Jessenia lasciò cadere dietro di sé il pesante tendaggio che celava l’ingresso alla tenda del Consiglio. Era stata convocata lì dalla Venerabile in persona e immaginava che lo sconosciuto paziente ospite della sua dimora fosse il motivo dell’interessamento della Prima veggente Hanan Lavanya Ben Tahar, che il divino Talib aveva baciato ormai molti inverni prima di quello che si preparava ad arrivare.
La fanciulla giunse le mani e chinò la testa in segno di saluto e poi, invitata dalla Venerabile, si sedette su un cuscino dinanzi a lei. Erano sole, e questo era piuttosto strano.
“Siediti, mia cara, siediti pure davanti a me. Ah, che gioia, finalmente, potersene stare un po’ sole, in pace…”
Hanan era una donna molto dolce, lo sapevano tutti, e amava molto le piccole gioie della femminilità, come prendere un buon tè insieme a un’amica. Purtroppo, il ruolo che ricopriva non le dava il tempo di far nulla del genere, o per lo meno non tanto spesso quanto avrebbe voluto. Jessenia sorrise, chinando lievemente la testa, molto lusingata del fatto che la Prima Veggente la stesse considerando al pari di una confidente, e iniziò a servire il tè, fumante, che Hanan le stava indicando.
“Erano diverse lune che non mi capitava un momento di svago… iniziavo a sentirne la mancanza… sia benedetto il divino Talib che me l’ha concesso…”
Jessenia le porse un po’ di tè, servito in un piccolo calice di ceramica e oro fino, sottile alle estremità e panciuto nel mezzo, e poi ne prese un po’ per sé. Nonostante fosse piuttosto eccitata per l’occasione, la fanciulla era rimasta calma e tranquilla aspettando che fosse la Venerabile a parlare. E quest’ultima non fece passare molti giri di clessidra per arrivare dritta al punto.
“E allora, racconta: come sta il tuo giovane paziente, Jessenia?”
“Venerabile Hanan, non saprei dirti se sia davvero giovane… però…”
Jessenia conosceva il grande potere della guida della loro tribù, quindi comprese che la Venerabile sapeva indubbiamente molto di più su quell’uomo di quanto lei fosse riuscita a scoprire in 5 giorni di cure assidue e ininterrotte.
“…però?”
“…però niente, Venerabile… ho già capito… comunque sia il… ragazzo non migliora affatto, e… beh, ecco, io temo… temo sinceramente per la sua vita.”
L’aveva detto. Le era uscito così facile. Non voleva ammettere nemmeno con se stessa il fatto che era sull’orlo del fallimento, che quell’uomo misterioso non si voleva far raggiungere dalle sue cure, quali che esse fossero. Lo chiamava “il mio straniero” e per lei era quasi puntiglio riuscire a salvarlo. Inoltre, le faceva una compassione infinita e… non lo sapeva bene nemmeno lei.
Hanan annuì gravemente.
“È probabile che abbia sofferto molto più di quanto possiamo immaginare… le ferite profonde si sanano con lentezza, o non si sanano affatto… ma tu stai facendo molto per lui, e sono sicura che riuscirai a portargli del bene.”
Hanan suggellò queste parole con una solenne sorsata di tè nero. Jessenia si portò una mano al petto, stringendosi le vesti: la sua voce tradiva un’urgenza che le parole tentavano di nascondere.
“Venerabile, tu davvero mi stai dicendo che riuscirò a far qualcosa per lui?”
“Ma certo, mio giovane fiore.”
“E… voglio dire… con tutto il rispetto… non mi puoi dire null’altro su ciò che accadrà?”
Hanan sospirò, ma non era irritata. Sapeva che cosa stava stringendo il cuore della ragazza, e non era sicuramente la mano.
“Jessenia… sai che non devi chiedermi cose del genere… lo sai che c’è un vincolo…”
La ragazza ripose in modo agitato la tazza panciuta sul vassoio, chinando la testa, imbarazzata.
“Oh no, no Venerabile, hai ragione, sono stata una sciocca, non dirò mai più una cosa del genere…”
Hanan sorrise con dolcezza. “Non preoccuparti, mia cara, non è successo proprio nulla di male. È normale voler sapere se si riuscirà o meno nei propri intenti… e poi, in confidenza… quel ragazzo ti sta molto a cuore, come paziente, non è vero?”
Jessenia alzo la testa e arrossì violentemente, ma non se ne rese conto.
“Ecco… sì… cioè, no… voglio dire, è così provato e… insomma, mi fa tanta pena, poverino, vorrei… vorrei veramente che non soffrisse più così tanto… vorrei che potesse riposare almeno una notte tranquillo… e magari dimenticare gli orrori che deve aver vissuto…”
La Veggente annuì con semplicità. “Ma certo, lo capisco. Magari, domattina passerò a trovarlo, anche se sono sicura che ha già tutto l’aiuto che gli serve.”
La fanciulla socchiuse gli occhi, sorridendo un po’ incerta… ma quelle parole le venivano dette dalla Venerabile: se lei diceva che era così, lo era senz’altro. Era Talib che parlava per bocca sua.
Hanan si sistemò meglio fra i cuscini, sospirando.
“Ahimé… si è fatto tardi… il tempo concesso ai miei piccoli svaghi è terminato… è stato un piacere averti come mia ospite, giovane fiore… spero che avremo tempo per parlare ancora…”
Jessenia si alzò in piedi e unì di nuovo le mani chinando la testa in segno di saluto. Era più tranquilla, ora, ansiosa di rimettersi al lavoro con il suo straniero. E poi, il tè che avevano bevuto era davvero speciale, riusciva a rimetterti al mondo, e forse lei ne aveva davvero bisogno.
“La Luce di Talib ti illumini sempre l’anima, Venerabile Hanan. Sarà un autentico onore poter condividere con te un’altra tazza di tè.” Si voltò e uscì dalla tenda con passo deciso.
***
Hanan rimase a guardare l’intreccio tra stoffa e paleria che costituiva il soffitto del luogo che la ospitava. Non passò più di mezzo respiro che, cautamente, un uomo canuto e piuttosto anziano uscì fuori da un separé di stoffa damascata, lisciandosi le vesti, e si avvicinò a lei. Hanan socchiuse gli occhi.
“Venerabile Hanan, l’incontro è stato di tuo gradimento?”
“Sì, anziano Nalin. È andato tutto come Talib aveva previsto.”
“Quindi, Venerabile Hanan, la visione che hai avuto si avvererà in questa occasione?”
“Sì, credo che sarà proprio così: l’Occhio passerà ad una famiglia che vanta una pelle più chiara di tutti gli altri. I segni ci sono tutti. Credo che la giovane Jessenia scoprirà da sé qual è il miglior rimedio per tutti i mali.” Sorrise.
Nalin attese qualche secondo prima di parlare nuovamente, visibilmente imbarazzato.
“Ma, Venerabile Hanan, noi sappiamo che quell’uomo è… come dire…”
Lei gli venne incontro. “…vuoi forse dire maledetto? Sì, anziano Nalin, lo so bene. Ma so anche che questa è la volontà del Fato. E il divino Talib non ci abbandonerà a noi stessi, vedra. L’Occhio ha sempre protetto le sue ancelle, e non farà diversamente con la famiglia Tensh’Elijh… o cominci forse a dubitare?”
Nalin si schermì immediatamente, agitando le braccia. “O cieli, no, no, Venerabile! Questo mai!”
Hanan rise, bonaria. “Certo che no, infatti… e poi, prima di preoccuparsi anzi tempo, ricorda sempre che Jessenia deve ancora fare la sua scelta. Dipende solo da lei.”
L’anziano annuì, pensieroso. Stava per aggiungere qualcos’altro, ma Hanan pensò bene di prevenirlo: dopotutto, un minimo di solidarietà femminile non guastava, soprattutto in faccende intime e delicate come discorrere circa i sentimenti di una fanciulla.
“Comunque sia, saggio Nalin, direi che è arrivata l’ora delle orazioni… per cortesia, puoi chiamare Raja perché mi dia una mano a vestirmi? Ormai non vedo altro che macchie… credo che il momento sia vicino.”
Nalin era stato consigliere di due Prime Veggenti prima di lei, ma tutte le volte, quando erano sul punto di annunciare la perdita della vista e la comunione totale con l’Occhio, non riusciva a fare a meno di versare una lacrima, non sapeva se di commozione o di tristezza.
Così, per nascondere la guancia rigata (anche se lei non poteva certo vederlo!), si inchinò cerimoniosamente e frettolosamente e uscì all’aria aperta, andando a cercare l’ancella.
Hanan chiuse gli occhi, silenziosa e sorridente, fra i cuscini. La sua debole vista ormai non la interessava più, poiché aveva altri mezzi per vedere, sentire e capire: le lacrime di Nalin non le erano certo sfuggite.
Si sistemò meglio il velo, passandoselo con attenzione sotto la gola. Quella sera, si disse, avrebbe accluso una silenziosa preghiera per la sorte della famiglia che per molte generazioni si sarebbe tramandata, assieme al Dono di Talib, una maledizione che nemmeno lei, la grande e generosa Hanan, forte di tutto il suo potere, riusciva a identificare e a comprendere.
"Buona fortuna, mio giovane fiore. A te e a tutta la tua discendenza, se ve ne sarà."