Non gli rimaneva più tempo per ascoltare nuove storie, e a malapena ne avrebbe avuto per ripensare a tutte quelle che conosceva, a menadito, o che aveva immaginato, per riempire con la sua incredibile immaginazione i vuoti della narrazione.
Cercò di passarle in rassegna, una per una, e ad esse associare i volti di tutte le persone che ne erano stati gli interpreti.
Meravigliose, succulente storie di gente che i bardi da quattro soldi non avrebbero certo cantato.
Quelli si limitavano a parlare dei grandi eroi, delle grandi imprese, di quella roba che tutti conoscevano o dicevano di conoscere. Beh, lui c’era, quando avvenivano. Le imprese più grandi, lui le aveva vissute da vicino. E, anche se era ancora lui il numero uno fra i bardi musici di tutta Whanel, ed era un primato che gli apparteneva da più di un centinaio di anni, c’era comunque gente che dalle sue parole non aveva appreso un bel niente.
No, no. Lui amava le storie che nessuno avrebbe mai cantato. Amava accarezzarle nella sua mente quando non aveva niente da fare, le nascondeva nell’intreccio dei suoi canti, le velava di mistero e di oscure note perché chi lo ascoltava dovesse sforzarsi per comprendere, e ascoltasse con attenzione per riuscire a farlo.
Ma adesso non aveva più la forza di ascoltare.
Rimase seduto sotto il grande albero dalla corteccia nera, la schiena contro il tronco avvizzito eppur vivo. Guardava l’ombra della grande isola al centro del lago, dove la sua compagna, la sua adorabile Gelwen, lo stava certamente osservando di rimando. Ma gli aveva promesso di non stargli accanto.
Solo era vissuto, e solo voleva morire, le aveva detto. Ma lei sapeva che non era così. Gli amici, l’amore, i nemici, i veri compagni, il suo uomo (che uomo non era) voleva averli tutti accanto a sé, nella sua testa, dove erano sempre stati, protetti dal suo riserbo. Voleva ricordarli com’erano, i pochi che erano rimasti. Sì, ne era certa. Conosceva il suo pollo. L’aveva visto avvizzire giorno dopo giorno e, anche se in realtà era un tempo che a un umano non sarebbe stato mai concesso, per un’elfa era stato poco più che uno schiocco di dita. Ma lui le aveva comunque dato tanto, più di quanto un elfo di nobile schiatta avrebbe mai potuto fare. E lo aveva amato anche lei, come mai aveva creduto si potesse fare. Soprattutto nei confronti di uno come lui, con quella pelle così inequivocabilmente nera e quei capelli così inequivocabilmente bianchi.
Con le poche forze che gli rimanevano, Lypsak si sollevò un po’, sistemandosi meglio contro il tronco del nero albero di fronte al lago, calmo e tranquillo come mai ricordava di averlo visto. Socchiuse gli occhi, increspando le labbra in un sorriso sottile.
"Bene… allora, che lo spettacolo abbia inizio…"
Un lieve soffio di brezza pomeridiana. I suoi occhi si erano chiusi e non si sarebbero riaperti.
Sono lieta di questo “parto virtuale”… è una bella idea!
Chissà cosa ci riserverete?!?
…boh?
Intanto te facci sapere via via che ne pensi, da donna allitterata quale sei…