Il sonno di Cristilde, quello vero, durava in media due-tre ore per notte: il resto del tempo si limitava a giacere immobile in un dormiveglia durante il quale ogni minimo rumore la destava e attirava sia la sua attenzione che il suo intervento.
Ottavia aveva imparato a conoscere il riposo della compagna: per questo scelse con cura la finestra temporale durante la quale alzarsi, in modo da non attirare la di lei attenzione e finire a dover affrontare una conversazione spinosa per entrambe. Raccolse il piccolo fagotto e uscì dalla tenda, orgogliosa dell’impresa.
Le Masnade erano tutte accampate piuttosto vicine: a ridosso della partenza da una casella era normale. Faceva però uno strano effetto vedere tutte quelle tende riposare placide prima dell’alba: sembrava un gigante deforme che vegliava sul borgo vicino.
Si districò in mezzo a quell’accozzaglia multicolore come un gatto, o meglio, come un gatto pesantemente corazzato: riconobbe gli abitanti di alcune delle tende dalle decorazioni peculiari che le adornavano. Altri, come Grizzly e Grog, li trovò proprio a dormire fuori, al fresco, col giaciglio adagiato sotto le ultime stelle notturne.
“AO! Ma dove cazzo vai a quest’ora?!?” Ci stava non averla fatta pulita con Leone: più strano era trovarlo a giocare a scacchi con Balthazhar. A quell’ora.
“Io… piuttosto VOI che ci fate qui??”
“Adesso che ci hai scoperto dovremo ucciderti…” disse Balthazhar. I tre si guardarono in tono circospetto, dopodiché lo Spiantato e il Cuochi ripresero la loro partita.
Ottavia provò quindi a congedarsi: un po’ perché i due non sembravano più interessati a lei, un po’ perché aveva fretta. “Beh, comunque io devo partire: ho da fare una cosa. Alla peggio ci vediamo…”
“…a Velathri. E grazie ar cazzo, aggiungerei.” Leone fumava di traverso una sigaretta malconcia, ancora indeciso sul come muovere l’alfiere.
“Fai buon viaggio e abbi cura di te. Hai bisogno di qualcosa?” Balthazhar parlava e muoveva le sue pedine con la stessa facilità con la quale si preoccupava per il prossimo. OGNI. CAZZO. DI. VOLTA. Premuroso come la santa Nhea quando viene rappresentata intenta ad assistere gli infermi.
“No grazie, mamma. Devo proprio scappare, non vorrei che…”
“…che Cristilde si svegliasse. Chiaro. Ao! Daje co sta regina, che stamo a fa giorno!”
Ottavia s’incamminò salutando entrambi con un cenno della mano: dopo qualche passo Leone le rivolse di nuovo la parola, non prima, però, di aver fatto volare la piccola scacchiera rovinosamente a terra. Balthazhar rideva sotto i baffi, radioso come sant’Aldebaran quando viene rappresentato intento a sfamare gli uccellini.
“Ottà, aspetta, vedi che…”
“…vedi che Cristilde ci rimane male. Non puoi defilarti così, senza dirle nulla, o magari peggio, con un biglietto, come ho fatto, per la verità… Quella poveretta si merita di meglio, così la fai preoccupare…”, Ottavia sembrava un fiume in piena.
“AO! Frena un po’! Qua quello che anticipa le frasi dell’altri so io, a rincojonita! Se me fai finì magari se capimo, volevo dì: vedi che se hai bisogno di compagnia basta chiede eh…”
Balthazhar sorrise di nuovo serafico, come se avesse previsto quella mano che Leone voleva allungarle: come sant’Elleron quando viene rappresentato assieme ai suoi compagni.
Ottavia sorrise appena, a metà tra imbarazzo e sollievo. “Grazie, ma devo andare da sola… e poi non ho abbastanza spazio nei bagagli per il tuo ego. Ah, guardati, mi sa che ti sei sbruciacchiato la sciarpa con la sigaretta…”
Leone fece partire una serie di improperi tale che Ottavia riuscì a riconoscere sul volto di Balthazhar gradazioni di rosso che non aveva mai visto: come nessuno dei santi che poteva ricordare.
Colse l’occasione per allontanarsi, nella speranza che il rumore del siparietto allestito dai due non arrivasse fino a Cristilde; raggiunse il suo cavallo e cominciò a caricarlo.
Quando tutto era quasi pronto, al di sopra della sua sella vide una figura che non si aspettava, fresca come una rosa e vagamente più mattiniera di lei, vista la cura con la quale aveva già caricato la sua cavalcatura.
“Devo andare in un posto e non voglio compagnia stavolta…” Ottavia provò a essere categorica.
“Lo so dove devi andare e vengo con te, non si discute.”
“Se sono sola, beh, è più semplice… per tutti…”
“Cosa pensi che abbia caricato in questi barili?!? Scarpette da ballo?!?! C’è abbastanza alcol da stendere entrambi. Te la faccio passare io la voglia di sventolare codesto attrezzo.” Disse, indicando la sua arma.
La donna sospirò e annuì, arresa, mentre con un piccolo sforzo saliva a cavallo: i due fecero schioccare le redini, per poi partire in direzione del sole nascente.
“Sai, non era proprio della mia scorta questa roba: c’era un tizio seminudo con un tricorno in testa, abbarbicato a un paio di barili, in stato comatoso, uno spettacolo davvero disdicevole nella zona dello Spiantato. Mi sono detto: se già sta così, non ne ha più bisogno…”
“Non fa una piega, Aldo.”