L’aria della sera ormai si era fatta quasi fredda nonostante la stagione fosse più calda del solito e Eliot socchiuse con delicatezza la finestra. Era una bizzarra finestra ovale dai vetri smerigliati, tipica – a quanto pareva – di alcuni vioska che gravitavano intorno a Vybori-Dom, e in giro si vedevano diverse botteghe in cui artigiani di ogni età dedicavano ogni minuto di luce alla lavorazione di quel vetro. I pezzi più modesti, roba che qualunque poveraccio avrebbe potuto permettersi, erano presi in carico dagli apprendisti, mentre ai maestri spettavano l’onere e l’onore di realizzare vetrate più complesse e preziose… ma tutti mettevano la stessa cura e impegno nel proprio lavoro, dal sanuick quattordicenne fresco di assegnazione di carriera all’anziano sdentato millenario che a malapena riusciva a reggere i ceselli fra le dita.
Nelle due settimane che aveva passato a viaggiare lentamente nel sud di Khartas Eliot aveva riflettuto molto a fondo su tutto quello che le si agitava dentro e si era anche accorta che in realtà la sua irrequietezza era dovuta a molte più cose di quelle che già aveva messo in conto. Pensa e ripensa, alla fine si era stancata di tutto quel bollore mentale e aveva chiesto di poter scambiare due parole con la Nyest del luogo, una signora molto in carne che aveva oltrepassato la mezza età da un bel po’. Il caso aveva voluto che la Nyest avesse bisogno di una mano in casa per un paio di giorni a causa di un piccolo infortunio e Eliot si era messa al suo servizio in cambio di un po’ di saggezza.
L’ampia signora aveva ascoltato dubbi e incertezze della giovane donna lisciandosi le lunghe trecce intrecciate di perle di legno variopinte dall’alto di un trono a dondolo colossale che scricchiolava pericolosamente ad ogni oscillazione.
– Mia cara, tu dici di non esser sicura di quale sia il tuo posto… ne avevi forse uno nella tua terra?
– Non proprio, Nyest… non uno fisso, diciamo.
– Quindi la sensazione non dovrebbe infastidirti così tanto.
– Ehm…
– Mia cara, tu dici di non sapere se vuoi stringere rapporti profondi… ma credi che i salmoni possano impedirsi di risalire i fiumi?
– Suppongo… di no…
– Quindi non c’è nulla che tu possa fare.
– Ehm…
– Mia cara, tu dici di sentirti tradita dal tuo amico… ma quanti amici hai avuto in vita tua?
– Almeno un paio direi…
– E adesso dove sono? Possono aiutarti?
– No, perché sono… beh, morti.
– Allora dammi retta, è meglio un pessimo amico vivo che un ottimo amico morto.
– Nyest, inizio a non seguirvi più, sapete.
– Mia cara, presto o tardi capirai. Intanto mi massaggeresti il piede destro? Mi tira tutta la pelle lì sulla punta, ohiohiohi…
Incredibilmente, nonostante fosse stato un incontro al limite del surreale, le parole della Nyest avevano in qualche modo alleggerito Eliot del suo fardello.
Dopo aver chiuso la finestra ovale si mise allo scrittoio della stanza della locanda in cui alloggiava, prese un foglio di pergamena e iniziò a scrivere.
***
– BASTA! Questa situazione non mi piace, non ha senso e TU non fai nulla! Quindi IO vado a cercarla!
– Vivi, ragiona…
– Ma che ragiona! Io VADO! ORA! SUBITO!
Da più di mezz’ora Hari stava cercando di calmare Viktoryia che, come un torrente in piena, ficcava a caso vestiti, piume e sassi dalla forma strana dentro una sacca da viaggio.
– Vivi, davvero, non sai nemmeno da che parte iniziare per andare a cerc…
– È COLPA TUA! E io ora vado a rimediare, capito? E da qualche parte comincio, non ti preoccupare! – Viktoryia fulminò Hari con lo sguardo, sferzandolo in piena faccia con una sottogonna pesante quanto un macigno.
– AHIO! Ma è assurdo, lo sai! E poi l’ha deciso Eliot di fare questo viaggio e noi dovremmo rispett…
– Ma se non fosse stato per TE non sarebbe andata via! Oh! Infatti dovresti andarci tu a cercarla!
– Diciamo che NESSUNO di noi due dovrebbe andare a… – Viktoryia lo interruppe per l’ennesima volta, voltandosi con le lacrime pronte in fondo agli occhi e minacciandolo con una spazzola intarsiata.
– E se è successo qualcosa? E se non torna più? A te non importa!
– Ma non è v…
– A ME IMPORTA INVECE!
– Anche a m…
– A ME DI PIU’!
Non volendo ricorrere alla forza bruta, Hari non sapeva più come fare a impedire a sua sorella di continuare a infilare roba inutile dentro al suo bagaglio e prepararsi a partire per non-si-sa-bene-dove ed ebbe, per l’ennesima volta in un lasso di tempo troppo breve, la sgradevole sensazione di non riuscire a controllare la situazione. E stavolta la ragazza faceva sul serio.
Viktoryia non riusciva più a dormire serena da quando Eliot se n’era andata.
Appena chiudeva gli occhi vedeva il serraglio, una stanza in penombra, sangue ovunque, corpi senza vita e Eliot, la sua Eliot.
Non l’aveva salvata come non aveva salvato la mamma.
Sempre poco prima di risvegliarsi in un bagno di sudore e lacrime riusciva sempre a scorgere quegli occhi di ghiaccio nascosti nella penombra.
C’era qualcosa che non andava in lei, ma ora non le importava, voleva solo riportare Eliot a casa.
Non avrebbe perso nessun altro.
Sarebbe partita senza aspettare un secondo di più e se Hari non voleva partire con lei sarebbe andata da sola.
Lui se la sarebbe cavata, come aveva sempre fatto.
Era più forte di quanto credesse, e lo era anche prima, quando le gambe non seguivano la sua volontà.
Riusciva ad avere sempre tutto sotto controllo e forse per questo era a volte in conflitto con Eliot: lei era la variabile che non riusciva mai a calcolare.
Quella variabile che però aveva sacrificato una parte di sé per ripagare il suo debito, come aveva fatto lei stessa.
Forse lui non capiva… per lei era normale sacrificarsi per suo fratello, sangue del suo sangue, ma Eliot aveva fatto una cosa straordinaria… e forse senza volerlo lui non le aveva portato il rispetto dovuto.
Fin da piccolo era sempre stato al centro delle attenzioni di tutti a causa del destino beffardo che si era accanito su di lui, non aveva imparato bene le basi sulle quali si fonda un rapporto di amicizia, come avrebbe potuto sempre chiuso in casa?
Ma ora porcaccia la miseria doveva uscire dalla tana, esporsi e non essere sicuro di niente!
– Hari, – ripeté Vivi con tono più calmo, come se stesse parlando a un bambino di tre anni – voglio andare a cercare Eliot.
– Viktoryia, – insisté Hari con altrettanta calma – non hai la minima idea di dove sia e non sei mai andata via da sola.
– Bene, – incalzò lei risoluta – andiamo insieme allora!
– Non mi sembra saggio…
– Può non essere saggio, ma è giusto! Non sei stanco di perdere le persone che ami?
– Ma non sappiamo cosa dobbiamo aspettarci là fuori!
– Sappiamo che fuori c’è Eliot! Basta questo!
Hari fece per aprir bocca per sollevare l’ennesima obiezione, ma Viktoryia lo batté sul tempo.
– Ahhhhhh, basta! NON MI IMPORTA! Io adesso vado, e se tu non… uh, cosa c’è?
Marjorie, la maestra d’arme della famiglia e unica guardia rimasta al loro servizio, aveva bussato timidamente alla porta con un foglio accuratamente ripiegato su un vassoio. Con la punta del piede aveva aperto leggermente la porta e aveva squadrato i due con aria sorniona, per poi porgere il foglio verso la ragazza con delicatezza.
– È per voi, signorina Viktoryia… l’hanno recapitata adesso.
Vivi allungò le mani sulla pergamena, dispiegandola con foga, impiegò mezzo attimo per leggere ed esplose in un gioioso ululato, saltellando per la stanza.
– Che… – azzardò timidamente Hari.
– LEGGI! UOOOOOAAAAAH!!!! – esultò trionfante Vivi sbattendo la missiva sulla fronte del fratello e scagliando sul letto la sacca, il cui contenuto deflagrò tutto intorno.
Hari sbatté le palpebre un paio di volte prima di raccapezzarsi sulle parole riportate sulla pergamena.
Carissima Vivi, spero che tu stia benone.
Sto tornando a casa. Anzi, no. Prepara la sacca che andiamo a goderci una delle isole più belle, pittoresche, calde e tranquille che tu abbia mai visto! C’è un tizio che mi deve un favore. Salpiamo appena arrivo, se ti va bene. Ti devo raccontare tantissime cose! Mi sei mancata tanto.
Dovrei esser lì il giorno XIV.
Ti abbraccio forte,
Eliot
Hari arricciò le labbra, gonfiando leggermente il petto. Non una parola su di lui, dunque? Lo ignorava, era ancora arrabbiata con lui? Ma come era poss…
P.S.: Hari può venire, se gli va. E sarebbe cosa buona se gli andasse.
***
La fortuna di possedere poco è che i bagagli per i viaggi si fanno rapidamente. Appresa la locazione di Eliot e vista la vivace insistenza di Vivi, Hari aveva capito che era il caso di partire subito e non aveva perso tempo. Un paio di vesti di ricambio, la lanterna per la notte, un libro di racconti per il viaggio e… Le mani dell’uomo esitarono quando sfiorarono la copertina di un piccolo volume che teneva gelosamente nascosto dietro un ripiano della libreria: sulla delicata stoffa azzurra della rilegatura era ricamato un gatto nero, e all’interno vi erano poche manciate di pagine. Il quaderno di Xoac. Con un sospiro Hari lo prese in mano, soppesandolo, per poi involtarlo in un telo e riporlo tra i suoi bagagli. Era una reliquia, quella, non un oggetto qualunque: di più, era la materializzazione di un miracolo. Un semidio si era palesato ai mortali sei lune addietro, Xoac il Polimorfo, così vicino a loro da poterlo toccare e da poter udire la sua voce. Quel momento l’aveva segnato in tanti modi, e con forza ritornava anche adesso. Un frammento del divino, qualcosa di superiore, di incredibile, si era mostrato agli uomini… e loro ci avevano scherzato. Ci avevano riso insieme. Un folle aveva alzato la spada su di lui. Agli occhi di Hari sembrava che non si fossero resi conto dell’importanza del momento, della sua sacralità unica e irripetibile; diamine, era Xoac, e non lo si sarebbe dovuto trattare così alla mano solo perché è il Buontempone! L’uomo si ricordò del fastidio nel vedere quelli intorno a lui trattarlo con tanta leggerezza, come fosse un evento qualunque… e mentre preparava i bagagli provava lo stesso fastidio di quel giorno, solo rivolto verso sé stesso. Aveva troppe cose tra le mani: i problemi con i figli della Bestia, con la sua posizione nei confronti del Banco delle Anime, con i nosferatu… e nonostante questo, si preoccupava per Eliot. Con tutto quello che gli sarebbe dovuto passare per la testa in quel momento, con tutte le cose di cui si sarebbe dovuto preoccupare, la questione con Eliot gli rimaneva lì, sempre presente, sempre fissa. Hari sospirò iniziando a ricomporre il bagaglio. Si era creduto chissà chi, ma alla fine anche lui non era niente di speciale.
– Io lo so perché parti.
La voce di Marjorie dalla porta lo fece sobbalzare. La Virtuosa al servizio della famiglia lo aveva colto alle spalle, come al suo solito. La donna stava puntellata alla porta con l’unica mano che aveva, mentre il moncherino dell’altro braccio poggiava sulla coppa della spada al fianco.
– Parti perché vuoi saltare gli allenamenti, mia talentuosa botte di lardo – lo canzonò la spadaccina. Hari ridacchiò, come tutte le volte in cui la sua mentore lo prendeva in giro.
– Devo partire, Marjorie – disse l’uomo alzando una spalla. – C’è chi mi aspetta.
La donna si alzò dallo stipite sventolando un dito verso il suo allievo. Era seria in volto.
– No, Volk Hari, così non va. Riprova.
Hari tacque un istante, preso in contropiede.
– Devo partire, Marj…
– Riprova.
– Devo part…
– Riprova.
– Dev…
Il calcio che Hari ricevette sugli stinchi gli fece vedere le stelle. Marjorie riprese l’equilibrio, ma rimase con lo stivale a mezz’aria, pronta per un altro calcio.
– Riprova, signorino. Dai che ce la fai.
Stupido, stupido Hari. Sempre lo stesso errore, gli diceva Marjorie durante gli allenamenti. Sempre uguale. L’uomo alzò lo sguardo serio verso la sua mentore.
– Voglio partire, Marjorie. Ho cose da risolvere e voglio risolverle.
La donna sorrise, comprensiva, mettendosi seduta sul letto di Hari e prendendo distrattamente in mano un libro.
– Molto bene, signorino. Ora dimmi cosa ti turba.
Hari le prese il libro di mano e lo andò a risistemare in libreria.
– Non so bene cosa mi prende, Marjorie. Non riesco a dare una dimensione a quello che è successo tra me ed Eliot. Non so se ci sto pensando troppo o se non ci sto pensando abbastanza. Ci sono momenti in cui penso di essere una mammoletta schiacciata dai suoi rapporti, altri in cui credo di essere un arido stronzo.
– Noiooooooooooooosoooooooooo… – si lagnò Marjorie buttandosi sul letto. La donna guardava verso la finestra, verso il porto, verso il cielo scintillante dell’estate.
– La signorina Eliot è un pane di ragazza, Hari. È tua amica, altrimenti non avrebbe compiuto quel grande gesto nei tuoi confronti a Fantasmagoria. Aggiungo che Vivi ha ricominciato a urlare di notte per gli incubi, per Zver’, quindi da quando non c’è più Eliot in questa casa abbiamo smesso di nuovo di dormire in pace. Pensa quel che ti pare, ma almeno per quel che mi riguarda, per quel che riguarda la qualità del mio sonno e dei pranzi e delle cene, la signorina Eliot deve tornare.
Hari tentennò. Aprì la bocca ma Marjorie, secca, lo interruppe nuovamente.
– Forse, signorino Hari, dovresti toglierti la testa dal culo, smettere di guardare tutto quel che c’è lì dentro e iniziare a guardare quel che hai intorno. Forse a vedere com’è il mondo, come sono le persone, come sono coloro a cui tieni, allora potresti riuscire a dare quella definizione di te stesso che tanto cerchi.
Hari ammutolì. Si sedette sul letto accanto alla donna e tirò un lungo respiro.
– Mi dai del noioso poi chiacchieri senza fermarti per tutto questo temp…
La punta dello stivale lo raggiunse sotto le costole. Hari rotolò sul fianco, ridendo tra i gemiti di dolore.
– Allora dillo che ti ci piace! – esclamò la spadaccina, ridendo anche lei.
***
Eliot,
preferisco cavarmi questo dente prima di trovarci. Lo butto giù di getto, almeno non avrò spazio per ripensamenti né per ritrattare. Sono stato patetico con te a Fantasmagoria. Credo che la paura mi abbia paralizzato quando sono stato richiamato a colloquio da Madame Cécile e non sono stato più in grado di fare niente. Anche se ho provato a chiamarti, il cervello mi si era paralizzato e non sono riuscito a fare niente. Peggio che mai, ho preferito fare con te la figura dello stupido e del coglione piuttosto che quella del pauroso. Te lo confesso qui, a te, perché te lo meriti. Ti meriti un amico sincero. Magari non sarò la migliore delle persone, magari avrò i miei grossi limiti, ma dopotutto tu non mi hai mai chiesto di essere perfetto. Non lo sono e non lo sarò mai, e magari avremo ancora altri scazzi, perché comunque siamo due persone diverse, ma sei una buona amica e preferisco averti vicino e litigare quando serve che non averti più. Non ti faccio promesse che non so se potrò mantenere, ma spero che tu voglia tornare a scoprire se ancora vale la pena camminare insieme, fianco a fianco.
Un abbraccio
Hari
Eliot sorrise mestamente, ripiegando il foglio. Appoggiata sulla balaustra della nave, ripose la lettera nella scarsella alla cintura.
– E non me lo potevi dire a voce? – disse la ragazza guardando Hari appoggiato accanto a lei.
– Avevo scritto la lettera di corsa ma poi Vivi è voluta partire immediatamente, allora volevo spedirla con un corvo ma non sapevo se sarebbe arrivato in tempo, quelle bestie non sono poi così veloci, allora mi son detto ‘Ehi, ormai l’ho scritta e sono bellissime parole toccanti e sarebbe uno spreco se andassero perse’ e quindi te l’ho consegnata direttamente appena ci siamo trovati e…
– Hari… – Eliot lo guardò storto. L’uomo sospirò.
– Non son bravo con le persone, Eliot, almeno non in queste cose così… da vicino. Mi daresti l’opportunità di provare a migliorare un poco?…
– …
– … magari anche di fare esercizio su come ci si confronta con le persone?
– Non credi di star già tirando troppo la corda? – ridacchiò Eliot sommessamente.
Hari sorrise, guardando l’orizzonte. Un giorno avrebbe saputo certo di più.