Ah, i vetusti muri a secco dell’entroterra di Erigas. Le pietre consunte, franate in più punti, corrono formando curve sinuose anche lungo vie dritte come un filo di spada… su queste opere indulge spesso lo sguardo critico del forestiero, la cui pignoleria mal si adatta allo scanzonato spirito del pueblo… chi ha concepito quelle scalcinate serpi di roccia levigata dal vento? Forse nate dal volubile estro di un anziano capomastro le cui labbra non riuscivano a staccarsi dal soave bacio del rõn… forse molteplici tratti realizzati da molteplici mani, nell’arco d’un secolo o giù di lì; non a caso gli irrequieti spiriti erigasiani mal si prestano a seguir per oltre una luna lo stesso impegno.
Fatto sta che starmene sdraiato sulla sommità del muricciolo, che in questa stagione per giunta è coperto da una coltre di gradevole muschio, mi rende lieto come un re sullo scranno… anzi, debbo rimangiarmi queste parole, giacché in questo tempo i troni offrono un’assai scomoda seduta.
Ne sa qualcosa l’hombre che ben conosco e che se ne sta assiso sul palanchino di rovere scolpito, levato al centro del campo d’arme. Quattro armigeri alti non meno di sei piedi sorreggono quel trono di legno che, secondo una tradizione ormai sepolta sotto le ceneri di un’Era, spetta al Sire plenipotenziario del pueblo… il seggio de El Cid. Scommetterei i miei adorati baffi che quei possenti energumeni non vengono dagli aridi colli o dalle remote isole della Signoria e non hanno nemmeno l’espressione altera di Valdemar o lo sguardo truce di Khartas… la straordinaria statura, le membra dure come barbe di quercia e gli occhi di ghiaccio lasciano pensare che il falco quadricipite stia aleggiando su Caponord e che abbia già sparso molte delle sue piume.
Il mio amigo ha il muso lungo come un vecchio palafreno… si vede che quella pomposa messinscena non gli va per nulla a genio. Ciò nonostante i suoi occhi cerulei sono fissi sui tre plotoni che si stanno addestrando nella piana, oggi battuta dalla fredda sferza del tramontano… lui ha vissuto per quasi due decadi come un soldato e tanto il ritmo della marcia quando quella singolare danza scandita da svolte o dietrofront bastano quasi a distrarlo dai cattivi pensieri… quasi.
Mi alzo, stirandomi pigramente con la schiena inarcata, faccio qualche passo innanzi per veder meglio le manovre della Nueva Armada… nata meno di quattro mesi fa per volere dell’Impero e come parte della temuta Risoluzione Finisterra, quell’istituzione è destinata ad accogliere centinaia di coscritti provenienti da ciascuna nazione di Caponord. L’elite dei condottieri locali, incluso quel mio compañero, è stata coinvolta per tramutare una nutrita accozzaglia di braccianti, artigiani e oziosi rampolli nel massimo esercito territoriale del Settentrione… certo presso i bastioni di Falcon una simile impresa è stata di gran lunga sottovalutata.
Gli alfieri schierati sull’avanguardia tuonano all’unisono “IN DEXTERA!” (trad. “A destra!”) e i centocinquanta militi: uomini e donne d’ogni provenienza ed estrazione sociale, intendono ciascuno l’ordine in virtù del proprio intelletto e della conoscenza di quell’antico vernacolo. Il risultato è un rovinoso scontro, le picche intrecciate come ferri da calza, corpi a malapena capaci di reggere il peso della corazza che rotolano goffamente l’uno sull’altro… invero un affascinante disastro!
Gli alfieri hanno il loro bel da fare a rizzare le reclute, distribuendo schiaffi e colpi di nerbo assieme a una nutrita sequela d’imprecazioni che ben presto spazzano via ogni brandello di solennità… vedo la testa del mio amigo, adornata da lunghi capelli castani, scuotersi in preda allo sconforto e prima che i portatori riescano a voltare le teste protette dai pesanti cimieri, la sua figura balza giù dal palanchino. Egli sussurra qualcosa all’orecchio di un attendente, il quale subito prende il comando dei plotoni… o meglio, di quel branco di capre senza cervello che stanno penosamente tentando di riformare i propri ranghi.
Frattanto lui con un agile gesto fa scivolare giù dalle spalle la pesante giacca da parata, costellata da una miriade di alamari e galloni… senza curarsi dei molti che in queste zone arrafferebbero anche lo sterco che trovano per strada, l’abbandona sui rami di un giovane gelso. Attraversa di buon passo una breccia che si apre nel muro a secco e con poche falcate giunge sino al piccolo podere, tagliato tra macchie di rovi e alberi da frutto ormai resi selvatici dall’incuria.
Qui c’è un piccolo padiglione alquanto disadorno ma rizzato alla perfezione, attorniato da rastrelliere con armi perfettamente allineate assieme a deschi e panche sui quali regna un ordine impeccabile. Di fronte ad esso non spiccano gli imponenti gonfaloni rossi e neri ma solo un vecchio làbaro sul quale è ricamato l’emblema di un piccolo rapace che tiene una serpe stretta nel rostro… giunto all’ombra della tenda il mio amigo si ricongiunge con una vecchia conoscenza e dopo averlo carezzato con una mano, si calca sulla fronte un voluminoso cappello di cuoio.
Dopodiché egli è subito attorniato da un pugno di quei bizzarri mercenari che per tanti anni hanno condiviso le sue avventure. Le loro divise sono tutte diverse tra loro e, a dirla tutta, non assomigliano affatto a divise… lunghe cappe di grigia lana erigasiana pronte a catturar una rapida lama, vezzosi corpetti valdemariti che tuttavia si dice siano più duri delle scaglie d’un dragone, scuri giustacuore di pelle bollita strappata a qualche tremenda belva khartasiana… a vederli così, nessuno gli offrirebbe il fondo d’un barile d’acciughe, eppure negli ultimi anni le loro gesta hanno ispirato alcuni racconti a dir poco avvincenti.
Un pugno di cadetti strisciati nelle viscere del terrificante Leviatano dalle quali sortivano fuori le putride carcasse degli abysales… la strenua difesa delle carbonaie del Lupo, prese d’assalto dall’orda dei villici… l’assedio alle perdute mura di Fantasmagoria, quartier generale della spietata Nassa… lo spericolato assalto sferrato al Consiglio delle Piovre attraverso un mistico portale… la fiera difesa degli spalti di Gigaspach, percossi dal ferro dei ribelli come l’incudine colpita dal maglio.
Questo è il passato dell’hombre ma qual è il passato del Generale? Chi rivendicherebbe i dì trascorsi a capo d’una masnada quando innanzi a sé ha la gloria delle schiere imperiali? Eppure lui vive ancora diviso tra la nostalgia e i fasti del presente… e, come talvolta si motteggia a Erigas, tiene quei suoi stivali ben piantati in due staffe!
Mi faccio più vicino… forse è il desiderio di riunirmi a quella singolare combriccola o forse il grato odore di carne allo spiedo che si leva da un falò scoppiettante. Una mano dalle lunghe dita mi assesta una pacca affettuosa dietro le orecchie e una scodella di carne fumante mi appare di fronte… quanto sarebbe tutto più semplice se l’ambizione fosse mossa dal buon cibo o dalla buona compagnia?
Mentre faccio onore al pasto, la sua vigorosa carezza mi corre lungo la schiena. Il suo sguardo invece vira altrove, forse oltre la macchia aldilà della quale c’è un’intera armata ad attenderlo… una sfrenata avventura vissuta ogni giorno in punta di spada assieme ai vecchi compari oppure la somma autorità che gli spetta all’ombra del tetro falco? Quell’arduo dilemma gli toglie il sonno, smorza il sapore delle pietanze e fa venire meno quel raro calore che gli altri gli offrono… siamo dunque uomini o generali?
Io del resto non sono che un gatto e per questo, statene certi, mi reputo assai fortunato!