo e uno spadone. Appena giunto in loco il cavaliere aveva notato dei piccoli cambiamenti nel terreno del luogo, terra smossa, delle foglie che il giorno prima non c’erano, dei piccoli sassi impilati, e sapeva bene che Alan sovente preparava i luoghi dove combattere per sfruttare al meglio le sue capacità; in quel duello si sarebbe aspettato anche un fossato con un coccodrillo!
I due compagni si salutarono, e lo scontro ebbe inizio. Erik caricò a testa bassa, facendo in modo di evitare la terra smossa e le pile di sassi, non accorgendosi che era proprio quello che Alan voleva! L’altro, come prima cosa gettò della sabbia negli occhi del compagno per accecarlo, poi lanciò un coltello nel mezzo di una delle pile, facendo scattare la trappola che aveva architettato!
Una parte di terreno dove Erik si era fermato era franata, rivelando una buca profonda e irta di pali di legno che avevano ferito le gambe dell’uomo. Mentre Alan aspettava che l’uomo si facesse forza per uscire aveva proferito solo poche parole:
”In una guerra non c’è onore, non c’è amicizia e soprattutto la morte non guarda in faccia nessuno….”
Avrebbe potuto finire il compagno lì, invece attese che Erik uscisse dalla buca e, vedendo le pesanti ferite che l’uomo aveva alle gambe, si spostò rapidamente sull’altro lato dello steccato, aspettando l’arrivo dell’Orso.
Erik dal canto suo non poteva far altro che inseguire l’uomo cercando di portarlo a tiro del suo spadone; ogni volta che riusciva ad avvicinarsi però Alan usava qualche strano mezzo per ferirlo e scappare dall’altro lato dello steccato; un vero attacco mordi e fuggi.
Ormai erano diversi minuti che lo scontro andava avanti così, ed Erik era ferito e stanco, ancora poco avrebbe potuto andare avanti in quella maniera; Alan lo sapeva e fu per questo che sferrò il suo primo vero attacco, deciso, letale: affondò una poderosa martellata nel fianco di Erik, piegando in dentro la corazza ed impedendogli di fare movimenti con tutto il lato destro del corpo!
Fatto questo abbassò le armi e prese la parola:
“Erik, indubbiamente sei un guerriero migliore di me, mai riuscirei a resistere a tutte queste ferite… nondimeno, la mia tattica è vincente e il prossimo colpo sarà letale, finiamola qui; concedimi quello che mi hai promesso…”.
In tutta risposta, il cavaliere afferrò un lembo dell’armatura con la mano trappandosela di dosso, rompendo le cinghie che la tenevano…
“Non credere, Alan, che bastino questi graffi per fermarmi! Lo scontro inizia ora, avresti fatto meglio ad uccidermi quando potevi! Ora ti dimostrerò che l’Orso è implacabile con le proprie prede…”
Ancora una volta ci furono un fendente di spadone e una parata a due armi di Alan, lo scontro andò avanti così per diverso tempo, con Erik che ormai aveva il fiatone per la stanchezza e le ferite, e Alan ancora fresco come una rosa. Infine, stremato, Erik decise di assalire l’uomo con colpi possenti, finalmente mandando in frantumi l’ascia e in seguito spezzando il martello. Quando sembrava che lo scontro fosse finito, Alan estrasse i due pugnali anche se ormai sapeva che non ce l’avrebbe fatta.
“Non hai più speranze Alan, fermati ora e ti risparmierò la vita! Osa andare… avanti e troverai la morte…”
Alan, con sguardo fiero, lanciando un pugnale in un’altra pila di sassi replicò con fare beffardo
“Ancora hai da affrontare il coccodrillo che ho appena liberato Erik, non cantar vittoria troppo presto…”
Ecco – Pensò Erik -Il coccodrillo. Lo sapeva! Sapeva che lo teneva da qualche parte come asso nella manica, ne aveva catturato uno pochi mesi prima per usarlo contro gli imperiali ma ancora non ne aveva avuto la possibilità… e mentre Erik era disorientato e si guardava intorno per scorgere la creatura erano giunte due pugnalate, una alle gambe e una al braccio, impedendo così la possibilità di usare il grosso spadone…
“Bugia, amico mio, ti volevo solo distrarre! Tranquillo, in questo duello siamo solo io e te…”
Quello che ne venne dopo fu un corpo a corpo senza armi che portò allo stremo i due pretendenti; Erik era già ferito e quasi senza forze, quindi la sua proverbiale forza stava scemando, Alan era stanco e aveva preso già diversi pugni in piena faccia… Il prossimo scambio sarebbe stato forse l’ultimo.
Erik placcò Alan con una solida “Presa dell’Orso”, tecnica di cui si vantava spesso, immobilizzandolo. Alan schiumava per il dolore, non riuscendo a respirare e non poteva far altro che dare testate nel volto al proprio avversario…
Purtroppo non tutto va come si pianifica, Alan lo sapeva bene, come sapeva che non sarebbe riuscito ad abbattere il compagno, per lo meno senza cercare di ucciderlo! Anche se lì per lì la tentazione era forte…alla fine cadde svenuto, tra le possenti braccia dell’Orso.
Alan si svegliò con un gran mal di testa e stupito di essere ancora vivo! Non riusciva a capacitarsi del perché … Le regole erano chiare: a chi vince spetta tutto!!!
Poco più Lontano Erik ,in piedi, aspettava che l’amico si riprendesse.
“Non so chi diavolo ti abbia insegnato a combattere Alan, ma sicuramente è un cavolo di demone! Sei un fottuto stronzo… Ciononostante, come da regola, chi vince ha tutto: quello che voglio da te, è il tuo apporto in questa cerca. In qualità di vincitore, esigo che tu creda in Gardan, che tu creda in me, e che tu serva per sempre la nostra patria… Solo questo sarà il tuo amore!!”
***
Erano diversi giri di clessidra che Alan se ne stava zitto sul pulpito, quasi stesse ricordando qualcosa, quasi paralizzato, prima di proferire queste poche semplici parole…
“Che tu serva per sempre la nostra patria, solo quello sarà il tuo amore… Addio Erik, amico mio, spero che dove andrai ci saranno tante battaglie da combattere…”
Tutti, nella stanza, allungarono gli occhi, per vedere se almeno una piccola lacrima sarebbe scesa dal volto di Alan. Nessuno la vide, il comandante delle zanne le aveva consumate tutte molti anni addietro, quando decise di rinunciare a tutto per Gardan…
“Con questo mi accingo a modificare in parte quello che ho sempre detto sul chiunque voglia prendere il mio posto di comandante delle zanne: esigo che mi sia portato un premio per poter principiare il duello, lo stesso premio che io, oggi, porto al defunto Erik MacDussel per rinsaldare la promessa che un tempo gli feci…”
Così facendo l’uomo slegò il grande sacco che portava con sè…
“Qui dentro ci sono 10 teste di Hobgoblin, che io stesso ho strappato dai corpi di quelle abbiette creature! Chiunque voglia il mio posto, dovrà per lo meno fare altrettanto! Erik mi ha dato la possibilità di decidere come gestire le zanne, questa è la mia risposta, in sua memoria”.