Sogno o son desto?

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Skag sentiva un freddo ingiustificato. Si trovava dentro le coperte, nella sua tenda, eppure le sue ossa tremavano. I suoi muscoli erano pietrificati in una posa fetale. La luna era alta e il focolare ancora acceso quando si era coricato, ma nessuna luce penetrava dalle palpebre, che sembravano cucite con del fil di ferro. Una sensazione strana si insinuava nella sua testa, quella di essere al sicuro, cullato dentro un grembo materno. Poi, come un ceppo che viene gettato nel fuoco, l’oscurità lo abbandonò e lo lasciò cadere nel vuoto.

Il mezz’orco si svegliò con un colpo di reni che accompagnava un urlo strozzato. Era madido di sudore e con lo sguardo confuso scandagliava la tenda per capire dove si trovasse. L’iniziale shock si placò, dopo che le voci della sua masnada si facevano strada nella tenda. La giornata era lunga e bisognava darsi da fare. Rimanere a letto sarebbe stato inutile, perciò si vestì ed uscì. Ma il pensiero dell’incubo avuto non lo lasciò stare finché non si coricò nuovamente nella branda.

Ora era in un deserto sotto un cielo senza stelle. Skag sapeva bene che quel luogo non l’aveva mai visto. Oltre alla Scacchiera e ai posti dove era nato e cresciuto, il mondo per lui non aveva né nome né faccia. La sabbia sembrava estendersi senza fine, creando un orizzonte angosciante. Due ali nere come la pece si tendevano davanti a lui e una figura dagli occhi senza fondo lo osservava. Non parlava e la sua presenza era opprimente. Il mezz’orco, come poche volte nella sua vita, era terrorizzato. Sentiva il suo sguardo addosso e sapeva di essere giudicato. La corsa per sfuggirgli iniziava, ma la meta non esisteva, finché nuovamente si svegliò, questa volta con il fiatone.

Erano passate due notti da quando l’Immacolato, il norcino e tutti gli altri figli di puttana avevano avuto la meglio. Skag non sapeva cosa stava succedendo quando si addormentava, ma la sua perspicacia orchesca gli suggeriva che chiedere aiuto a qualcuno non era così una cattiva idea. Cyra la Gazza, alla quale secondo il mezz’orco le informazioni non mancavano, fu la sua scelta primaria. Aspettò che tutti finissero il pranzo per fermarla e chiederle consiglio.

“Questa notte ho visto qualcuno in sogno. Sembrava essere senza emozioni e con uno sguardo terrificante. Aveva due grosse ali nere piumate e non riuscivo a stargli vicino.” Disse Skag appoggiando i gomiti sulle ginocchia.

“Mmm fammici pensare. Potrebbe essere il demone piumato che avete combattuto diverso tempo fa?”

“No, questo aveva un aspetto più ‘umano’. E quello, per quanto fosse brutto, non mi aveva terrorizzato.”

“Allora l’unica cosa che mi viene in mente è Alhazhar.”

“Alhazhar?” chiese curiosamente il mezz’orco.

“Certo. L’Arcangelo dalle ali nere che insieme a Nhea diede vita al Cosmo. Molti guerrieri rivolgono la loro fede ad Alhazhar data la sua natura.”

“E cosa vuole Alhazhar da un mezz’orco?” si chiese Skag rigirandosi nella branda, tormentato da molte domande a cui Cyra non aveva saputo rispondere. Poi nuovamente sprofondò nel sonno.

Lui era sempre lì, in grado di stagliarsi come un obelisco oscuro in mezzo al nulla. La sua aura di severità atterriva le membra dell’albino peggio delle più pesanti catene. Questa volta non riusciva a muoversi, ma capì di riuscire a proferire parola.

“Sei Alhazhar, vero? Cosa vuoi da me? Vattene! Lasciami in pace!”

Ma sempre in rigoroso silenzio, l’angelo nero non lo degnava di nessuna risposta.

“Se solo avessi il mio spadone ti frantumerei quelle ali in un paio di colpi!” disse coraggiosamente Skag. Ma neanche lui ci credeva veramente. Quell’essere gli dava l’impressione di poterlo schiacciare come una formica.
Poi qualcosa di familiare comparve nella mano destra del mezz’orco mentre stringeva con forza la sabbia qualche secondo prima. Il suo spadone ora era lì.

“Sei stato tu? M-mi stai sfidando?” chiese balbettando.

Finalmente Alhazhar fece un cenno con il capo in segno di consenso. Skag capì che ora poteva muoversi.

“Vuoi che io ti combatta?” Disse rialzandosi in piedi.

“No. Voglio che tu combatta per il tuo destino e prenda in mano la tua vita.” Sussurrò Alhazhar con voce profonda.

Quando il mezz’orco si svegliò era fuori dalla sua tenda, con lo spadone in mano. Il sole delle prime luci gli stava accarezzando il viso. E invece di sentirsi confuso e spaesato, sentiva la presa sull’arma più salda che mai e il cuore pieno di coraggio. Coraggio che invece mancava al faccendiere che aveva avuto la malaugurata idea di raccogliere la legna proprio lì davanti, che decise di darsela a gambe.

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