Onun adi Vael III

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Con passo insolitamente deciso, il giovane Vael attraversò le stalle in tutta la loro lunghezza, oltrepassando i purosangue tanto cari a sir Ahmed, che nitrirono al suo passaggio nella speranza di qualche leccorina. Ma il ragazzo guardava solo dritto avanti a sé, diretto verso la minuscola nicchia concessagli dal suo patrono e padrone che ormai lo ospitava da tempo, una camera da letto improvvisata immersa fra le pile di balle di fieno, di poco migliore a quella riservata ai garzoni di stalla. Una volta giunto dinanzi al suo scarno pagliericcio, Vael iniziò rapidamente a racimolare le poche cose che aveva.
Nonostante ostentasse una certa sicurezza, i pochi oggetti che gli appartenevano continuavano a sfuggirgli di mano e di tanto in tanto si accorgeva di aver infilato manciate di paglia nella sacca di iuta…
Così non va, Vael, datti una calmata… fai un respirone…
Il problema era che il mondo stava girando troppo in fretta intorno a lui e non c’era abituato. Quella mattina erano successe troppe cose tutte insieme e ancora non si capacitava appieno né di ciò che aveva udito né della decisione che aveva preso.
Devo proprio riordinare le idee o finirò per portarmi via anche la biada per i cavalli…

Dopotutto, la faccenda era piuttosto semplice da capire, per quanto fosse straordinaria: un’ora dopo l’alba ai cancelli della tenuta si era presentato senza preavviso un giovane nobile, un certo Rinhad, che aveva chiesto di lui. Questo aveva fatto sgranare gli occhi a sir Ahmed, che comunque aveva acconsentito alla richiesta del misterioso visitatore e gli aveva fatto incontrare il suo “inutile mangiapolvere”. Vael, che non era meno sorpreso del cavaliere, aveva quindi ascoltato il lungo monologo di Rinhad, che gli aveva sciorinato un sacco di storie sulle origini di entrambi e, con immenso stupore del giovane scudiero, gli aveva rivelato con nonchalance chi era veramente suo padre.
“In poche parole, io e te siamo fratellastri.”
Mentre Rinhad continuava a parlare e a spiegare per quale motivo voleva che il suo ritrovato fratello lo seguisse nel suo viaggio, Vael era rimasto a bocca aperta. Troppe informazioni tutte insieme. Ci aveva messo diversi istanti a capire che Rinhad voleva una risposta, e subito. Il suo cervello aveva quindi iniziato a lavorare velocemente, come mai era stato in grado di fare prima di quel momento.
La sua primissima reazione era stata pensare “HA! Lo sapevo che ero destinato a grandi cose! Lo sapevo che non erano solo fantasticherie!”, ma il pensiero era durato solo un istante, soppiantato dal ricordo della delusione nei confronti della nobiltà in generale: la fiducia che aveva nei confronti dell’aristocrazia era calata drasticamente dopo l’esperienza con Sir Amhed, per lui i cavalieri non sarebbero più stati figure leggendarie piene di fascino e di virtù e non era proprio sua intenzione passare dalla padella nella brace, proprio ora che aveva ritrovato un suo equilibrio nella continua sopportazione della superbia del suo padrone. La fine del panegirico di Rinhad lo aveva quindi lasciato distante e sul chi vive nonostante avesse ascoltato attentamente le parole del nobile. Quest’ultimo, benché non stesse mostrando egli stesso particolare entusiasmo per la sua risoluzione, era comunque deciso ad andare fino in fondo e aveva cercato di rassicurare e convincere Vael sul fatto che ogni sua parola era sincera.
Forse era stato proprio il fatto che Rinhad non nascondesse la sua contrarietà agli eventi e non gli stesse facendo nessuna incredibile promessa a convincere Vael che, dopotutto, seguirlo non avrebbe potuto essere tanto peggio di lavorare come fantoccio senza dignità di un pallone gonfiato presuntuoso e ottuso. Quindi, seppur con qualche dubbio, aveva infine accettato di seguire il suo nobile fratellastro il quale, se non altro, era più mingherlino e molto meno spocchioso di sir Ahmed.
A quella risoluzione, dopo aver vissuto frenata per tanti, grigi, lunghissimi anni, la mente di Vael aveva deciso di scatenarsi come ai tempi dell’orfanotrofio, quando era ancora possibile fantasticare all’ombra degli alberi del giardino in compagnia della buona sorella Safiya. Tra sé e sé il giovane già pregustava le avventure che avrebbe potuto vivere con il fratellastro, le persone che avrebbe potuto incontrare e la fama che si sarebbe potuto costruire se avesse iniziato a fare l’avventuriero.

Anche in quel momento, seduto sul letto a cercare di ricomporsi, Vael sperava soprattutto di farsi una certa nomea tra le genti di Athar, sperava davvero che grazie alle imprese che avrebbe potuto compiere la gente avrebbe parlato di lui, sperava che grazie alla sua fama la donna che lo aveva abbandonato in fasce e di cui conosceva solo il simbolo a forma di rosa a cinque petali sul mantello sarebbe andata a ricercarlo, orgogliosa di sapere che il ragazzo era cresciuto ed era diventato un abile combattente… ma più di ogni altra cosa sperava in cuor suo di poter chiedere a sua madre perché aveva deciso di abbandonarlo in quella notte di tempesta.

Non appena era riuscito a scuotersi dai suoi pensieri, Vael si era rimesso all’opera. La sua sacca fu pronta in pochi minuti (aveva davvero poche cose da portar via) e a quel punto non desiderava far altro che andarsene prima possibile. Ma gli rimaneva ancora un passo importante da compiere: parlare con Sir Amhed per informarlo della sua scelta e dirgli addio. Nonostante non lo sopportasse, Vael doveva ammettere che il cavaliere si era preso “cura” di lui a modo suo per tredici lunghi anni. Dopotutto non aveva mai patito la fame (o quasi), il suo giaciglio per quanto misero era sempre stato caldo e asciutto, non gli era mai stato chiesto di fare altro oltre che prenderle di santa ragione. Per questo il giovane si sentiva in debito con lui e, seppur Amhed rappresentava tutto quello che Vael odiava e disdegnava, non poteva fare a meno di salutarlo.
Durante il tragitto, stranamente la fantasia di Vael non partorì nessun discorso memorabile ma puntò tutto sulla reazione di Ahmed. Tuttavia, qualunque scenario stesse attraversando la sua mente, in nessun caso il giovane si sarebbe mai aspettato che l’incontro sarebbe durato così poco.
La scena fu rapida: entrando nello studio del cavaliere Vael esordì con un “ME NE VADO!!”. Ahmed non si scompose e ribatté semplicemente “era ora che un incapace come te si levasse di torno… Il grande Sir Amhed non può più permettersi di averti tra i piedi”.
Finita lì. Vael non sapeva se essere deluso o sollevato.
Il cavaliere poi estrasse da sotto la scrivania un sacchetto tintinnante e un bel pugnale con l’elsa a forma di giglio e li consegnò al ragazzo.
– Questi sono un mio dono a te come retribuzione per tutti i tuoi anni di servizio, non si dica che il grande Sir Amhed non sia caritatevole! Nonostante la tua inettitudine IO, nel mio grande cuore, mi sento in dovere di donarti qualcosa. Cerca di non perderli in mezzo alla polvere come al tuo solito.
Un po’ sorpreso, Vael accettò i doni, nonostante avesse inteso dalle parole poco convinte del cavaliere che probabilmente tanta generosità non proveniva direttamente da lui, ma che forse qualcuno gliela aveva imposta… Rinhad?
Dopo esser stato congedato, mentre stava uscendo dallo studio, Vael si soffermò sulla soglia della porta. Non poteva andarsene così, dopotutto. Adesso era libero, quindi una volta tanto poteva esprimersi liberamente. Sì, più di ogni altro saluto o omaggio sir Ahmed si meritava qualcosa di ben preciso da parte sua: poche, semplici parole, proferite senza nemmeno girarsi.
– Prima o poi, Sir, ci rincontreremo ed allora vi dimostrerò che non sono così incapace quanto pensate… quel giorno sarò libero di combattere come meglio credo e non sarò costretto solo a difendermi…

Rinhad attendeva il fratellastro nel cortile. Forse anche lui stava iniziando ad abituarsi alla decisione presa e sembrava aver perso un po’ dell’iniziale contrarietà. Vael si era avvicinato e il nobile aveva sospirato osservando i vestiti sdruciti e lisi e l’esiguità del suo bagaglio.
– Direi che prima di tutto sarà il caso di andare a fare qualche acquisto al mercato… non preoccuparti: per questa volta offro io.
A Vael brillarono gli occhi per un istante, mentre Rinhad lo squadrava da capo a piedi, facendo mentalmente il conto di cosa potesse essere utile.
– Sì, sì, non puoi andare in giro in questo stato, decisamente… tanto più che dove siamo diretti non ti puoi certo presentare come uno straccione e se ci fosse qualche problema devi poterti difendere… ti servono armi, abiti adeguati, protezioni… c’è un suk, qui vicino, andiamo là…
Decisamente la situazione si stava facendo interessante… l’avventura incominciava, finalmente! Stava per nascere un nuovo Vael! Ben vestito, ben bardato e ben armato! Pronto a dimostrare a tutta Athar, anzi, a tutti i Ducati, macché, a tutto il mondo il suo valore! E avrebbe iniziato proprio partendo da… da… ma dov’era che andavano?
– Ehm… ma dov’è che siamo diretti, Rinhad?
– Ah, non te l’ho detto? Credo la cosa migliore sia dirigerci dove c’è più possibilità di incontrare le alte personalità athariane, visto che ce n’è l’occasione…
Vael si sentì mancare il fiato.
– …al Conclave del Regno Eterno.

 

– Mi state chiedendo molto…
Gli occhietti porcini di sir Ahmed erano piantati sulla figura che gli stava davanti, evidentemente scocciata di dover avere a che fare con un uomo così meschino, nient’altro che un presuntuoso cavalierucolo il cui interesse era monopolizzato dalle vittorie nelle lizze e dalla cura della propria immagine di giostratore invitto.
Ma dopotutto aveva poca scelta. Non c’era molta gente a cui avrebbe potuto rivolgersi. Le persone affidabili non erano molte e alcune di essere erano troppo in alto per chiedere una cortesia del genere. Dopotutto, cose di quel tipo accadevano spesso nelle corti aristocratiche… e sir Ahmed non era tipo da fare domande se gli si promettevano favori a lui graditi, come qualche spinta in più durante una giostra importante o l’ultima novità in fatto di armi da parata. Inoltre, per quanto vanesio e poco acuto, sir Ahmed era una persona d’onore. Non c’era certo da aspettarsi che avrebbe avuto un occhio di riguardo per il ragazzo, ma questo a sir Mansur Harmattan ibn Cartur Saegrad non interessava minimamente. Voleva solo che non finisse in qualche strano impiccio, si sa, i ragazzi nati e cresciuti negli orfanotrofi spesso si smarrivano una volta che venivano messi di fronte al mondo al di fuori dal loro ricovero. E, possibilmente, che iniziasse a imparare qualcosa su quel mondo che gli sarebbe comunque stato precluso.
– Vi offro anche molto, sir Ahmed. E voi avete bisogno di uno scudiero che vi aiuti nei vostri allenamenti sempre così solerti e minuziosi.
– Sì, va bene – concesse alfine il cavaliere – ve ne do atto. Ho visto il ragazzo, è sufficientemente resistente e corpulento per affrontare un allenamento con me. Anche se fosse un buono a nulla, a me serve soltanto un buon sacco da infilzare. Fortunatamente non c’è bisogno di essere intelligenti per diventarlo…
“…e nemmeno per affondarci una lancia dentro, a volerla dire tutta…” Mansur ovviamente si guardò bene dall’esprimere il suo pensiero a voce alta e si limitò a sorridere cortesemente.
– Siamo d’accordo allora: voi ne farete il vostro scudiero. Qualora mai voleste separarvi da lui o decidesse egli stesso di partire, gli consegnerete questo sacchetto e questo pugnale e in nessun caso, mai e poi mai gli rivelete qualcosa di questa nostra conversazione. Posso avere la vostra parola di onorevole cavaliere, il più grande giostratore che Athar abbia avuto fra le sue fila?
Sir Ahmed rispose gongolando. – Siamo d’accordo sir Mansur. Prenderò il ragazzo a mio servizio e non gli rivelerò mai nulla di ciò che mi avete chiesto. Ne farò un grande scudiero, degno di un patrono del mio nome, non dubitate, ammesso che sia sufficientemente in gamba per diventarlo.
Sir Mansur si congedò inchinadosi leggermente in segno di ringraziamento. Ormai era fatta.

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