Jessenia ripose con stizza malcelata una boccetta vuota che ancora esalava un odore forte e penetrante. Le aveva provate tutte, ma il corpo di quell’uomo, tenuto miracolosamente in vita da tutti i suoi sforzi, non ne voleva sapere di reagire. Da qualche ora era perfettamente immobile, anche se ancora vivo, come se la sua anima si stesse preparando a un’ordinata ritirata e stesse per lasciare le sue spoglie mortali, rese ingombranti e inutili da chissà quale tremenda tortura.
Nessuna divinazione era riuscita a rivelare la natura del male che lo affliggeva, nessun’erba era stata capace di lenire le sue sofferenze e calmare le sue urla tremende quando aveva una crisi, nessun rimedio magico o alchemico gli fosse stato somministrato aveva sortito l’effetto dovuto. Tutte queste premure erano riuscite solo a prolungare la sua esistenza, e con essa anche la sua pena, di due settimane. Ma adesso Jessenia si rendeva conto che il suo paziente era davvero agli sgoccioli. Le fibre del suo corpo si erano arrese, alla fine. Stava morendo.
Ma lei non voleva lasciarlo andare così. Non lo accettava. Nonostante la giovane età, era un’autentica autorità in materia di guarigione, e questo fallimento non riusciva a comprenderlo né a sopportarlo. Non sapere, non conoscere, non capire… presso la sua tribù queste erano le peggiori sventure che potevano capitare a qualcuno. E lei voleva sfuggire all’ineluttabile: doveva strappar via quell’uomo alla Morte, doveva comprendere l’origine del suo male e salvarlo.
Voleva farlo, ma ormai non riusciva più a capire come.
E poi non sopportava l’idea di separarsi da lui proprio adesso. L’aveva vegliato ininterrottamente, l’aveva lavato e rivestito più volte al giorno in modo che fosse sempre pulito, lo aveva coccolato, vezzeggiato, aveva sperimentato ogni genere di cura, aveva perso il sonno per cercare di salvargli la vita… si chiedeva come avrebbe potuto passare le sue giornate senza di lui, non voleva pensare a quanto sarebbe stata vuota la vita senza poter godere più della vista di quegli occhi azzurri come il cielo che la trafiggevano e tuttavia non la percepivano. Hanan aveva ragione, ma lei non si decideva ad ammetterlo: si era innamorata del suo paziente, e il fatto che fosse un caso disperato non l’aveva minimamente scoraggiata.
Aveva scoperto soltanto che lo avevano torturato all’inverosimile. Con tutta la sua fantasia non riusciva a immaginare a cosa fossero dovute le ferite in corrispondenza della fitta rete di vasi sanguigni, dal collo alla punta dei piedi: alcune erano profonde e sottilissime, come se i suoi aguzzini lo avessero trapassato da parte a parte con lunghi aghi; altre erano grandi, superficiali e slabbrate. Ve ne erano di vecchie e di nuove, quindi era impossibile stabilire da quanto tempo fosse in quelle condizioni. Il cranio era quasi completamente solcato da profonde cicatrici di bruciature, ma qua e là ricresceva, minuta e leggera come piumino d’uccello, una peluria bionda e sottile. Anche la pelle del petto aveva subito gravi danni, probabilmente da sostanze corrosive, mentre le unghie avevano quasi cambiato colore. La ragazza era giunta alla conclusione che lo avessero avvelenato lentamente, ma in nessun modo riuscì a scoprire l’origine della tossina.
Eppure, nonostante la vista di quel campo di battaglia non fosse affatto gradevole, Jessenia non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Stava pensando a tutto questo quando prese una decisione. Se non funzionava nemmeno questo, non c’era davvero più speranza.
Si sedette sul giaciglio dello Straniero e gli passò una mano sulla testa, dove forse un tempo c’era una cascata di capelli biondi come l’oro. I muscoli del viso si contrassero lievemente e Jessenia indovinò che l’uomo doveva essersi, in qualche modo, svegliato. Conosceva tutte le sue espressioni involontarie, ogni minima variazione le comunicava qualcosa.
– Ascoltami, se puoi sentirmi. Questo è il mio ultimo tentativo. Ti prego di perdonarmi se non funzionerà, ma non… non ho mai fatto nulla del genere, prima d’ora. Ti prego. Vivi.
Jessenia si slacciò i sandali leggeri e li sistemò a poca distanza dall’ingresso, che si premurò di richiudere, sigillando i tendaggi con un cordone. Poi, iniziò a srotolare il lunghissimo sari chiaro che indossava in infermeria. Ci impiegò un tempo che le parve lunghissimo, lo ripiegò accuratamente e lo depose sui cuscini dove sedeva di solito, attendendo qualche reazione positiva dal suo assistito. Sfilò la camiciola e il sottogonna e si ritrovò nuda, non senza una punta d’imbarazzo. Le guance le si imporporarono leggermente, ma seguitò con la sua idea. Era un cerusico, dopotutto, e stava solo tentando il tutto e per tutto con il suo paziente. Era solo per quel motivo che lo stava spogliando per l’ennesima volta. Era solo per il suo bene se adesso si insinuava sotto le lenzuola di seta grezza e gli si avvicinava, piano piano, finendo per sfiorare con le sue carni sane e brunite quelle straziate e chiarissime dell’uomo. Era solo per amore della Vita che lo accarezzava lentamente, prestandogli il suo calore, di cui lui sembrava aver decisamente bisogno, visto che il suo gli stava sfuggendo dalle membra. Era solo per salvare quegli occhi azzurri e il loro proprietario che depose un primo, lunghissimo bacio sulle labbra umide dello Straniero.
Che cos’è, tutto questo calore? Perché non sento male, adesso? In effetti, non sento male da un po’… no, che dico? Mi torturano, mi torturano in continuazione, come ho fatto a dimenticarmene? Però ora non sento dolore, non… che cos’è quest’ombra scura presso di me? È uno spirito, un fantasma, cos’altro? Eppure… eppure… forse comprendo… mia signora, finalmente sei giunta… sei venuta a prendermi… sì, deve essere lei… deve essere la Morte, l’ho attesa così a lungo… e non veniva mai… deve essere lei, altrimenti non si spiega… che sollievo… vorrei… desidero abbracciarla, ma non riesco a muovere… no, forse… concentrati, concentrati… ma forse non dovrei, magari la Morte non è felice se l’abbraccio… io non ero mai morto, prima… però non resisto, e poi c’è questo calore, questo tremendo calore che… no, non è tremendo… io sto bene… io sto bene… alzati, braccio, alzati… alzati… almeno tu porgi omaggio a… ma se fossero ancora loro? Se volessero continuare, e questo fosse solo un inganno… oh, basta… basta… basta… no, è così caldo… alzati, braccio, alzati… finché dura, dammi sollievo… è caldo, caldo, caldo…
Per la prima volta in due settimane, lo Straniero riuscì a muoversi senza urlare. Sollevò una mano e la pose sul fianco della ragazza, che la strinse forte. Jessenia ebbe un tuffo al cuore. Ma, da cerusico serio e responsabile qual’era, non distolse nemmeno per un attimo l’attenzione dalla sua azione di cura.
Io… io… io mi sento bene… mi sento… bene… non avrei mai pensato che la Morte potesse essere così dolce e meravigliosa… deve essere una donna, per forza… ma nessuna donna possiede tanto calore… e di donne io ne avevo… ne avevo… Rosie… Jaella… Teri… e poi chi… no, nessuna di loro… per quanto dolce… per quanto calda… per quanto… nessuna di loro è come l’ombra che è calata su di me… le sue braccia donano la vita… nuova vita… peccato che non possa vedere il suo volto… ma la sento, mi stringe nel suo abbraccio… mi fa sentire una cosa sola con lei… e vedo… vedo immense distese di un biancore abbagliante… tutto è pace, e silenzio… e non vi è sofferenza… solo… amore… io vedo… io mi sento…
Quante ore erano passate? Cinque, sei? Quante carezze, quanti baci, quanti abbracci aveva dato a quell’uomo? Non avrebbe saputo dirlo. Sapeva solo che il corpo dello Straniero, per quanto possibile, aveva reagito. Mai per un attimo, nemmeno al culmine, aveva aperto gli occhi o detto qualcosa. Era rimasto immobile, ma la sua mano era ben salda in quella di Jessenia e di tanto in tanto dava qualche segno di vita, contraendosi e rilassandosi come se tentasse una carezza in risposta a quelle della fanciulla.
E adesso lei era lì, ad accarezzargli la testa mentre lo teneva abbracciato come un bambino e lo cullava, nella speranza di essere riuscita a salvarlo. Il corpo dell’uomo era rilassato come mai era stato in tutti quei giorni, e la sua espressione adesso aveva qualcosa di diverso, anche se indefinito.
Ma ora quel corpo era troppo, troppo rilassato. E a Jessenia servì poco più di qualche attimo per accorgersene.
…io… mi sento…
Sulle labbra dell’uomo si era dipinta l’ombra di un sorriso.
…io sono…
Jessenia si sentì percorrere da un brivido tremendo.
…felice.
Lo Straniero era morto.
Ah, l’eterna danza, il bizzarro gioco di Amore e Morte… bravissima, mi sono quasi commosso…