Aprì gli occhi. Gli costò uno sforzo indicibile, farlo. Una luce sottile impregnava la stanza, ma la testa gli martellava troppo perché potesse rendersi conto di dove si trovasse. Gli sembrava di avere centinaia di migliaia di aghi conficcati nel cervello e… o era stato due giorni fa? O sette? O cento?
Non se lo ricordava minimamente. Non riusciva nemmeno a muoversi. Non era sicuro di poterlo ancora fare. Gli sembrava di essere avvolto in un cunicolo foderato di stoffa, calda e avvolgente, ma non era sicuro di rendersene conto. Accanto a lui passò un’ombra, come un refolo di vento, e poi un’altra ombra, e poi un’altra ancora… ma forse era sempre la stessa?
La fanciulla si muoveva leggera nella piccola tenda che aveva tutta l’aria di essere un’infermeria. Le sue mani, delicate seppur di pelle scura, abituata al picchiare incessante del sole, si muovevano con attenzione mentre maneggiavano erbe essiccate e sminuzzate, piccole fiale, pezze intrise di liquido dall’odore molto forte. Di tanto in tanto gettava un occhio preoccupato al suo assistito, un uomo dall’età indefinibile che doveva aver visto la morte in faccia molto più di una sola volta nell’arco dell’ultima luna: denutrito eppur ben scolpito, dagli occhi incavati come quelli di un cadavere ma di un azzurro meraviglioso, quasi completamente reso calvo da chissà quale dolore e solcato da profonde cicatrici, ma con denti incredibilmente sani, leggermente appuntiti, quasi perfetti. E sembrava ci fosse qualcosa in lui che…
Si accorse finalmente che il suo paziente si era svegliato. Roteava gli occhi con evidente sforzo, pensò la ragazza. Era bene tranquillizzarlo subito, o poteva agitarsi e gli sarebbe stato letale.
In un comune piuttosto approssimativo e dall’accento esotico si rivolse a lui, avvicinandosi lentamente.
“Ben svegliato, straniero. Non aver timore. Sei nostro ospite, e da noi l’ospite è sacro, quindi nessuno ti farà alcun male.” Sorrise.
Cos’era quel suono? Che cosa gli ricordava? Ma gli ricordava qualcosa?
No, erano solo stridi, ghigni, urla grottesche e strazianti quelle che riusciva a richiamare alla sua mente, ma sentiva che qualcosa gli sfuggiva, nella sua memoria. Erano grossi spilloni che si conficcavano nella sua carne e le sue stesse urla che rimbombavano in una caverna come questa… no, aspetta, non si trovava in una caverna… no, qui era caldo, e l’odore non era sgradevole… odore? Quale odore? Com’è che il suo naso si arricciava di piacere? Chi gli aveva comandato di farlo?
Si avvicinò ancora all’uomo, mettendosi in modo che lui potesse vederla bene in faccia.
“Stiamo cercando di curarti… il Grande Deserto però non perdona gli sprovveduti…”
Ancora una maschera distorta e ghignante si abbassava su di lui… NO! NON VOGLIO, NON MI AVRAI MALEDETTO! DEVO MUOVERMI, MUOVERMI, MUOVERMI!!! Ma non ci riusciva, e il suo respiro si faceva sempre più affannoso. Ma c’era qualcosa che gli sfuggiva. C’era qualcosa di diverso. Forse un’altra malia, forse un altro esperimento, forse…
“Eri coperto dalla polvere, e deliravi. Ti abbiamo trovato due giorni fa, e non hai mai ripreso conoscenza, fino ad adesso…”
Non sapeva come fosse possibile, eppure piano piano capiva il significato dei suoni che percepiva. Il respiro si fece di nuovo più lento, concentrato com’era sull’idea nuova dell’atto del comprendere. Era disorientato. Ma forse stava riprendendo un minimo di lucidità. Forse ora ricordava…
“Devi averne passate di tutti i colori…”
Ma sì, certo. I ricordi per un attimo diventarono nitidi. Ricordava di esser scappato. Ma lui non l’aveva inseguito. Gli altri sì e lui no. E poi? E poi non si ricordava. Ma lui chi? Lui cosa?
“Comunque sia ti prometto che non mi allontanerò da te nemmeno per un secondo e farò quanto è in mio potere per curare le tue ferite…”
No, adesso non capiva. Adesso tornava nel buio. Però aveva capito che era altrove. Ma chi era questa maschera distorta che aleggiava sopra di lui? Uno spirito malefico? Un demone? Un angelo della Morte? Che cosa…
“Riesci a parlare? Puoi sentirmi?”
No, non riusciva a parlare. Non poteva nemmeno muoversi. Non era sicuro di saperlo fare. Non poteva far altro che rivolgere il suo sguardo alla maschera, implorandola di non colpirlo più, di non tormentarlo più con quei lunghi aghi, di non fargli più ingerire misture vomitevoli che a stento lo lasciavano vivo… di lasciarlo quindi morire in pace, perché non ne poteva più e sentiva nuovamente le forze mancargli.
La fanciulla osservò preoccupata i lineamenti dell’uomo, contorti in una smorfia di supplica e di terrore e sospirò lievemente. Regalandogli uno dei suoi migliori sorrisi, socchiuse le palpebre e sussurrò:
“Dormi adesso, ospite gradito… sia che tu possa andartene con le tue gambe su queste terre mortali, sia che tu venga preso per mano dagli spiriti dei tuoi avi, sarò il tuo angelo custode finché non sarai in grado di andartene dal Grande Deserto… e, a proposito, il mio nome è Jessenia… Jessenia Tensh’Elijh.”
L’uomo perse nuovamente i sensi.
Storie intrippanti!!! Bravi bravi, continuate a scribacchiare, che altrimenti le giornate lavorative non passano mai…
Ok, allora vorrà dire che scriverò solo per te e per il tuo (soll)azzo…
mmm… il tizio è svenuto dopo aver sentito il nome dell’avvenente fanciulla… probabilmente aveva previsto la sfiga che lo stava x colpire e così ha staccato il filo
E’ sicuramente così… peccato che la sfiga la sta per attaccare lui a lei…