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Melisenda, la sua antica compagna di viaggio ai tempi del circo, era davvero cambiata. Se la ricordava ancora spensierata e allegra, mentre si sforzava di ricordare cosa avesse fatto appena un minuto prima. Sbatteva ovunque, quando camminava, combinava piccoli disastri in continuazione perché la sua memoria era ridotta a un colabrodo, eppure non c’era stato momento in cui avesse rifiutato a qualcuno il suo aiuto.
A volte lui le aveva letto le sue poesie. Sapeva benissimo che di lì a qualche ora la poverina si sarebbe dimenticata di averle mai ascoltate, e forse per questo gliele leggeva così volentieri. Lei lo stava ad ascoltare per ore, quando lui si sentiva un po’ giù, ed entrambi sapevano che presto la ragazza non avrebbe avuto più memoria di quella conversazione. Ma, se anche la cosa la intristiva, di certo Melisenda a lui non l’aveva mai detto, probabilmente (Dahal lo comprese in quel momento) per non fargli pensare che le pesava ascoltarlo.
Adesso quasi non la riconosceva. Tutta l’allegria e la dolcezza che l’avevano caratterizzata erano scomparse, anzi, soffocate da un sentimento che in lei non aveva mai sospettato. Non poteva dire che si fosse indurita, in quanto era convinto che l’affetto che provava per lui (e soprattutto per Alehandro) era rimasto lo stesso, autentico e genuino. Però, pensava fra sé e sé Dahal, adesso faceva un po’ paura.
– No, Mercuzio non è mio fratello di sangue, ma tu sa come va cose in Alemar…
Melisenda annuì. – Ti vuole molto bene, questo è fuori di dubbio. Ma questa conversazione è privata… non è così? Solo che stavolta non me la dimenticherò, come ai tempi del circo… – Sorrise.
Dahal si sedette dinanzi a lei, che nel frattempo aveva fatto un po’ di spazio fra le carte che stava esaminando. Ancora era un po’ disorientato: nonostante tutti erano stati concordi nel consigliargli di andare dalla sua amica di vecchia data, non era ancora sicuro di riuscire ad aprirle il suo cuore.
– Io capisco che tu è sicuramente molto impegnata, ma…
– Hai avuto sue notizie, quindi?
Dahal si irrigidì, ma Melisenda rise. – Non è questione di veggenza: semplicemente, non riesco ad immaginare un altro motivo per il quale potresti esser venuto a cercarmi… inoltre, se fosse stato qualcosa di meno importante, Mercuzio non si sarebbe sentito in dovere di difenderti da chissà cosa e esserti compagno nella tristezza. Inoltre, ieri sera ci sono stati i festeggiamenti offerti dal Conte Oberon Luskan, quindi immagino che le informazioni ti siano arrivate in quell’occasione, o saresti venuto prima a salutarmi, e non con quest’espressione da funerale… Si tratta di lei, quindi… o sbaglio?
Il ragazzo rise, sollevato. Sì, era sempre la stessa, dopotutto, e lo conosceva ancora bene. Cara vecchia Melisenda. Dopotutto, quest’acume mentale le donava più della sbadataggine di un tempo.
– No, tu non sbaglia… è che… – una morsa gli attanagliò il petto, ma proseguì – …è che appunto ieri sera, dopo che cena era finita…
Dahal raccontò di come si era sentito disperato e del fatto che, appena aveva potuto, si era estraniato dal gruppo, e aveva dato sfogo a tutta la sua tristezza. Ripetutamente i suoi compagni di viaggio lo avevano cercato e indotto a sfogarsi con loro… per gli alemariti, la carovana è più che una famiglia, e lui comunque ne era stato membro, e si erano tutti affezionati a lui… ma non riusciva, non poteva, non voleva condividere la sua angoscia con nessuno…
Finché l’alta fattucchiera della carovana, Lubjiana, non l’aveva chiamato a gran voce, intimandogli di tornare sui suoi passi se voleva avere qualche notizia su di lei. Lì per lì era rimasto interdetto, non poteva credere che qualcuno potesse dirgli dove trovare la sua Esmeralda, ma la curiosità aveva avuto il sopravvento.
Alla fine era venuto a sapere che Koreka (una delle due fanciulle alemarite che erano state liberate quella sera dalla schiavitù di un rognoso Caniscalchi di Falsim, grazie a un sotterfugio ordito a quattro mani da alemariti e trelveniti) aveva avuto una compagna di prigionia malata della quale però non aveva mai visto il volto. Sapeva che i pirati che le avevano rapite avevano trovato da venderla a un prezzo ridicolo in uno dei porti dove facevano scalo… ma questa fanciulla, prima di esser portata via, aveva consegnato a Koreka un pezzo di pergamena nella quale erano stati vergati i versi di una poesia… una poesia che lui, Dahal, aveva scritto molto tempo prima, quando vivevano nella stessa carovana.
Non c’era molto di più, ma Dahal parlò e parlò, soffermandosi continuamente a parlare di se stesso, delle sue reazioni, delle sue paure. Gli veniva facile, e la sua interlocutrice non l’interruppe nemmeno una volta. Lo lasciò parlare finché non ebbe esaurito le parole, e ci volle del tempo. Al termine del quale, Dahal si sentì inspiegabilmente più leggero.
Ci fu un breve silenzio fra i due.
– Ho capito. E sei venuto da me perché hai una domanda da porre al divino Sirio, non è così? Vuoi sapere se è ancora viva?
Dahal si torse le mani. Era esattamente quel che voleva chiedere, ma le parole non uscivano. – Sì, così è. Se lei è viva, io devo ritrovare lei, e se no è, allora io deve… io deve… – Una lacrima solcò il volto contratto del giovane alemarita.
Melisenda rimase in silenzio per qualche attimo; poi, inaspettatamente, si buttò all’indietro, sbattendo contro lo schienale della sedia, con il naso per aria. Sembrava che fosse improvvisamente diventata esausta.
– Vorrei avere anche io questo coraggio, Dahal. Vorrei avercelo.
Dahal la guardò con espressione interrogativa. Era preparato a un no o a un sì, ma non a questa reazione.
– Che tu vuoi dire, Melisenda?
La donna sollevò una mano come per scacciare un pensiero. – Lascia perdere, non preoccuparti. Non cambiamo discorso… – si ricompose e il tono della sua voce si fece più pratico. – Allora, sono costretta a dirti che purtroppo non posso aiutarti subito. Le mie condizioni… voglio dire, la mia concentrazione è rivolta altrove, in questi giorni, e non posso assicurarti di riuscire a entrare in comunione con la mia divinità in modo tale da ottenere una risposta inequivocabile… Tanto vale che ti faccia i tarocchi, per capirsi, mi sento quasi più a mio agio… ma risposte inequivocabili nemmeno lì ce ne sono…
Dahal si era già fatto prendere dallo sconforto più nero, ma prima che potesse farfugliare qualche scusa per il disturbo e fiondarsi fuori, si accorse che Melisenda stava proseguendo il suo discorso.
– Però c’è una cosa che puoi fare, e un po’ di aiuto te lo posso dare anche io, e anche i ragazzi che lavorano al mantenimento di questa biblioteca ti daranno una mano…
Dahal sentì riaccendersi una fievole speranza. Melisenda si alzò e gli fece cenno di seguirla.
Camminarono sul soppalco fino a un lungo scaffale di legno scuro contenente decine e decine di grossi libri forse spolverati da poco, alcuni dei quali avevano addirittura una costola nuova di zecca.
– Sei fortunato – spiegò la donna – perché molti di questi registri sono stati riordinati per anno, quindi possiamo già escluderli a priori dalla ricerca… qui e nello scaffale attiguo c’è tutto quel che può servirti riguardo alle transazioni navali avvenute nello scorso semestre… sì, lo so, c’è da cercare un bel po’, e non è detto ci sia nulla… però, se qui non salta fuori niente, di qua – si voltò verso un corridoio di scaffali nei quali si accatastavano l’uno sull’altro miriadi di piccoli tubi – mischiati ad altri ci sono tutti gli atti giudiziari, anche in materia di pirateria… invece, da questa parte…
Melisenda mostrò a Dahal dove si trovasse tutto ciò che poteva servirgli. Il ragazzo continuava a pensare che una risposta diretta sarebbe stata la cosa migliore per alleviare la sua pena, ma in fondo aveva ragione lei: se avesse trovato qualcosa, qualsiasi cosa in quelle carte, magari la domanda da porre alla divinità poteva cambiare. Poteva addirittura diventare inutile. Tuttavia, le parole e il contegno della veggente gli avevano messo una pulce nell’orecchio.
– Tu puoi dire me una cosa, Melisenda?
– Sentiamo.
– Anche tu hai cosa da chiedere a grande dio Sirio, ma non osa o è troppo scossa per farlo?
Melisenda rimase in silenzio per qualche attimo, poi alzò lo sguardo, sostenendo quello interrogativo di Dahal.
– Sì. È esattamente come hai detto. Se anche ci provassi, non ci riuscirei.
Dahal osservò il volto dell’amica: in esso ritrovò un’angoscia che lui stesso conosceva bene, una tensione e una preoccupazione che da lungo tempo, evidentemente, non le davano pace. Adesso aveva capito come mai si era aperto così tanto volentieri con lei.
Però non riusciva a comprendere perché, lei che ne aveva la possibilità, non chiedeva al suo dio di toglierla dall’incertezza. Non poté quindi trattenersi dal domandarle il perché.
– Ma tu non hai fretta di sapere quale è risposta? Tu preferisce dubbio a certezza?
Le labbra sottili della donna si velarono di un sorriso amaro. – Il problema è che questa risposta, positiva o negativa che sia, mi fa paura. Nello stesso modo.
– Ma perché?
– Perché, in entrambi i casi, mi spezzerebbe il cuore.
Melisenda si voltò per tornare alla sua postazione. Dahal iniziò a dare una scorsa alle rilegature dei registri, sui quali erano stati vergati gli anni di riferimento. Non poté fare a meno di pensare che, per quanto disperata fosse la sua ricerca e per quanto temesse di scoprire di averla persa per sempre, c’era speranza. Speranza di ritrovare Esmeralda. Speranza di costruire una vita insieme. Speranza di vivere felice.
Una speranza che era decisamente negata ad altri. A molti altri.
Il papà è in una spada. Il fratello vuole morire. Gli amici la usano come le previsioni del tempo. Ora anche Sirio le dà il benservito… Ma pora Mela…
Hai dimenticato la cosa più importante: il suo migliore amico la odia…