Da qualche parte nelle Paludi Fosche…
Il Signore della Guerra Snikkit entrò nella sala del proprio Sire, seguito da due dei suoi ratti più fidati con pesanti e rozze armature in ferro e armati con lunghe lance rubate chissà dove.
La giornata era stata sua. Aveva guidato l’incursione nel cuore del territorio dei confratelli ribelli. Sapeva che in quello stesso momento altri suoi uomini stavano calando sui superstiti, riducendo a pezzi il clan ormai vulnerabile, come una carogna in putrefazione.
Mentre il capo Ratkin si crogiolava nella gloria della sua vittoria magistralmente conseguita, un superbo pensiero gli solletico la mente. Lui era il Ratkin più in vista e più forte sui campi di battaglia, allora perché fermarsi solo a eseguire gli ordini di quel grassoccio Sire che non faceva altro che stare su quello stupido trono? Treldar Skivar lo aveva benedetto, era a lui che spettava di guidare il clan!
– Ucciso clan ribelle, sire, tutti-tutti.
– Ottimo lavoro come sempre, ora puoi andare, sì-sì.
Accecato dalla rabbia di una risposta così sbrigativa abbaiò i propri ordini ai suoi subordinati, gesticolando freneticamente. I due come lampi presero il Sire per le zampe anteriori facendolo inginocchiare a terra.
– Cosa tu fa? Io dare te tanto oro-oro, tu non può uccidere Sire!
– Il Ratto Cornuto dice che più forte comanda e tu debole-debole!
Snikkit passò la lama seghettata sul collo del ratkin inginocchiato facendogli fuoriuscire un fiotto di sangue scuro.
– Inchinatevi a nuovo Sire di Limoscuro!
Poi due tuoni dalle tenebre. I due ratkin pesantemente armati caddero al suolo con le armature squarciate da due grossi fori all’altezza del petto.
Snikkit fremette e voltò sospettosamente il muso in direzione del buio. Le sue pupille si spalancarono per la sorpresa quando un’omba lo fissò a sua volta, con occhi rossi che ardevano nel buio come la notte.
Con un singolo movimento la creatura nerovestita balzò vero il Signore della Guerra infilzando la corta lama nel cranio di Snikkit, il quale non aveva ancora realizzato cosa stesse succedendo, crollando poi a terra esanime.
– Stolti-stolti… davvero tu crede di diventare nuovo Sire?
Sparklin guardò il corpo del sire-fantoccio, poggiando il tubo metallico ancora fumante lungo il corpo.
– Io deve trovare ratkin più robusto, già terzo questo mese che cambio, sì-sì…
In un wagon da qualche parte ad Alemar…
– … e vissero felici e contenti.
– Ma pàpa, io voglio un’altra storia, voglio una storia di angeli e di demoni e di cavalieri che lanciano scudi e di spadaccini ballerini e di arcieri uomini o elfi e acchiappafolletti e cieche e samurai che portano fuzuka e circensi e figlie di boia e… e…
Il piccolo esausto, cadde nel mondo dei sogni, mentre il padre gli rimboccò le coperte e gli accarezzo i corti capelli ricci.
– Buonanotte piccolo Trayanos…
L’uomo spense la candela che illuminava la stava e, dopo aver chiuso la porta, si avviò verso la propria camera da letto, dove lo aspettava sdraiata sul letto una bellissima donna dai lunghi capelli corvini.
– Si è addormentato il piccolo?
– Sì, sì – si distese sul letto – ha preso tutta la tua testardaggine… – l’abbracciò dolcemente portandola verso il proprio petto.
– Semplicemente ama le tue storie, dipendesse da lui non farebbe altro che ascoltarti, stai proprio portando alto in soprannome che hanno dato a tuo padre di “grande bocca”… – scoppiò in un piccolo risolino.
– Vero…
– Cosa ti turba Dahal?
Si distese sul materasso al fianco della donna ed iniziò ad arricciarle i capelli con le dita come per scacciare via i brutti pensieri che lo perseguitavano.
– È tutto così perfetto, ho te… nostro figlio… ma i problemi sembrano non finire mai, prima Desmodar, ora addirittura il sire di Ombra e Morte con tutta la propria corte… avremo mai un po’ di pace?
Esmeralda lo osservò con sguardo amorevole.
– Probabilmente no, ma abbiamo l’un l’altro e tanto mi basta per lottare e andare avanti, non credi?
– Hai ragione te… come di tuo solito… – le sorrise e prese fiato per poi continuare –
Due labbra.
Un sorriso.
Una lacrima.
Felicità.
Una parola.
Amore.
Due persone.
Un sogno.
Un solo desiderio.
Amarti.
– Ti amo Dahal…
In una piccola radura dentro Corcovlad, sempre Alemar…
La ragazza dal caschetto castano aveva viaggiato a lungo dentro la foresta Alemarita, era ormai il meriggio ed Elios baciava il volto della ragazza mentre si accingeva ad andare a riposare.
Finalmente la giovane sacerdotessa era arrivata dove doveva, tra le mani stringeva un singolo giglio candido, avanzò qualche altro passo nello spiazzo, poi inginocchiandosi appoggiò il fiore dinnanzi ad una pietra grigia, sostituendolo ad un altro fiore identico ma solo più appassito, invocò una prece a Sirio per poi sedersi sull’erba e fissare quella roccia con uno sguardo pieno d’amore.
– È un po’ che non prendiamo del tempo solo per noi due, vero Cora? Sono passati già tre anni… Già come son passati tre anni da quando quelli che sono partiti per la spedizione sono spariti insieme a quella maledetta isola, mi chiedo perché non li ho seguiti anche io… Mi manca da morire Gab, Shillark dice che ci vuole ben altro per uccidere i fratelli Navarko, vorrei avere la sua sicurezza, mentre Zadnja è convinto che stiano bene, dice di “sentirli”, ma mi chiedo se non sia solo una bugia per mettere in pace il mio cuore…
Sai… credo che gli manchi molto, a Zadnja, anche se non lo ammetterebbe mai, ma ogni volta che vengo qui hai sempre un fiore nuovo, ma ha sempre quell’aria da misterioso taciturno… ma questo lo sai certo meglio di me…
Un sorriso illuminò il volto della ragazza, ma una nota di malinconia la fece lacrimare.
– La verità… è che manchi a tutti, Maliamcora…
D’un tratto sentì come un piccolo sussulto nel terreno, il suo sguardo si rivolse verso il fiore e vide i suoi petali tremare senza che ci fosse un filo di vento. Ogni attimo che passava il tremito diventava sempre più forte, fin quando dalla foresta non fuoriuscì una figura disumana, alta più di cinque metri dalla pelle rugosa e dalla stessa consistenza del legno. La sacerdotessa come automatismo estrasse le sue corte lame preparandosi per lo scontro.
– Fame… fame… Melkor ha fame…. E tu chi sei? No io sa chi tu sei… sei prossimo cibo di Melkor!
Il troll sradicò un albero e lo impugnò come fosse una mazza, lo fece roteare un paio di volte sopra di se per poi farlo sbattere violentemente a terra provocando un piccolo terremoto, facendo crollare la giovane in ginocchio.
Con un balzo ferino la creatura si gettò sulla sua preda portandole un gran botta con il tronco
La sacerdotessa chiuse istintivamente gli occhi preparando il proprio corpo per il colpo, e passarono interminabili istanti, nei quali nulla accadde, quando poi decise di riaprirli.
Davanti a lei si ergeva un uomo dai riccioli scuri e dalla kefiah color vinaccia.
– Stai bene Izzie?
– Zadnja… ma tu… come…?
– Ti avevo detto che vi avrei protetti, ricordi? Non ho più buchi nei miei ricordi ora, cosa credi… – lo sguardo cadde sulla lapide- … e anche lei mi aveva chiesto di starti sempre vicina e poi – sorridendole beffardamente – altrimenti chi lo sente Gab quando sarà di ritorno?
– Ehi piccoletto lei è mia! Tu mio! Tutti pasto per il leggendario Melkor!
– Tu una leggenda? – l’alfiere scoppiò in una risata isterica – Ma fammi il piacere…
Orizzonte del mondo infranto.
In una delle rigogliose foreste nel ducato di Gardan…
Tre.
Non credete alle storie della luce in fondo al tunnel, o allo scorrere di tutta la propria vita in pochi istanti, a malapena mi ricordo cosa ho mangiato ieri, e fidatevi questa per me è la seconda volta.
Sedici.
Quello che ti passa per la testa in quel attimi sono istanti dei momenti più importanti della tua vita, impressioni sfuggenti, se sei più sfortunato i volti delle persone a cui hai tenuto più in vita, e vi assicuro che io per queste cose non mi faccio mancare niente.
Ventinove.
Se sei sfortunato sì. Perché in frazioni di attimo pensi ai momenti che hai vissuto con loro, i più significativi, alla triste realtà che non ne potrai vivere altri insieme a loro.
Se poi sei me in questo momento stai: perdendo il matrimonio del tuo capofamiglia; lasciando una donna, mezza psicopatica ma a cui vuoi bene, in balia al suo equilibrio elementale ; una seconda, quella più sana, che ti odia dal profondo del cuore e infine una terza, l’illeggibile, che in fondo e infine ti stai ancora chiedendo se sarebbe potuto davvero cambiare qualcosa in un futuro.
Quarantasette.
Eppure mi hanno insegnato che, anche quando tutto è perduto, bisogna sempre avere speranza; ne ho fatto il mio motto personale“ Neanche spezzato ripiego”, perché è così che funziona, anche quando tutto ci è avverso non bisogna mai smettere di combattere e di sperare. Basta poco, a volte basta crederci; a volte…
Sessanta.
Sessantuno.
Sessantadue…