Un volto per pochi

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Quella sera non riusciva a dormire ma onestamente non si aspettava niente di diverso: era proprio una questione di abitudine e quella ci metteva una vita a passare. E in certi casi non passava proprio.

Poche ore prima aveva riunito i suoi Ragazzi più “vecchi” e aveva provato la sgradevole sensazione di dover raccontare a voce alta quanto accaduto: era riuscita a darsi un contegno in modo magistrale, doveva, o non l’avrebbero più guardata allo stesso modo, garantito.

“Una maschera per molti ed un volto per pochi: funziona così quando hai un ruolo da portare avanti, indipendentemente da tutto”: vaffanculo Vinicio…

Ripetere quella storia assurda a voce alta non la fece sembrare meno paradossale così come il supporto incondizionato dei suoi più fidati gregari non alleviò di un grammo la pena che sentiva nel petto: che poi, cos’era la fiducia a quel punto?!? Forse per questo la odiava ancora di più, ogni istante che passava: se lei aveva potuto ferirla a quel modo, chiunque poteva farle qualunque cosa.

Era la sua roccia, il suo punto fermo: il faro che la riportava a “casa” ogni volta che le sembrava di essersi spinta troppo lontano. Era la pietà che le alleggeriva la coscienza, la comprensione dalla quale nasceva ogni volta un perdono immeritato: era la sua migliore amica e la donna alla quale teneva più di quanto le riuscisse ammettere. E ora voleva semplicemente vederla morta.

Cazzo, quanto era difficile morire di quei tempi: la Signora in fuga, la Novella Signora, l’immunità guadagnata a danno dell’unica cosa che gli stessi Dei ci invidiano: per un attimo era stato diverso ma poi Iena l’aveva aiutata a rialzarsi…

Si trovava quindi in giro a vagare tra gli accampamenti, a notte fonda, con l’unica compagnia di una bottiglia che alfine le avevano concesso, date le circostanze: era stata una giornata eccezionale e non poteva non concedersi quell’eccezione.

Le sembrò di vederla tra le tende, per un attimo: in un istante il sangue le ribollì in petto ma non poteva essere lei. Certo non poteva ucciderla ma in quel momento, con la mente un po’ più sgombra, forse avrebbe trovato un po’ di sollievo anche solo nel farle male. Molto male.

Scacciò quel pensiero scrollando la testa: non poteva lasciarsi andare così o la maschera non sarebbe più stata su. Si accasciò lì, dove le sembrava di averla vista, sperando di perdere i sensi prima che un altro fantasma le irretisse la mente…

***

Si svegliò davanti ad un piccolo falò: aveva una coperta tirata sulle spalle e in breve riconobbe la sua tenda innanzi a sé. L’orrida puzza che sentiva accanto, invece, era Aldo: le fungeva da cuscino improvvisato mentre davanti a lui Francisco se ne stava seduto col mento appoggiato sul petto, intento, pareva, in chissà quale profonda elucubrazione.

“Tocca a te, coglione” disse Aldo spazientito, allungando un calcio al suo avversario: stavano giocando ad astragali, chissà da quanto poi, visto il mucchietto di cicche tra loro.

Per tutta risposta Francisco dondolò un po’, per poi crollare definitivamente di lato, respirando pesantemente e facendo casino con tutto quello che aveva intorno, mentre cercava di sdraiarsi meglio.

“Fanculo Fernando!” esclamarono Ottavia e Aldo all’unisono: ma quello già dormiva profondamente.

“Come l’hanno presa? Dico veramente…”, gli chiese cercando al contempo di accomodarsi meglio la coperta sulle spalle, mentre Aldo provava a rimediare al casino provocato da Francisco.

“Eh, come vuoi che l’abbiano presa?!? Male: è stato un fulmine a ciel sereno che ha sconvolto tutti nella Masnada… Cioè nessuno ha un solo dubbio sul da farsi però alcuni di loro le erano molto legati: si può dire che a giro ha salvato tutti da morte certa, più volte di quanto questi idioti zoticoni riescano a contare…”.

“Io… Non so cosa mi sia successo in quel momento: non riuscivo a respirare, avevo la vista annebbiata, sono rimasta in ginocchio perché le gambe non mi reggevano…” Aldo era uno dei pochi ad aver già visto il suo volto: uno dei due. Non era un problema di orgoglio o dignità, aveva perso entrambe chissà quante sbronze prima: era una questione di ruolo e solo in due avevano conosciuto Ottavia prima dell’Alfiere. “Avrei dovuto provare comunque ad ucciderla: magari smembrandola…”, una vena di sadismo le fece nascere un sorriso malevolo.

“Smettila di dire cazzate adesso: lo sappiamo entrambi che non è per questo che sei arrabbiata…” Aldo sembrava indeciso sul proseguire: forse non era pronta ad ascoltarlo: poi riprese, dopo aver fatto ballare gli astragali tra le mani per qualche attimo.

“Sei arrabbiata perché, in quel momento, il fatto di non poterla uccidere ti ha procurato sollievo e rabbia in egual misura”. No, non doveva indorarle la pillola, Ottavia non funzionava così: aveva bisogno di toccare il fondo, nel modo più brutale e violento possibile, per riuscire a rialzarsi. E visto che non sapeva se e come si sarebbe rialzata da quella botta, affondò il colpo senza pietà.

Ottavia perse il sorriso e un paio di battiti: forse non poteva morire, di sicuro non era la cosa peggiore che le potesse capitare.

Vedendola colpita sul vivo, Aldo decise di affondare fino in fondo, una volta per tutte: via il dente, via il dolore.

“E per la cronaca: non ti ha mai amato. Quello che provava per te era senso di colpa, mascherato forse da un’adolescenziale ammirazione. Pensava di poterti aggiustare e questo placava quella vergogna che le pesava sulla coscienza, mentre la pena che provava per te ti rendeva schiava: ma l’amore non conosce pena, l’amore è l’esatto contrario della pena. E per quanto Amanita avrà sempre un pezzo del tuo cuore, il migliore peraltro, tu invece amavi Cristilde, che ti piaccia o no: hai sempre cercato di negarlo, soprattutto a te stessa, ma se vuoi rialzarti, anche stavolta, devi affrontarlo.”

La guardò incerto, sperando di non aver fatto il passo pù lungo della gamba: dopo qualche attimo Ottavia annuì con la testa e Aldo pensò che fosse un buon segno.

“Ma immagino tu abbia anche qualcosa per rincuorarmi, spero… No?!”

“Certo, ho anche una buona notizia: è finita. Adesso puoi rialzarti, ancora una volta, con la sola forza delle tue gambe: questa storia ti insegnerà che non hai più bisogno di nessuno… Sebbene qualcuno, tuo malgrado, ti starà accanto fino alla fine: io? Beh si ovvio, ma non solo…”

Aldo spalancò le braccia e sembrò abbracciare idealmente tutta la Masnada: dalle tende delle Fiere a quelle degli Smarriti, passando anche per le altre piccole tende disseminate qua e là, all’apparenza casualmente, ma che facevano da legame e da ponte tra i variopinti assembramenti della Masnada.

Ottavia annuì, sospirando così profondamente da fare tremare la coperta che le scivolava sulle spalle.

“Da quando sei diventato una persona migliore di me?!”, chiese al suo vecchio amico mentre gli porgeva una mano per alzarsi.

“Oh calma, frequenti troppo quei sottoni dello Spiantato ultimamente: io non sono un santo in cerca di redenzione ed il Crepuscolo non è una famigliola felice che affronterà l’Immacolato – o come cazzo vuol farsi chiamare adesso – con una preghiera sulle labbra ed il cuore ricolmo di giusta nobiltà. Noi siamo i tuoi Ragazzi: siamo il braccio armato che si fa carico dei lavori sporchi, le teste calde e con molte rotelle fuori posto che altro non seguono che gli ordini di una ancora più folle e malridotta ma che alla fine, in un modo o nell’altro, trova sempre la forza di rialzarsi. Fin quando la Scacchiera non sarà ripulita come si deve, fin quando tutti i nostalgici che qui si annidano non avranno più sassi dove nascondersi: fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo imperiale.”

Diede un calcio a Francisco, che pigramente grugnì qualcosa di incomprensibile, tanto per dare più enfasi al concetto: un sorriso folle gli adornò il volto, mente ancora gli Astragali ballavano da una mano all’altra.

“Quindi Alarico, eh? Tuo fratello si starà rivoltando nella tomba: un nome fin troppo gentile per uno zoticone come te…”, gli si mise accanto, con le braccia protese verso il falò.

“Si, non sembravamo nemmeno lontani parenti, vai a capire chi si è scopato mia madre per mettere al mondo ragazzino del genere: però così, boh, sembra quasi di ingannare il tempo…” il suo volto si addolcì e ad Ottavia, per un attimo, parve di rivedere il ragazzino smilzo e scarmigliato col quale andava a rubare le mele al mercato.

“E tu invece? Come dobbiamo chiamarti?”

“Livia…” rispose Ottavia.

“Ah, come tua madre…”

“Si, Livia… Serrabilli”

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