La notte non era della migliori per fare ciò che doveva. Tutte i mesi passati senza luna sarebbero stati certamente migliori per agire col favore delle tenebre. Se non altro, non lasciare nemmeno una traccia era la sua specialità. Dopotutto, era Zar non senza merito. I suoi trascorsi da Cacciatore lo rendevano in grado di passare ovunque senza farsi vedere, così come nessuna Preda poteva sperare di cavarsela quando braccata da lui.
Quel compito era fin troppo facile per uno del suo calibro. Infatti, seppure con pochissime indicazioni, riuscì a trovare la casa in un tempo esiguo. Non c’erano in effetti così tante case in queste zone e vicino alla sorgente del fiume principale di Gardan ne era presente una soltanto, una sottospecie di catapecchia rabberciata alla meno peggio, di sicuro con tanti lustri sulle spalle e passati malissimo.
Una volta trovata, sgusciò dentro praticamente senza emettere nemmeno un fiato e lasciò quanto doveva sul tavolo centrale, quello che doveva essere da pranzo, da lavoro e probabilmente letto di emergenza, data la povertà di quel luogo. Nemmeno dovette usare il grimaldello fidato, che più di una porta preclusa gli aveva spalancato.
Poi, come fosse uno spettro, si dileguò da dove era entrato, premurandosi di chiudere bene la porta alle sue spalle.
Fu naturale e automatico sfoderare un lungo pugnale quando sentì alle sue spalle una voce inaspettata:
“Scusa Signore! Scusa! Perché avevi lo spadone di mio padre in mano? E perché c’è una striscia di stoffa rossa con scritto Erik come il mio nome?”
Si calmò. Rinfoderò l’arma e fece un sorriso di circostanza, ma amaro come il fiele. Non avrebbe mai voluto essere lì con quel bambino fulvo, quasi rosso. Sapeva dove l’avrebbe condotto questo dialogo.
E non aveva alcuna voglia. O forse, era una cosa così tanto brutta che avrebbe voluto essere in ogni altro posto anziché lì. Allora tentò di virare l’argomento altrove:
“Ehm… Vedi bambino… Ma non dovresti essere a letto a quest’ora?”
“Mio padre non è tornato dalla Ventura e io non riesco a dormire, specie con la luna piena… Era andato per dare una mano a un signore per diventare Zar, mi aveva scritto… Ma poi non ha mandato sue notizie. Ormai sono passate sei lune, tra poco arriverà l’inverno e lui deve tornare. Lo ha sempre fatto… Doveva essere già qui a riparare la nostra casa e…” si bloccò di colpo, come se improvvisamente un pensiero gli avesse squarciato la testa e ne fosse sgorgato violento e rapido verso la bocca “….È morto, vero?”
Improvvisamente la tristezza colse il viso del bambino e ne strinse la gola.
“Non avrebbe mai lasciato lo spadone che gli aveva fatto quel ragazzo…”
Una lacrima rigò il suo volto.
“Me lo aveva detto il nonno che faceva un lavoro pericoloso… che un giorno avrebbe potuto non tornare…”
Un’altra lacrima.
“Vedi bambino,” iniziò lo straniero “Tuo padre… non potrà tornare da dove si trova ora e quindi mi ha chiesto di portarti il suo spadone per far sì che tu un giorno possa seguire le sue orme.”
Il bambino rimase in silenzio per lunghi istanti, tirando su col naso.
“Io non…”
Scoppiò in un pianto a dirotto e l’uomo, stretto in un lungo cappotto bianco e nero, non potè far altro che allungare le braccia e stringerlo a sé, cercando di rincuorarlo.
“Senti piccolo Erik, io ho conosciuto tuo padre. Era un uomo bravo e coraggioso. Dovrebbero essercene di più, come lui. Purtroppo, insieme ad altri nostri amici, ha deciso che il mondo come sta andando ora non gli andava più bene e ha combattuto addirittura contro i Quattro Imperatori. Sai chi sono?”
Il bambino si asciugò con la manica della camicia e annuì.
“E tu chi sei? Hai detto che sei… eri… un suo amico” chiese sempre con voce tremula.
“Meglio che tu non conosca il mio nome, per la tua sicurezza. Sono venuto qui per onorare un patto fatto a tuo padre poche ore prima che cadesse in battaglia. Ti ho riportato la sua arma, Artiglio, come mi aveva chiesto. Devi essere fiero di lui e dovrai onorarne la sua memoria finchè avrai vita. Promettimelo!”
“Te lo giuro, Signore. Farò tutto quello che potrò. Non deluderò né mio padre né te.” Chiosò, tirando nuovamente su con il naso che ancora gocciolava.
“Allora, piccolo Erik, è giunta ora che me ne vada. Ricorda per sempre tuo padre e la promessa che hai fatto stanotte. Dalle mie parti, i giuramenti sono presi molto sul serio.
Addio!”
Senza nemmeno aspettare risposta, l’uomo si dissolse nelle ombre e scomparve, lasciando il bambino da solo, davanti alla porta di casa.
CIRCA TRENTA ANNI DOPO
“… OGGI ABBIAMO MODO DI PERCUOTERE I TIRANNI CON LE LORO STESSE CATENE…”
Il Fanciullo Guerriero Kanzor stava facendo uno dei più begli e accorati discorsi che avesse mai sentito. Aveva un carisma che non poteva competere con quello di nessuno.
Lui invece era segnato dalle cicatrici di decine, se non centinaia, di battaglie. Una addirittura gli partiva dai capelli rossicci per poi terminare a poche dita dall’occhio sinistro: il ricordo di un bolog un po’ troppo irruento. L’avrebbe coperta con un tatuaggio, fosse tornato vivo dall’inferno che si stava per scatenare.
Alle sue spalle, oltre a un robusto contingente di uomini e donne delle montagne e delle verdi pianure, i compagni di lunga data. Si erano dati un nome, riprendendolo da una storia gardanita cara ad Alan, ma lui li chiamava famiglia. Famiglia come quella che avrebbe voluto mettere su prima o poi. Chissà se era già in ritardo.
Alla loro destra, nello schieramento, vi era Kaspar. Un uomo saggio e istruito, nonostante la gioventù, cerusico ineccepibile e combattente leale e capace. Lo seguivano in tanti, con i mantelli neri di coloro che sono chiamati al sacrificio ultimo, silenziosi e raccolti spesso in preghiera.
Alla loro sinistra, gli uomini del deserto. Intabarrati in stoffe colorate, sembravano la vera antitesi dei Thersiani. Gli Athariani scendevano in campo come un turbine iridescente che spaziava dal blu all’indaco al viola fino al rosso della fiamma del deserto, al seguito del loro Rahis, un uomo maturo e con il fuoco negli occhi. E una coppia di scimitarre finemente decorate, assetate del sangue dei seguaci dei Quattro.
Osservando i suoi alleati per questa battaglia, non poté fare a meno di lanciare lo sguardo oltre. Vide degli uomini che avrebbero potuto anche far parte del suo schieramento: le somiglianze erano tante. Anche loro armati pesantemente, asce e lunghi pugnali, tatuaggi di guerra e con le labbra che si digrignavano in mezzo a folte barbe.
Da dove venivano?
Poi vide la loro guida e si sentì come se il suo cuore avesse perso un battito. Stava quasi per cadere da cavallo.
Rimase tramortito per qualche istante.
“… OGGI COMBATTIAMO CONTRO UN MALE CHE DA TRE MILLENNI ATTANAGLIA LE NOSTRE TERRE…”
Forse era un sogno… Eppure quell’uomo, con quella barba chiara e gli occhi penetranti…
Si scambiarono uno sguardo.
Sembrava non fosse passato che qualche giorno per il bersaglio della sua vista: era pressoché identico al giorno in cui, circa trenta anni prima, gli aveva affidato lo spadone che ora reggeva tra le mani saldamente. Solo gli abiti erano cambiati. Nonostante molti dei suoi fossero rivestiti di acciaio e pronti alla carica, lui e un manipolo di altri dei suoi erano ricoperti di corazze di cuoio, probabilmente per lasciare liberi i movimenti, e lunghi archi si trovavano sulle loro spalle, con faretre ricolme di frecce impiumate in maniera mai vista.
Anche l’altro uomo pareva sorpreso, ma molto meno di Erik.
Svelto il gardanita alzò lo spadone e indicò una striscia rossa legata all’elsa.
L’altro alzò il dito in sua direzione e poi, stringendo il pungo, si batté sul petto all’altezza del cuore, aprì un sorriso a metà tra il dolce e l’amaro, e abbassò la visiera dell’elmo a foggia di lupo che calzava.
“… AL MIO SEGNALE, CARICHEREMO E INFIERIREMO UN COLPO MORTALE DRITTI AL CUORE DI QUEST’IMMONDA CREATURA! IN MARCIA!!”
Non appena il più grande contingente che il mondo avesse mai visto si mosse, sembrò che un terremoto titanico percuotesse la terra stessa, gli alberi si scossero e persero molte foglie, stormi di uccelli si levarono in volo, animali di ogni razza, suini selvaggi, ungulati, lupi, faine e ogni altro quadrupede di terra, odorando quasi il sangue che di lì a poco avrebbe lavato le loro terre, presero a scappare in ogni direzione, lontani da Falcon.
Le nuvole accorsero invece, a fare da sfondo perfetto.
Subito dopo il via, l’uomo con l’elmo da lupo e i suoi gregari più vicini sparirono. Si dissolsero come la nebbia colpita dai raggi di sole.
Certo, anche lui aveva tra i suoi gente in grado di fare queste cose, ma rimase stupefatto dalla naturalezza con cui ciò successe.
Glielo aveva raccontato tante volte suo padre, quando era piccolo, dei Cacciatori Khartasiani, ma mai e poi mai li aveva visti di persona in azione. Non c’era che dire, molto meglio averli dalla propria parte che contro!