Il fagiano aveva avuto la fine degna del suo nome. Prenderlo era stato fin troppo semplice. E comunque aveva svolto egregiamente il suo compito, una volta spennato e cotto sullo spiedo.
Feris sospirò. Quello di preparare le remiganti a diventare parte delle sue nuove frecce era un lavoro di pazienza, in cui doveva stare ferma, e stare ferma a fare un singolo lavoro li richiamava sempre.
E sia, stiamo accanto al fuoco, in genere la luce tiene fuori quelli pessimi. Sentì il familiare odore del mirto. Non c’era nemmeno un ramoscello di mirto intorno per miglia. Stavano arrivando.
Prese la prima remigante, ammirò il colore, davvero un peccato cambiarlo. Le avevano insegnato che era sempre meglio personalizzare le frecce. La sua Maestra le tingeva di verde. Del resto, che ti vuoi aspettare da un Elfa. E così aveva preso l’abitudine anche lei, anche se le sue frecce le tingeva sempre di giallo, in modo da poterle vedere e raccogliere dopo la battaglia.
“Sempre da essere vivi dopo la battaglia” osservò pacificamente come al solito Elithièn, comparsa al suo fianco, lievemente sorpresa di poter ancora parlare con la sua gola squarciata.
Feris si guardò intorno, per capire se fosse a portata di orecchio, prima di rispondere. Aveva scoperto che parlare con le voci che sentiva non era particolarmente ben visto dai compagni.
“Saluti Elithièn, mi sono addestrata alla respirazione tutti i giorni, come mi avevi pregato, prima… prima di, insomma, lo sai”
“Ma mi sembra ti sia scordata di astrarre il pensiero. Sono sempre qui, mi pare.”
“Si Maestra, sono ancora debole”
“Sei una merda secca, vorrai dire” la voce inconfondibile della contadina che l’aveva ospitata nel fienile proveniva da labbra bruciate e da un volto deturpato dalle fiamme.
“Mi dispiace molto, Sorella Ebe, non sapevo che dare ospitalità ai profughi le sarebbe costata la vita”
“E ti ho vista sai, brutta zoccola ingrata, che piangevi per quello stronzo del foriero, ha avuto una morte netta lui, mica ha dovuto aspettare che mi si fermasse il cuore dopo avermi bruciato le carni… almeno fossi morta soffocata dal fumo, no, proprio bruciata mi doveva capitare! E te per quello stronzo ci hai pianto!”
“Sorella Ebe, Voi avete ragione, ma io l’ho conosciuto come compagno leale, come combattente coraggioso… forse anche lui stava in qualche maniera cercando di pareggiare il suo passato…”
“Il passato non si può cancellare, Rivka, le nostre azioni trascendono il tempo, la nostra vita fugge, eppure quello che abbiamo fatto resta, come una pietra caduta resta nel fiume e ne devia il corso”. La voce proveniva da una bella signora dai capelli riccioli e bianchi fermati da un velo, la testa piegata ad un angolo innaturale del collo.
“Madre, anche voi qui, era tanto che non venivate a trovarmi”, una lacrima scendeva senza volere di nuovo sulla guancia, il suo nome pronunciato dopo tanto tempo da quella voce così familiare, così vicina, e così perduta.
“Figlia mia, hai cambiato il tuo nome, hai cambiato il tuo mestiere, hai fatto cose… che non pensavo avresti potuto… e hai pure provato a difendere un assassino, un imperiale, era il foriero Rivka!”
“L’ho fatto per il mio compagno!” urlò con rabbia Feris alla notte, le lacrime ormai asciutte e una smorfia feroce sul volto. “Non sono più Rivka! Rivka è morta accanto al pozzo! È morta! Morta con te, con Ebe, con Elithièn, e ora che siete morte venite a rinfacciarmi gli errori come se io li avessi potuti evitare! Ho fatto del mio meglio con quello che sapevo! Sto cercando di proteggere le donne intorno a me, come non ho potuto fare con voi, ma la gente continua a morire, e io non ci posso fare niente! Niente! Ho fatto cose orribili! Si! L’ho fatto per sopravvivere e lo rifarei ancora!”
Il ringhio era basso adesso, come quello di un tasso stretto contro una parete, senza via di fuga “In battaglia si combatte e si muore, ma se non sei un combattente e non muori subito devi sopravvivere! E io ho imparato! Ho imparato che se non hai forza puoi avere mira e uccidere da lontano, e in battaglia proteggi chi hai accanto e combatte con te! E Vinicio sarà pure stato un imperiale! Il peggiore tra tutti gli imperiali! Un infame! E pure un uomo! Ma io l’ho conosciuto come un compagno forte e leale! Mi pento solo di non aver mentito su quella maledetta lettera!”
La voce era rotta e i singhiozzi la scuotevano di nuovo, ma udì perfettamente la voce di Silia dire “E invece io sono fiera di te, ti ho insegnato bene, almeno ti sei accorta che era un falso, e l’hai spedito tra le braccia di Sorella Morte”
“RAAAAAHGH” il grido che uscì dalle labbra di Feris non aveva nulla di umano “Si ho fatto anche quello, ho rubato, mentito, fabbricato falsi, scassinato, ho imparato grazie a te Silia, e ora è un altro chiodo piantato sul mio albero!” Silia la guardava senza compassione, cinica come era sempre stata, masticando la sua solita pagliuzza da una bocca squarciata da quello che doveva essere stato un violento colpo di scure.
La voce successiva era bassa, baritonale, distesa, con una vena di sarcasmo, e la colse di sorpresa.
“E così senti le Voci, Feris, Rivka o come diavolo ti chiami”
Non mi volterò, se non mi volto e non lo vedo se ne andrà via, se non mi volto…
“E mi vedi anche, buffo” Vinicio era sdraiato, l’armatura pettorale deformata dove il colpo di Ottavia l’aveva preso senza che opponesse resistenza.
Troppo tardi. Tanto valeva.
“Perché non sei scappato, Vinicio? Eri cambiato davvero, adesso? Avresti potuto tornare tra gli imperiali, perché sei venuto nel Crepuscolo? Perché non hai potuto avere una redenzione, Vinicio?!”
“Feris, mi sembra che queste domande non siano per me, come mai me le stai facendo?”
“Perché io volevo salvarti, perché anche io ho fatto cose orribili, e se non c’è stata salvezza per te, come potrò salvarmi io!!!??”
“Ah, quindi era per egoismo che volevi salvarmi. Beh, almeno era un sentimento forte in te, credo sia il più forte, sono lusingato”
“Si, deridimi, me lo merito. Sono una vigliacca. Sono una approfittatrice. Vivo di espedienti. Nemmeno il mio nome è mio.”
“Ma mi hai sussurrato qualcosa Feris, o mi ricordo male?”
“La preghiera dell’Albero”
“Ripetimela, vuoi?”
“Possano le tue radici rinascere a nuova vita”
“Ah, molto bella. Ho sentito le storie, hai già diversi chiodi sul tuo albero, a quanto pare. Allora ti dico una cosa che sai già, in fondo hai passato tanto tempo con Elithièn. Una pratica delle mie parti che lei sicuramente non approvava. Sai a Sathor, noi crediamo che quando un albero è stanco, e smette di dare frutti, o non ne dà anche se è giovane, non è il caso di abbatterlo subito. Abbiamo una pratica un pochino crudele, forse, ma efficace. Prendiamo dei chiodi, Feris. E li piantiamo nel tronco, una fila di chiodi verticale. In genere una decina. E l’albero, dopo il primo shock, riparte più bello e rigoglioso di prima. Di quanti chiodi piantati avrai ancora bisogno, Feris, Rivka o come diavolo ti chiami, per fiorire?” L’ultima parte della frase era stata pronunciata da un Vinicio sorridente e divertito, come dopo una bella bevuta in taverna.
“Sai che sei ancora più stronzo da morto che da vivo?” improvvisamente si trovò a ridere tra i singhiozzi.
“Sempre stato, certo magari non te ne sei accorta se avevi da ascoltare tutto ‘sto gallinaio, ma avrai modo di conoscermi meglio, da oggi in poi”
Feris strizzò le palpebre come per scacciare tutti, strinse forte i pugni alle tempie e si lasciò sfuggire un gemito strozzato a denti stretti. Poi fece un sorriso amaro, asciugò le lacrime e tirò su col naso. Il mal di testa stava prendendo il sopravvento. Era notte ormai, impensabile proseguire nel lavoro. Doveva assolutamente dormire. Un sonno senza sogni…Cristilde!
“Vi saluto tutti, devo rientrare all’accampamento” disse dirigendosi un po’ instabile verso i fuochi e le tende del Crepuscolo.
“Ma pensa davvero di ingannarci?” “Che lo dici a me, è la tu figliola, come l’hai allevata male però dico io” “Eh s’è ammorbidita troppo, la preferivo quando era stronza, era più simpatica” “Questi diverbi non sono degni di voi, mie consorelle” “Ah, che gallinaio, io non so come hai fatto finora”
Le piume, soffiate dal vento, formarono un mulinello intorno alle braci dove era stati seduti i fantasmi, e poi si dispersero tra i cespugli.
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