Foresteria del Trivio – Alemar
Il quadro della zona appariva grigio e lugubre: il cielo aveva ancora la classica tinta cinerea e compatta dell’inverno e la nebbia aleggiava sul suolo in piccoli banchi alti non più di una spanna; a tratti, refoli di vento gelido sibilavano tra le cime degli alberi che circondavano la zona, portando con se dalle cime dei colli vicini pallidi cristalli di neve ghiacciata. Sull’ampia radura di rocce e ghiaia, ove di rado osava spuntar una ciocca d’erba, si stagliava maestosa la sagoma della vecchia foresteria, ormai ridotta a poco più di un rudere: una porzione del tetto era completamente crollata, molte delle vetrate erano rotte e altre tappate da spesse assi di legno scuro; un’anta della porta era divelta, appoggiata sul muro di fianco alla soglia, mentre l’altra, chissà come, trovava ancora la forza di muoversi leggermente sospinta dal vento, gettando nell’aree un rabbrividente cigolio sinistro. Soltanto gli spiriti avrebbero ancora potuto abitar quelle sale.
Dopo gli eventi occorsi ormai più di dieci anni addietro molte furono le leggende che si susseguirono su quello che effettivamente accadde lassù, affibbiando al luogo molti aggettivi tra cui spiccava sopra tutti quello di “maledetto”. Va da sé, come in una terra ove la scaramanzia è a dir poco uno stile di vita, la sorte di quella maestosa dama fu presto segnata.
Per questo giunse assai strano come circa quattro anni addietro un ignoto mercante volle acquistar quella terra, ovviamente pagandola tre scaglie bucate, e risultò ancora più strano come da allora nessun mattone fu smosso da dove originariamente era stato trovato … almeno all’apparenza.
Negli scantinati della vetusta locanda difatti, una torcia rischiarava l’angusto luogo: la stanza contava sette otto passi in lunghezza e circa la metà in ampiezza, sulle pareti laterali correvano due lunghi tavoli di legno robusto ove sopra erano gettai alla rinfusa numerosi fogli di pergamena: glifi, scrane rune e parole in linguaggi incomprensibili vi erano vergate sopra, e ancora tomi su tomi, alcuni di poche pagine altri alti più di una spanna, impilati o accatastati gli uni sugli altri, così tanti da poter alimentar un fuoco per un intero giorno.
Sul fondo della sala, ove un tempo si aprì la nefasta “porta dei folletti” e dove ora altro non ci sarebbe dovuto esser se non la nuda pietra della parete, una cortina d’ombra impenetrabile creava una sorta di varco oscuro, all’interno del quale vorticavano energie nerastre. La stessa luce proiettata dalla torcia, sembrava venir inghiottita da quel buco, risucchiata da esso come una piccola imbarcazione da un vortice.
D’un tratto qualcosa interruppe la quiete del luogo: lentamente, un individuo completamente coperto da pesanti vesti scure, attraversò per intero la stanza sino a giunger di fronte al varco d’ombra. Si chinò ed estrasse da sotto il mantello un rotolo di pergamena che andò ad aprire al suolo spiegandolo per circa due braccia di lunghezza. Rimanendo sempre in ginocchio iniziò allora a salmodiar qualcosa con voce lieve e tono basso. Pian piano che proseguiva però, il timbro stesso con il quale aveva iniziato la litania iniziò a mutare divenendo macabro e del tutto inumano; il tono si fece sempre più altisonante e partì col rimbombare tra le mura dello scantinato fin quasi a far tremare il complesso. Lentamente energie rossastre fuoriuscirono dalla pergamena: contorcendosi e avvinghiandosi tra di loro andarono a formare una pentacolo perfetto innanzi al varco d’ombra mentre violacee scariche crepitanti iniziarono a manifestarsi intorno ad esso. L’individuo si interruppe bruscamente portandosi all’unisono una mano alla bocca. Si morse violentemente il pollice e una goccia di sangue vermiglio ne tinse il polpastrello. Mosse allora rapidamente il dito sulla pergamena e i vertici del pentacolo che aleggiavano innanzi a lui iniziarono a ripiegarsi su se stessi; all’unisono, il varco dietro di questo si fece sempre più piccolo fino a dileguarsi completamente nel momento in cui il pentacolo divenne un pentagono.
Il fragore che per qualche attimo aveva invaso le sale della vecchia foresteria cessò di colpo e la quiete originaria tornò padrona del luogo. Tutto tacque per alcuni istanti finquando l’individuo esplose in una fragorosa quanto macabra risata, colma di folle soddisfazione.
*** *** ***
“Credo mi nascondano qualcosa Gabriel. Forse sospettano di me o ancora peggio mi hanno già scoperto.”
Lutor aveva i nervi a fior di pelle, la paura e la tensione per quello che stava facendo gli attanagliavano il cuore fin quasi a farlo scoppiare.
“Stai calmo Lutor, qualunque cosa essi possano sospettare questo tuo comportamento non ci aiuta.”
“Ma dove diavolo sono i tuoi amici? Non avevi detto che sarebbero arrivati presto?”
Di colpo un rombo simile a un tuono scosse l’aere e le pareti dell’anfratto roccioso tremarono leggermente facendo scivolar alcuni granelli di polvere giù dal soffitto. Era tutta la mattina che a intervalli irregolari quelle scosse si ripetevano.
“E come se non bastasse questi maledetti Troll si fanno sempre più vicini.” Proseguì Lutor guardando la volta con circospezione. “Hanno portato altri tre uomini orribilmente mutilati da quelle bestie ieri sera.”
“Ah si … i Troll … certo …” sogghignò leggermente Gabriel. “ Comunque si, li ho notati passare in barella … e no, non so quando arriveranno i miei amici, ma lo faranno.”
Passi provenienti dal corridoio interruppero la conversazione.
“Colpiscimi!!”
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e con la mano dritta schiaffeggiò violentemente il prigioniero, facendolo finire fianco a terra.
Kamal fece lesto il suo ingresso nella buia cella accompagnato da due dei suoi sgherri.
“Bene bene! Noto con piacere che hai già cominciato ad ammorbidire il fiorellino. Ottimo. Adesso fila però, torna al tuo posto.” Lutor guadagnò l’uscita e imboccò il corridoio sparendo dietro la parete mentre il primo afferrò rapido lo sgabello posto in angolo e lo posizionò innanzi al prigioniero. “Su alzati. Non fare il pelandrone.” Mugolando Gabriel si rimise in ginocchio. Kamal si sedette ed estrasse dalla giacca alcuni datteri essiccati; ne gettò uno in aria e mentre ricadeva lo afferrò al volo con la bocca. “Mmmhh … mmmhhh … i datteri della zona di confine sono i migliori … ne vuoi uno?”
Era quasi una settimana che mangiava pane secco e beveva acqua terrosa e quel piccolo e insipido frutto del deserto assumeva tutto ad un tratto un’aria molto invitante.
“Magari …”
Kamal allungò la mano destra verso il prigioniero trattenendone uno tra le dita mentre Gabriel all’unisono proiettò il volto in avanti per afferrarlo coi denti e SBAM … l’altra mano dell’aguzzino colpì il prigioniero in piena faccia, piegandolo di nuovo al suolo.
“He – he… te lo devi meritare prima. Come un bravo cagnolino, che quando adempie al suo dovere viene premiato con uno zuccherino.”
“HA-HA-HA … davvero simpatico … dovresti lavorare in una compagnia di saltimbanchi … saresti l’attrazione principale …” replicò Gabriel rimettendosi in ginocchio.
“Mh … potresti aver ragione … ci penserò … ma torniamo a noi … facciamo così …” un altro dattero volò in aria finendo in bocca a Kamal “mmhh … tu mi dici dove sono stanziate le truppe dell’esercito del Corvo e io ti do uno zuccherino. Che ne dici?”
“Dico che tutto ad un tratto non ho più tanta fame.”
“Mmhh … immaginavo …” Kamal si soffermò per un attimo a fissare l’individuo che aveva innanzi, studiandolo con attenzione: proprio non riusciva a capirlo. “Mi incuriosisci molto, sai Navarko? E’ quasi una settimana che ti trovi nostro prigioniero e nonostante le percosse e quant’altro non sono ancora riuscito a toglierti quell’espressione beffarda dalla faccia, ne a render meno tagliente quella tua maledetta lingua. Ora io penso: o sei la persona più indomita che abbia mai avuto innanzi … oppure sei un pazzo fottuto.”
“La differenza tra le due cose a volte è molto sottile Kamal. Ma ahimè non sono nessuna delle due … il fatto è che quando in vita tua hai visto quello che ho visto io, ci vuole ben altro che saltar una cena e beccarsi qualche sberla in faccia per metterti paura … credimi.”
L’individuo dondolò alcune volte la testa avanti e indietro con espressione pensierosa mentre ascoltava attento le parole del prigioniero. Poi si sporse in avanti avvicinandosi con il volto a quest’ultimo.
“Dio come li odio quelli come te. Così arroganti, così altezzosi … io ho fatto questo, io ho fatto quello, io ho visto quell’altro, io io io, dite sempre quello che volete e mai quello che gli altri vi chiedono. Ma anche voi avete il vostro punto debole … e per te caro Gabriel credo si chiami Izzie.”
Questa volta era il prigioniero che si era soffermato a fissare l’interlocutore. Rimase immobile a scrutarlo per alcuni attimi per poi serio rispondere:
“Non parlare di lei …”
Kamal accennò un soddisfatto sorriso mentre tornava in posizione corretta sullo sgabello. Aveva colpito nel segno. Lanciò un altro dattero in aria che ebbe la stessa sorte dei precedenti.
“E perché? Ti dà forse noia?”
“No no no … affatto. È che nemmeno la conosci e non sta bene.”
Kamal fece spallucce e allargando leggermente le mani voltate palmo in alto disse:
“Illuminami …”
“Mmmmhhh Ok … le storie sono un po’ il mio forte e questa per di più è proprio carina … Non l’ho scritta io, ma un certo Mastro Jep Pobosky nei suoi diari, capitolo 5, paragrafo 3 per la precisione. E sbocciò il terzo fiore: della mano del Fato lei sarebbe stata la Grande Magistra. Con il suo intelletto e le sue meraviglie ella avrebbe rivoluzionato i modi di combattere. Con l’ausilio dell’arte sublime avrebbe potuto spezzare le vite dei colossi più imponenti e attraverso la fede strappare dalle braccia della morte le vite dei compagni più leali, per poi all’occorrenza svanir nel nulla … e dal nulla ricomparire … ove più ce ne sarebbe stato bisogno.”
CLAP CLAP CLAP … “Bravo!! Bella storia. Interessante davvero.”
“Vorrei presentartela sai?”
“Sarebbe un vero piacere. E credo che ne avrai presto l’occasione visto che qualcuno che ti “assomiglia molto” … hehe … è già andato a prelevarla …”
Gabriel chinò leggermente il capo, arrendevole.
“Capisco …”
Un altro dattero volo in aria …
“Ma perché aspettare …”
Giunto nel punto di massima altezza il piccolo frutto svanì letteralmente nel nulla. Kamal rimase interdetto un attimo, analizzando quello che era accaduto. Poi realizzò:
“Cazzo!!”
“Eh già!!”
Una voce femminile provenne da dietro le spalle del prigioniero. Lentamente due esili mani coperte da lunghi guanti di pelle nera comparirono sopra la testa di quest’ultimo, entrambe stringevano due pietre giallastre che rapidamente fecero sbattere l’una contro l’altra: un lampo di luce accecante illuminò a giorno l’anfratto. Mentre le due guardie ancora cercavano tastoni di guadagnar l’uscita due rapide lame gli trafissero il costato facendole accasciare esanimi al suolo. Kamal, all’urlo di dolore dei due, estrasse la spada che portava al fianco iniziando a menarla qua e là a casaccio, quand’ecco che silenti e letali i due pugnali saettarono alle sue spalle colpendolo mortalmente all’altezza del cuore.
“Izzie Rosacroce … e il piacere è tutto mio …”
Con tonfo sordo il corpo dell’aguzzino si piegò prima in ginocchio per poi crollare a terra. La fanciulla, protetta da una fine armatura in scaglie di pelle marrone e nera, sotto le quali spiccavano le tinte della veste verde e oro, pulì le lame ai pantaloni per poi rinfoderarle. Indi si avvicinò al marito.
“Sei in ritardo!!” sentenziò lui ilare tirandosi in piedi e scrollandosi la corda dalle mani.
“Ti avevo detto di riparare la ruota del Berumt prima di partire per cui …” SCHIAF … un sonoro ceffone colpì Gabriel in pieno volto, il quale si portò subito la mano alla guancia
“Ahiaaa!!! Come se non ne avessi pres ..”
“EH… Zipt!!!” replicò Izzie portandosi il dito indice davanti al naso “Questo è per avermi fatto stare in pensiero …”
Gabriel abbassò leggermente la testa assumendo un’espressione da cane bastonato.
“Scusa … è che ho dovuto improvvisare e …”
Izzie lo afferrò allora per il bavero della camicia e tirandolo con forza verso di se lo baciò intensamente sulle labbra.
“E questo è … questo è … beh questo è per me e basta … non deve mica per forza esserci un motivo no? Ma ti rendi conto di dove ti sei andato a infilare? Da solo poi!! Cose dell’altro mondo. E quello che mi hai mandato a casa? E se non capivo che non eri te? Ti rendi conto cioè io guarda! Almeno ti sei ricordat …”
Gabriel strinse leggermente le gote della fanciulla tra le mani fissandola negli occhi; ella si interruppe ricambiando lo sguardo …
“Grazie …”
I due si abbracciarono teneramente.
“Guarda che sono ancora arrabbiata …”
Gabriel sorrise. Poi qualcosa saltò di colpo alla sua mente e la sua espressione divenne interrogativa.
“Ma che ne è stato di Lutor?”
“Chiii?” Rispose la fanciulla non avendo la minima idea di chi si trattasse.
“Il carceriere … il ragazzo di picchetto all’entrata della cella …”
“Aaaahhhh … dorme … nella stanza accanto … estratto di radice dei folletti … la mia preferita”
“Meglio così … vai a capire che mal di testa che deve avere!!”
Izzie rimase un po’ interdetta non capendo appieno ciò che Gabriel intendesse, ma decise di soprassedere:
“Gab … Ottima idea quella dei troll … quando non ho trovato la fialetta tra la tua roba ho capito subito.”
“Dovevo pur trovare un modo per indicarvi la strada. E comunque il merito è tuo … gli ormoni di troll femmina che mi hai dato sembra abbiano funzionato alla perfez …” di colpo la terra tremò nuovamente, questa volta con maggiore intensità, quasi come la causa di quelle scosse si stesse poco a poco avvicinando. I due guardarono leggermente preoccupati il soffitto.
“Che dici usciamo di qui?” esordì Izzie senza distogliere lo sguardo dalla volta.
“Direi di si …” rispose il ragazzo.
La ragazza illustrò allora la situazione.
“Le poche persone che ho trovato entrando sono fuori combattimento e gli altri sono tutti impegnati nella boscaglia limitrofa … non dovrebbe essere un problema uscire.”
“Beh … direi che hai fatto proprio un ottimo lavoro piccola … ma di questo sinceramente non ho mai dubitato … Andiamo dunque.”
Fu allora, proprio mentre guadagnava la soglia, che lo sguardo gli cadde di sfuggita sul corpo di una delle due guardie riverse al suolo. Insospettito da quella che in fine poteva esser solo un’impressione si chinò su di esso e sfilò lentamente il lembo di tessuto che gli copriva il volto. Lo aveva già visto. Ma dove? E soprattutto … quando? La sua espressione si fece allora pensierosa, scavando nei suoi ricordi alla ricerca di quel viso.
“Gab?? Tutto bene?”
Eccolo … ma era impossibile, o almeno diciamo molto improbabile …
“Ehi …” La mano di Izzie lo riportò alla realtà “Tutto bene? Lo conoscevi?”
Seria giunse la risposta del ragazzo:
“No, ma lo avevo già visto. Ieri sera, qua sotto, su una barella, con il petto squarciato e gli occhi sbarrati. Che gli dei mi fulminino se non era morto stecchito …”